Si può venire dalla destra ed essere grandi uomini di cultura. Si può essere nominati da un ministro di sicura e militante fede patriottica, come Gennaro Sangiuliano, ed avere all’un tempo la capacità di volare alto, di solcare cieli che “quelli dell’egemonia culturale” non avevano nemmeno sfiorato con un dito. Ieri su Repubblica, che non è certamente un giornale di ispirazione meloniana, una lettrice ha posto sul tappeto la questione – non secondaria, soprattutto in Italia – delle appartenenze. “Nei giorni del familismo e della lottizzazione selvaggia, non solo della Rai, spicca – ha scritto Rosanna Lampugnani a Francesco Merlo – la scelta di Pietrangelo Buttafuoco di affidare la direzione della Biennale Teatro non a Barbareschi o Insegno o, ultima arrivata, Alma Manera, ma a Willem Defoe, un grande attore che tutti conosciamo e stimiamo, americano di nascita ma quasi italiano per amore e la cui storia lo inserisce tra gli artisti progressisti. In sostanza, quella di Buttafuoco è una decisione basata su competenze e qualità. Non credi che il mondo della sinistra debba dargliene atto?”.
La risposta di Merlo, editorialista del giornale e titolare della rubrica delle lettere, è netta, cristallina, immediata: “Altroché. In architettura ha scelto Carlo Ratti, unico italiano che insegna al Mit. E nel cinema ha confermato Barbera. Difficile immaginare di meglio”.
Certo, non tutte le scelte di Sangiuliano sono state basate “su competenza e qualità” come quella di Buttafuoco alla Biennale di Venezia. La destra, si sa, mette insieme varie storie e sensibilità spesso molto diverse tra loro. Prendiamo la Sicilia: da un lato questa terra ha regalato al mondo di Giorgia Meloni – un mondo molto articolato – una personalità di inimitabile spessore come Pietrangelo Buttafuoco; dall’altro lato ha prodotto una degenerazione della parola “cultura” e di tutto ciò che, istituzionalmente, a questa parola si lega.
Qui la destra meloniana – anzi, la destra che fa capo al nobile cognato, Francesco Lollobrigida – non amministra al meglio, come fa Buttafuoco, il cinema o il teatro o l’architettura. Qui si traccheggia solo con il sottogoverno: si assegnano incarichi di grande e prestigiosa responsabilità all’ultimo pagnottista che si trova a passare dalla presidenza della Regione o dalla presidenza dell’Assemblea; si inventano manifestazioni inutili e dispendiose per cedere sottobanco la “comunicazione” ad amici e fratelli; si stendono programmi macroscopici e milionari, come SeeSicily o le faraoniche sfilate alla Croisette di Cannes, per foraggiare e ingrassare la nefasta corrente turistica di Fratelli d’Italia. Corrente – o clan, scegliete voi – che fa capo al famigerato Gruppo Balilla e che, ad oggi, ha ufficialmente creato un buco di bilancio, certo certissimo, di dieci milioni di euro. Ma non si esclude che i successivi accertamenti possano elevare il danno a oltre venti milioni.
Un destino controverso, come si vede, quello della destra meloniana: c’è chi vola alto e onora, anche oltre i confini, il respiro culturale di questo Paese; e c’è chi, con la cultura, fa esercizio di arroganza, di strapotere, di sopraffazione. Di uso ed abuso scandaloso del denaro pubblico.