Cose belle, di questi tempi, è difficile raccontarne. La Sicilia, oltre a essere stata contagiata – per fortuna in modo marginale – dal Coronavirus, è preda di una incapacità gestionale che non conosce colore politico. Contagia tutti: quelli di ieri e quelli di oggi. Dando una rapida spulciata ai documenti contabili che il governo ha trasmesso nei giorni scorsi all’Ars – oggi va in aula un gustoso antipasto, con le variazioni di bilancio, il consolidato e la nota di aggiornamento al Defr (il documento tanto vituperato dalla Corte dei Conti) – si notano alcune stranezze che per noi, per la Regione, suonano come sospiri. Di sollievo, va da sé.
Il primo sospiro è dato dal fatto che la manovra c’è, esiste, è stata partorita. L’assessore all’Economia Armao aveva promesso che entro il 3 febbraio sarebbe finita agli uffici dell’Ars: c’è voluta un po’ più di pazienza, ma amen. Il secondo sospiro, invece, è più beffardo. La prossima Finanziaria vale 202 milioni di euro. Sembrerebbe tanta roba. Ma di questa cifra, ottenuta raschiando il fondo del barile, e sui cui pesa la quota del disavanzo accertata dalla Corte dei Conti e da spalmare in dieci anni, se ne può spendere una parte infinitesimale: 8 milioni circa, destinati alla ricapitalizzazione delle società partecipate. Il resto del malloppo è sub judice, “congelato”.
Anche stavolta – accadde pure lo scorso anno – la Finanziaria comincerà il suo viaggio nelle commissioni di merito senza sapere fino a che punto potranno essere sbloccati i restanti 193 milioni. Dipende tutto da un negoziato che ormai da mesi coinvolge Stato e Regione, in cui la Regione cercherà di chiudere un accordo di finanza pubblica per ottenere uno sconto sul prelievo forzoso da parte dello Stato. E’ il fulcro del tavolo impiantato al Ministero dell’Economia, in cui Armao e Musumeci chiedono l’attuazione dello statuto e, di conseguenza, la possibilità di liberare risorse aggiuntive. Più soldi a Palermo e meno a Roma.
Per garantire la stabilità finanziaria dell’Ente – questo è accertato – mancano all’appello 300 milioni. La Regione, per “scongelare” cifre già accantonate (i cosiddetti “tagli”) che andrebbero a incidere da subito su alcuni settori strategici (dai precari al trasporto pubblico, fino ai comuni), sta cercando di “recuperare” soldini anche altrove. E questo lo si evince dallo schema del ddl Bilancio, che corre in parallelo rispetto alla cosiddetta “Legge di Stabilità”, in cui si evidenziano altre due possibili fonti di guadagno: 50 milioni dovrebbero entrare con la cessione del 35% del Fiprs, il fondo immobiliare della Regione (soldi che tirerà fuori il Fondo pensioni); e ulteriori 100 milioni dal parziale disimpegno rispetto alla compartecipazione al credito d’imposta. Ma si vedrà: sono soltanto previsioni.
Nel frattempo la manovra generale è stata allestita comunque. Pur essendo “fantasma”. E’ composta da 66 articoli. Fra le altre cose, non mancano i riferimenti agli ex Pip e ai precari, ai teatri siciliani e ai soliti forestali (sono 800 i posti previsti dalla dotazione della pianta organica: c’è profumo di assunzioni). Mentre fa le novità si fanno largo un’agenzia per la promozione turistica, una per le aree protette (già nota con l’acronimo di Arap) e la fondazione dedicata a Sebastiano Tusa, che fra un paio di settimane sarà ricordato nel primo anniversario della scomparsa. Un’attenzione particolare è riservata allo sport, ai festival del cinema e alle sugherete demaniali. E’ prevista anche un’integrazione per il trasporto pubblico urbano (3 milioni per il 2020, 11 per l’anno venturo) – che salterà se Roma confermasse il congelamento della spesa – mentre c’è già un taglio preoccupante per i trasferimenti ai comuni: si passa dai 340 milioni dello scorso anno ai 205 del 2020 (“Se si parte da queste basi non può esserci neanche confronto” hanno fatto sapere dall’Anci).
Sempre in tema di enti locali, la Regione pensa di spartire dieci milioni di euro ai comuni con meno di 5 mila abitanti, allo scopo di contrastare lo spopolamento e la desertificazione delle aree interne. Un’altra delle misure simbolo di questa Finanziaria – ma lo era anche della scorsa – è il cosiddetto “Modello Portogallo”, fortemente voluto dall’assessore Armao e per questo riproposto: a chi vorrà trasferirsi in Sicilia, specificatamente in un comune con meno di 20 mila abitanti, toccherà (toccherebbe) un’esenzione Irpef per nove anni. Nel 2019 la norma era stata inserita all’articolo 1 della manovra e subito soppressa con un emendamento. Fare un altro tentativo non costa nulla. Anche per le aziende che decidono si entrare nelle Zes, le zone economiche speciali che aspettano il via libera dal parlamento nazionale, sono previsti sgravi fiscali per un paio d’anni. Tra le misure c’è pure uno stanziamento da 1,2 milioni per la gestione dell’impianto di dissalazione nell’isola di Vulcano. L’articolo 51, invece, prevede di destinare il 20% dei canoni delle concessioni demaniali (lidi, chalet e così via) per interventi di gestione e manutenzione del territorio. Così non sarà necessario cedere i fondali al principato di Monaco.
Una serie di misure che dovranno fare il tagliando al momento opportuno. Cioè quando Roma deciderà se accordare alla Regione un minor concorso agli obiettivi della finanza pubblica. Sono in ballo 409 milioni per il prossimo biennio (ai 193 del 2020, si aggiungono i 215 e rotti del 2021). Uscire vincenti dal negoziato al Mef è unica prospettiva utile per non dover soccombere. Lo schema di Bilancio, su cui incide profondamente il disavanzo accertato dalla Corte dei Conti con l’ultimo giudizio di parifica, dovrà affrontare una doppia corsa a ostacoli: a Roma, ma anche nei corridoi di palazzo dei Normanni. Dipenderà, infatti dagli umori e delle condizioni poste dai deputati. Che quest’anno, a differenza del passato più recente, non potranno godere del paracadute dei “collegati” e saranno costretti a giocare le proprie fiches su un testo di per sé molto languido e per niente snello.
E non ci sono soltanto gli onorevoli: bisognerà accontentare i comuni, le associazioni datoriali, possibilmente i cittadini e i lavoratori. E tutto questo dovrà avvenire entro due mesi, perché il 30 aprile scade l’esercizio provvisorio, che da gennaio costringe la Regione a spendere in dodicesimi e senza una reale programmazione. Le responsabilità, spalmate negli anni e distribuite fra tutti, vengono al pettine solo adesso. Ma rischiano di condannare la Sicilia – già provata dal virus cinese e da una stagione turistica che si preannuncia difficile – all’ennesimo tonfo che nessuno si augura.