Catania divide il centrodestra come mai prima d’ora. Ma al netto dei nomi, delle impuntature vere e presunte, e dell’esito per niente scontato (la coalizione unita?), a far rumore è l’atteggiamento di Fratelli d’Italia. Che da un mese a questa parte non è cambiato di una virgola: non c’è un nome unitario su cui confluire (lo aveva chiesto anche Schifani), ma quelli proposti dalla coalizione, specie dalla Lega, non vanno bene.
Il factotum di Giorgia Meloni nell’Isola, esaurito il compito di La Russa con le scorse Regionali, si chiama Manlio Messina: il vicecapogruppo di FdI alla Camera, impegnato in queste ore a insultare chiunque sveli gli scandali del Turismo o intacchi di un’unghia la propria autorità, ha deciso che nel capoluogo etneo il candidato a sindaco dovrà vestire la maglia dei patrioti: “Perché siamo il primo partito in Italia”. Ma se qualcuno – com’è già accaduto – gli propone di farsi avanti per rivestire il delicato incarico, il Balilla svicola: “Ho detto che potrebbero esserci nomi migliori, anche alla luce del fatto – ha spiegato a Telecolor – che ho chiesto il voto agli elettori sei mesi fa, cambiare dopo così poco tempo non mi sembra la scelta migliore”.
Messina butta la palla in tribuna, dopo aver buttato il suo partito (e di riflesso la coalizione) in un cul de sac. E’ come il comandante dell’esercito che di fronte a una decisione strategica preferisce delegare qualcun altro. Per fare il sindaco – è il succo del ragionamento – va bene chiunque purché di Fratelli d’Italia (fuorché io, beninteso). Patrioti meno avvezzi alle parolacce e agli insulti, da Salvo Pogliese in giù, stanno facendo il possibile per impedire la scalata dell’ex assessore al Turismo, che nei mesi romani ha acquisito prestigio, potere e copertura politica: in primis quella di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e cognato di Meloni. Tanto basta per avere l’ultima parola su tutto. Ma gli oppositori dell’ala più radicale e sfascista, riusciranno ad imporsi? I galantuomini – la destra catanese ne vanta più d’uno – sono disposti a organizzare la resistenza? Difficile.
Neppure a Giovanni Donzelli, responsabile organizzavo di FdI sul territorio, è riuscita un’operazione chiarezza. Venuto appositamente nell’Isola per dirimere la matassa, s’è preso qualche altro giorno (almeno fino a mercoledì) per offrire a Lega, Forza Italia, Dc e Autonomisti un nome su cui confrontarsi: “L’importante – ha detto col solito politichese – è scegliere il prossimo sindaco per dieci anni che sia in grado di governare questa città nel miglior modo possibile. Piuttosto che avere fretta è meglio aspettare qualche ora in più per avere il prossimo sindaco che sia all’altezza di quanto merita Catania. Ovviamente, come in tutti i casi, il centrodestra sarà unito. Saremo compatti e porteremo avanti la migliore proposta possibile”. “Tutti i nomi che ho letto sui giornali sono validissimi” ha aggiunto Donzelli, liberando piccole energie positive dopo giorni di tensione.
Gli alleati, così, hanno fatto cadere il veto su Ruggero Razza, esponente dell’ala musumeciana, ma ancora oggi in ottimi rapporti con Messina. Anche per il tramite dell’ex governatore, che da lontano non ha fatto mancare il proprio sostegno nemmeno sugli scandali di Cannes e di SeeSicily, rivelati entrambi dal quotidiano ‘La Sicilia’: “Sul Turismo – ha spiegato Musumeci a Live Sicilia – ho già detto e continuo a ricordare, politicamente, che gli obiettivi li fissa il governo, ma li realizza la burocrazia. Sono orgoglioso di avere fissato, tra i miei obiettivi, quello di promuovere la Sicilia in Italia e all’estero e di incentivarne l’attrattività turistica. I numeri di crescita arrivi di questi ultimi anni non hanno bisogno di ulteriori commenti”. E’ la stessa tesi dell’assessore Amata, che guarda all’aumento dei flussi del 120% rispetto all’epoca Covid, e non invece ai soldi dispersi nei rivoli della comunicazione, piuttosto che per aiutare gli albergatori e garantire i posti letto promessi. Ma d’altronde Amata e Musumeci, come Messina e Razza, appartengono tutti a Fratelli d’Italia, un partito che dispone del Turismo a proprio piacimento, in Sicilia, ormai da sei anni. E che a sentire le cronache vorrebbe disporre anche della poltrona da sindaco di Catania, pur senza dare nulla in cambio.
La Lega, infatti, s’è risentita molto per l’appoggio dato da FdI a un candidato sindaco di Licata, la città di Annalisa Tardino (segretaria del Carroccio), che non corrisponde a quello proposto dai salviniani. Tanto è “solo” Licata, si dirà. E invece no: è un modus operandi che si ripropone, e di fronte al quale la coalizione non ha mai saputo opporre resistenza. Che vada così anche stavolta? “Gli amici di FdI, invece di continuare ad agire scompostamente nei territori, non rispettando gli impegni assunti nel tavolo del centrodestra, come a Licata, unico comune proporzionale nell’agrigentino, dovrebbero risolvere i loro problemi interni, senza attribuire ad altri responsabilità per essere frastagliati in anime e correnti”, ha detto la Tardino, scaricando le responsabilità dello stallo sulle divisioni interne degli alleati-rivali. “Piuttosto – ha aggiunto – si impegnino a proporre alla coalizione un nome valido, all’altezza di quello di Valeria Sudano, già consigliere comunale, deputata Ars, senatrice ed ora deputata alla Camera”.
Si tira il dado e si torna alla casella di partenza. Mentre il presidente Schifani non fiata e attende col cuore in gola che qualcuno lo tolga dall’imbarazzo di dover scegliere fra Meloni e l’amato ministro Salvini, le prepotenze, gli spintoni e i veti stanno caratterizzando un’altra campagna elettorale dove il centrodestra – vuoi per Bianco (prima della sentenza della Corte dei Conti) che ha disgregato il consenso a sinistra, vuoi per il trend nazionale – potrebbe trionfare a mani basse. Invece si perde ancora una volta in duelli rusticani che non hanno nulla di politico, che non raccontano di Catania e dei suoi problemi, che non fanno emergere alcuna differenza nell’approccio ai programmi e alle soluzioni. E’ solo uno stillicidio fra gerarchi assetati di potere e conservatori in via d’estinzione. Non tutte le storie, d’altronde, hanno un lieto fine.