La classifica si fa mesta, ma anche il clima attorno non scherza. Il Natale calcistico di Palermo e Catania è deprimente. Colpa dei risultati in campo – per entrambe una sconfitta nell’ultimo turno – ma soprattutto di ciò che accade fuori. Con una sostanziale differenza. Il Catania è ufficialmente fallito. Il Palermo, che aveva vissuto l’ultimo fallimento in tribunale nel 2019, è in fase di rilancio. Anche se la ripartenza targata Mirri annaspa, così come il tentativo di cedere la maggioranza del club a un fondo inglese (per 40 milioni). A rallentare le operazioni è stata l’ultima intemerata dell’ex socio di minoranza, Tony Di Piazza, che non molla la presa.
Ma insomma, parlare del Palermo calcio in maniera vittimistica, in questa fase, sarebbe uno sfregio ai cugini rossazzurri, che ieri hanno vissuto una delle pagine più drammatiche della propria storia. E non c’entra nulla la sconfitta casalinga per 2-0 col Monopoli. Nel pomeriggio, infatti, all’avvocato del club etneo è stata notificata via Pec la sentenza del tribunale: fallimento (già rimandato una volta, nel 2020) e addio alla storica matricola 11700. La società è stata messa in esercizio provvisorio e le sue sorti affidate a una terna di curatori fallimentari. La squadra potrà completare il campionato, ma sul “dopo” c’è un enorme punto interrogativo. Ripartire sì, ma da quale categoria? E con quali investitori?
Sarà una lunga trafila. Ma va affrontata. Magari mettendosi al riparo dagli avventurieri più improbabili che negli ultimi anni hanno funestato, a suon di promesse mancate (come avvenuto con l’avvocato newyorkese Joe Tacopina), le ambizioni di un tifo caldo e appassionato. Il declino è cominciato con Nino Pulvirenti, l’imprenditore che aveva decretato il fallimento di una società aerea (la Windjet), e che dal 2014 ha cominciato a sbriciolare l’immagine del Catania accumulando debiti su debiti. Che la Sigi, l’ultima società subentrata (e alla ricerca di acquirenti), non è stata in grado di cancellare. Appianare, in parte sì. Ed è da questo presupposto che muove il ricorso già annunciato al tribunale fallimentare contro la sentenza di ieri. Ci sarà da soffrire.
Il Palermo, sull’altro fronte, sembra aver superato la fase più acuta della sofferenza. L’esperienza degli inglesi prima e dei Tuttolomondo poi, aveva trasformato la storica U.S. Città di Palermo, approdato con la gestione Zamparini in mezza Europa, nello zimbello del calcio italiano. Il fallimento è stata la rampa di lancio per una ripartenza. Nell’estate 2019 l’Amministrazione comunale ha pubblicato una manifestazione d’interesse cucita addosso agli imprenditori locali. Solo che Dario Mirri, dopo la scalata dai dilettanti alla Serie C, s’è stancato. Ed è rimasto solo. L’uscita di Tony Di Piazza, cui il tribunale ha negato di recente il sequestro dei beni della società (si aspetta una ‘ricompensa’ per aver esercitato il diritto di recesso nei tempi previsti), ha creato una frattura e rafforzato la consapevolezza che è difficile riportare in alto un club storico senza l’aiutino di uno più forte.
Da qui la ricerca di un socio (inglese) che a gennaio potrebbe chiudere per la maggioranza del Palermo F.C. L’attuale proprietario potrebbe continuare nelle vesti di “semplice” presidente per garantire continuità a un progetto che per restare in linea con le ambizioni di un paio di estati fa, necessita della promozione in Serie B e di un centro sportivo per gli allenamenti. Il secondo dovrebbe materializzarsi a Torretta entro l’anno prossimo: le autorizzazioni ci sono e i lavori non dovrebbero tardare. Il primo deriva dalle prestazioni in campo e, al netto di un bel filotto fra ottobre e novembre, la fiammella sembra di nuovo spenta. Il k.o. di mercoledì sul campo del Latina è il terzo di fila in trasferta. A pagare per tutti è stato il tecnico Giacomo Filippi, licenziato. Al suo posto, dopo 18 anni, torna Silvio Baldini. Rispetto al Bari capolista ormai s’è aperta una voragine. Ma vuoi mettere questa moria di risultati con lo sprofondo rossazzurro dei cugini?