Di quanto abbia dato Andrea Camilleri alla Sicilia sono piene le cronache di questi giorni. Sarebbe bello, adesso, chiedergli quanto abbia ricevuto in cambio. Un parere, onesto e brutale, su quanto l’Isola l’abbia accarezzato e coccolato in questi lunghi anni in cui il maestro ha servito il suo pubblico, portando in scena – va detto – la parte migliore di una terra bellissima, certo, ma pur sempre disperata. Che spesso fa incazzare. A tal punto da convincere Pietrangelo Buttafuoco, il cui pezzo su Buttanissima merita una lettura attenta sia per la raffinatezza che per l’assenza di ovvietà, che si tratta di una Sicilia che non esiste. Nel lessico, nei comportamenti, nel modo in cui Camilleri la racconta.
Non è un siciliano nostalgico il maestro di Porto Empedocle. Rifugge, piuttosto, dal concetto di “sicilitudine”, quell’abitudine tutta nostra di lamentarci e piangerci addosso. E’ un “siciliano di mare”, per usare una terminologia cara a Vittorio Nisticò, ex fondatore del giornale “L’Ora”. Un siciliano capace di esplorare il continente, di starsene al largo (non è un caso che Camilleri abbia vissuto a Roma e lì sia anche morto). Non gli basta rimanere sullo scoglio, come ha fatto Leonardo Sciascia (sebbene “il suo scoglio era così alto che lui da lassù poteva guardare il mondo”), per metterne a nudo le percezioni e le caratteristiche più autentiche. Forse il segreto è tutto lì: prenderne le distanze per descriverla meglio. Sotto una luce nuova e un filino più ottimistica.
Nelle opere del maestro Camilleri troverete le ammazzatine, e Salvo Montalbano è bravissimo a risolvere i gialli, avvalendosi dei suoi collaboratori più stretti. O le storie di femminicidio più efferato. Qualche regolamento di conti. Migranti fatti affondare. Tratti d’attualità terribile e spasmodica. Ma non troverete la coppola e la lupara. Non troverete il clima funereo che molti altri, prima di lui, avevano rappresentato entrando a contatto con questa terra, forse vivendola fin troppo addentro, nelle sue viscere. Camilleri è diverso, se ne distacca, ne sorride. Ne presenta la versione che più di tutte si avvicina all’attualità. Un po’ bella e un po’ sorniona. Che fa ridere prendendosi gioco di se stessa.
Forse è stato il vecchio saggio a plasmare la Sicilia così come appare oggi: l’Isola del disincanto, del buon cibo, dell’ironia pungente. Dei paesaggi scultorei, del barocco, del sole e del mare. Quella che lo sceneggiato tv di Montalbano ha incarnato perfettamente e messo a fuoco. Rappresentazione compiuta e bellezza impressa, transitati negli occhi del lettore e dello spettatore. Il municipio di Scicli, il lungomare di Donnalucata, la Fornace Penna di Sampieri, i palazzi nobiliari di Ragusa, i vicoli strettissimi di Ibla, la terrazza di Punta Secca. Tutti insieme, questi luoghi, hanno aderito al tentativo da parte di Camilleri di ricreare un “paradiso” naturale ma legato alla fantasia: gli ha dato il nome di Vigata.
Uno spaccato di Sicilia che nobilita il tentativo del Maestro, che lo distingue dal resto della compagnia. Capace di dare a questa terra lo sprint necessario per emergere. Il primo dato che ne dà conferma riguarda l’esperienza turistica. Tra il 2000, in cui per la prima volta potè misurarsi l’effetto Montalbano, e il 2018, gli arrivi nel Ragusano sono quasi raddoppiati: nell’ultimo anno oltre 300 mila visitatori. Stando al report diffuso qualche settimana fa da Bankitalia, è l’unica provincia che cresce assieme a Palermo: +13,2% per gli Iblei, +10% per il capoluogo di Regione. L’eccezione alla regola, perché il quadro complessivo non entusiasma. I flussi, rispetto al 2017, sono rallentati. A causa del calo consistente dei visitatori italiani (-0,3%), mentre quelli stranieri reggono. Le presenze in Sicilia crescono del 2,9% (dodici mesi prima il trend era del +7,3). E’ come se il prodotto – qui entrano in ballo servizi ed infrastrutture, non certamente i posti che rimangono incantevoli e “da film” – non riuscisse ad accompagnare la sovrastruttura: la pubblicità pazzesca, e spesso a gratis, che il Maestro, attraverso la pelata di Luca Zingaretti, ha proiettato sulla nostra Isola.
L’Isola felice, di cui Camilleri diventa fiero ambasciatore, si ritrova senza anticorpi di fronte alla sua dipartita. Perché non è dato sapere se qualcuno, dopo di lui, saprà raccontarla allo stesso modo. Se, come lui, riuscirà ad offrire un concentrato di belle sensazioni e tenere emozioni scostandosi, un po’ per forza e un po’ per fortuna, dai suoi mali atavici e dalle sue cure palliative. E se un giorno venisse uno scrittore un po’ tedioso, ma più realista, che, anziché rappresentare il burbero dottor Pasquano con Ibla sullo sfondo e dei cannoli in mano, si focalizzasse sui problemi dell’occupazione? Sulla protesta dei lavoratori di Almaviva? Sui disastri della Formazione? Banalmente, ne verrebbe fuori una Sicilia arida, scombussolata, frenetica. Come i film di Montalbano non hanno mai dato a vedere. La piaga del lavoro – il 21,5% di disoccupati è il doppio della media nazionale – è una questione che fa paura solo a pronunciarla. Altro che giallo. Un thriller, semmai. Materia buona per affondare e per deprimersi.
E ancora: sono mille gli indicatori che ci rivelano un momento faticoso, e una reazione stentata. E’ la Sicilia reale, o l’Isola infelice, che Camilleri non ha mai cantato: quella che vede la produzione agricola, una volta mezzo di sostentamento per imprenditori e braccianti, subire una flessione del 4,9%; e la produzione industriale resistere solo sull’export, e ristagnare alla voce “fatturato”. E’ un momento nero, un tunnel lunghissimo, in cui non s’intravede una via d’uscita. Fatica l’innovazione e gli investimenti non sbocciano. La monnezza rimane per le strade, rovinando il sogno paradisiaco che Montalbano ci ha rivelato durante le sue inchieste, e i cantieri sono bloccati, rendendo impossibile la circolazione. Probabilmente anche la Fiat Tipo del commissario, ingrigita e sgangherata avrebbe faticato a muoversi per le trazzere, ad aggirare il crollo di un viadotto qualsiasi. E persino gli autobus – come quello che mirabilmente accompagna Livia, la compagna del commissario, dall’aeroporto di Catania alla bella Vigata – non avrebbero retto all’assenza di fondi per il trasporto pubblico, di cui l’Isola dannatamente è costretta a cibarsi, date le carenze croniche di strade e ferrovie. Degli aerei manco a parlarne.
E’ una Sicilia diversa quella di Camilleri dalla nostra. Fa un po’ tristezza ammetterlo, ma è per questo (probabilmente) che ha ottenuto ‘sto gran successo. Una Sicilia che s’è dimenticata della politica – nonostante il Maestro non abbia mai mascherato attivismo e simpatie e, anzi, le ha rese pubbliche – ma non delle istituzioni (il questore di Montelusa è una certezza). Di quella stessa politica che tuttora, dietro l’alibi che “questo è il momento della semina”, da troppo tempo s’è scordata di governare. S’è scordata dei siciliani. Li ha lasciati di fronte alla tv ad ammirare Montalbano. Per farli sentire fieramente “terroni”. E a volte, scusate il francesismo, anche un po’ cogl…