Fratelli d’Italia non esiste quasi più. Esiste solo Manlio Messina.

Che fine ha fatto il partito della Meloni, che anche in Sicilia s’era intestata l’obiettivo di costruire nuova classe dirigente e radicarla sul territorio? Che senso ha avuto aver affidato la guida di Fratelli d’Italia a due coordinatori – uno per la Sicilia occidentale, l’altro per quella orientale – se a fare da portavoce, con toni da gerarca, è solo l’ex assessore al Turismo? Perché nessuna voce contraria osa levarsi contro l’arroganza dell’attuale vicecapogruppo alla Camera? Sono spariti tutti: Musumeci, fresco di ricompensa al Ministero del Mare: Pogliese, rinfrancato dall’elezione al Senato; Cannella e la Varchi, assorbiti h24 dalle consegne del sindaco di Palermo; e persino Galvagno, giovane e fresco presidente dell’Ars, che è autorizzato (visto il ruolo) a starsene in disparte e intervenire il meno possibile nelle dinamiche di partito.

L’unico che aveva provato a opporre resistenza allo stradominio del Balilla era stato Raffaele Stancanelli: nel giro di pochi mesi è stato risucchiato nel cono d’ombra della Meloni, perdendo in un colpo solo la possibilità di candidarsi alla Regione e (adesso) a sindaco di Catania. Insomma, nel partito che inneggia alla nazione e al sovranismo, sono rimaste poche tracce di pluralismo e di democrazia. I deputati dell’Ars, soffocati dalle ingerenze romane, non fiatano; gli assessori, nominati per grazie ricevuta (da Roma), si godono la vista; i militanti, invece, appaiono smarriti. Rapiti dalla luce della prima presidente del Consiglio donna, avevano perso di vista cosa stesse accadendo a FdI in Sicilia: si sono ritrovati un partito guidato da Messina, che oltre a parlare e straparlare (e qualche volta anche insultare, come successo con Schifani), tesse trame e dà ordini.

Ha creato un asset redditizio con Francesco Lollobrigida, diventata la sua coperta di Linus. Una sorta di telepass di fronte alle opacità (amministrative) e alle arroganze (politiche) sfoderate dall’ex assessore sulla stampa. L’ultima nel corso di un’intervista a Italpress: “Ogni partito della coalizione ha delle velleità – ha detto Messina, al picco della sua umiltà -. La nostra, invece, non è velleità. A noi spetta il candidato sindaco perché siamo il primo partito in Italia e in Sicilia”. Poi ha provato anche a motivare: “Abbiamo fatto un passo indietro sulla presidenza della Regione, per la forte pressione di Forza Italia e per il candidato sindaco di Palermo, dimostrando grande senso di responsabilità. Ora spetta agli altri alleati tirarsi indietro”. Peccato che alla Regione sia stato Ignazio La Russa, l’attuale presidente del Senato, a puntare su Renato Schifani (un atto di scortesia nei confronti dell’ex coordinatore azzurro Micciché, colpevole di aver trafitto Musumeci); e che a Palermo sia stato un passo indietro della Varchi – divenuta comunque vicesindaco – a spalancare le porte all’elezione di Lagalla, benedetto dai patrioti.

Ma nel frullatore del Balilla, c’è anche un’altra dichiarazione che non depone a favore della classe dirigente locale (di Fratelli d’Italia, nello specifico): “Aspettiamo che il presidente Giorgia Meloni la settimana prossima si esprima e scelga il nome del candidato”. Come se a Catania o a Palermo non fossero in grado. Come se non ci fossero abbastanza montagne per partorire un topolino. Per il momento, in verità, c’è soltanto una rosa di nomi – Razza, gli assessori comunali Parisi e Arcidiacono – su cui gli alleati (a partire dalla nuova Forza Italia) chiedono un po’ di chiarezza. Ma chissà, forse anche la scrematura sarà una prerogativa della premier. E i dirigenti a che servono? E il territorio che decide? Persino Renato Schifani, che nei mesi scorsi ha opposto il “gelo” agli schiamazzi di Messina su Cannes, ha aperto timidamente una polemica: “La mia cultura mi porta ad essere una persona che guarda più all’interlocuzione e non a dire ‘è mio perché sono il primo partito’. Io non escludo che il candidato sindaco di Catania possa essere espressione di Fratelli d’Italia. Aspettiamo ancora il nome”.

Detto da Schifani fa un po’ sorridere, dato che in questo avvio di legislatura il governatore ha subito qualsiasi carognata senza mai fiatare. Come la volta che Messina gli imputò di essere il vero responsabile della decisione di affidare, senza bando, l’incarico da 3,7 milioni a una società lussemburghese per la realizzazione della seconda mostra fotografica al Festival di Cannes (salvando il soldato Scarpinato); o in fase di formazione della giunta, quando su diktat di Lollobrigida, il cognato d’Italia, dovette nominare due assessori non deputati, che non rispondevano ai criteri individuati dal presidente (eletti e competenti); o, sempre a seguito dei diverbi su ‘Sicily, women and cinema’, quando dovette accontentarsi di scambiare le deleghe di Amata e Scarpinato, anziché “licenziare” quest’ultimo, per il quieto vivere dell’esecutivo e per tutelare i suoi rapporti con Meloni e La Russa. Che erano e restano i maggiorenti di questa maggioranza.

Messina gode di un’ampia considerazione a Roma, pur non avendo brillato in termini di trasparenza durante il suo mandato al Turismo. Né sulla gestione del programma SeeSicily, per il quale l’assessorato ha sborsato 75 milioni (di cui una minima parte finita agli operatori); né sul resto, dato che due procure – quella di Palermo e della Corte dei Conti – hanno aperto un’inchiesta su numerose voci di spesa che, negli ultimi anni, sono servite a lucidare i bilanci di alcune grosse aziende, senza alcun ritorno (dimostrato) per il brand Sicilia. Dopo aver dato sfogo alle sue abilità manageriali, il Balilla si è trasferito a Montecitorio, blindatissimo, per dare sfoggio della sua ars oratoria, e rilasciare interviste a tutto spiano per talk e tg. Da lì s’è conquistato progressivamente gli spazi e la plancia di comando. Decide tutto lui: non tanto e non solo per le sorti del suo partito in Sicilia; bensì per la coalizione, a partire dalle candidature al Comune di Catania. Il suo Comune. Nessuno osa contraddirlo. Anche se la manovra da federale è stata accolta con freddezza e un fastidio pari a quello suscitato dalla fuga in avanti di Valeria Sudano e della Lega, con tanto di manifesti 6×3.

La tensione è palpabile e rischia di esplodere, ma Messina non se ne cura. Con la sicumera di chi è primo in classifica e unto dal Signore, prosegue nella gestione capillare degli affari interni ed esterni di Fratelli d’Italia. Tende i muscoli, alza la voce, semina sfottò. “Io so’ io e voi non siete un ca…”, direbbe il Marchese del Grillo. Solo che questo non è un film.