Il primo avvertimento arriva da Siracusa e porta la firma di Riccardo Gennuso, deputato di Forza Italia all’Ars, ed è una “bomba” per una coalizione in disarmo, già provata dalle ultime votazioni a Palazzo dei Normanni e dagli sberleffi dei franchi tiratori: “Ci saranno ripercussioni politiche su scala regionale, ma se ne riparlerà dopo le elezioni europee ed amministrative”. Il destinatario di queste affermazioni è il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, che qualche giorno fa ha celebrato il suo ingresso nella giunta del sindaco Francesco Italia. Unico partito del centrodestra a farne parte e per di più all’interno di un esecutivo a connotazione civica, se non fosse per la presenza di Sud chiama Nord, il partito di De Luca. Lo stesso Italia, fra l’altro, è vicino a Calenda. Pertanto il quadro che ne viene fuori somiglia più a un fritto misto che a una coalizione vera e propria.
Nulla di strano per una realtà locale, dove sussistono altre dinamiche rispetto a quelle regionali; se non fosse per le affermazioni di Gennuso, vicinissimo a Schifani (ma anche all’assessore all’Economia Marco Falcone) e papabile candidato alle prossime Europee (se la gioca con il padre Pippo). Insomma, uno di un certo peso, la cui posizione di chiusura nei confronti di Edy Bandiera, alla vigilia delle ultime Amministrative, portò alla sconfitta della coalizione di centrodestra, guidata dal meloniano Ferdinando Messina. FdI è stato il primo partito ad attaccare il Mpa per la scelta di entrare in giunta, anche se gli autonomisti e il sindaco si erano annusati a lungo: non è un caso che il partito di Lombardo, nella città di Archimede, già esprima il presidente del Consiglio comunale.
Il passo successivo, però, suona come una dichiarazione di guerra. E le parole di Gennuso confermano un feeling mai nato: quello fra il presidente della Regione Schifani e lo stesso Lombardo, che nei mesi scorsi ha avuto parecchio da ridire rispetto al capo del governo. Sulla monnezza, sulla sanità, sulle “pratiche indegne” esercitate a Palazzo d’Orleans da alcuni rivali interni, della stessa area di centrodestra, per accreditarsi agli occhi del presidente. A fronte di questo background burrascoso, Schifani e Lombardo avevano trovato il modo di rasserenare gli animi grazie a una riunione di coalizione, coi segretari dei partiti, convocata all’inizio di questo mese. Poi nient’altro. Schifani è andato avanti come un treno sui termovalorizzatori, facendosi nominare commissario e svuotando di poteri Di Mauro, unico assessore in quota Mpa. Lo stesso che Lombardo aveva difeso a denti stretti digrignando i denti dall’assalto del governatore. Anche su altre infrastrutture, vedi Ponte sullo Stretto, c’erano stato malintesi dopo la trattenuta (uno “scippo” per alcuni) di 1,3 milioni dagli Fsc destinati alla Sicilia: “Oggi è la sconfitta dei ricattucci, delle minaccette e delle squallide manovre!”, aveva dichiarato a Lombardo a margine di una visita romana (evitando riferimenti più circostanziati).
Sembrava che su questi precedenti si fosse riusciti a mettere una pietra sopra, ma Gennuso ha riaperto una ferita mai rimarginata del tutto. Con una “minaccia” nel medio termine che suona più o meno così: ci sarà un rimpasto. E se è difficile ipotizzare la cacciata del Mpa dalla giunta di Schifani, è più probabile che ci sia un rimescolamento delle deleghe e che Roberto Di Mauro, con il quale il presidente era già entrato in conflitto per le resistenze sui termovalorizzatori e per uno zelo (eccessivo?) sul fotovoltaico, possa essere davvero destinato ad altro. Almeno stando ai rumors siracusani. Non che Lombardo si faccia intimidire da questi esperimenti muscolari: ha abbastanza scorza per resistere. Ma c’è almeno un precedente che può farlo dormire sereno: risale più o meno a un anno fa, quando si votava per le Amministrative di Trapani.
All’epoca l’assessore regionale alla Formazione, Mimmo Turano, fu spiazzato dal desiderio dei suoi di appoggiare la ricandidatura di Giacomo Tranchida (Pd), anziché fare squadra col resto del centrodestra: dissuaderli fu impossibile. La lista della Lega non si presentò neppure e fu lo stesso Schifani a preannunciare conseguenze: “E’ evidente che questa vicenda verrà discussa e affrontata dal sottoscritto, unitamente ad altri aspetti relativi al check che mi ero predisposto di realizzare nell’interesse dello stato di salute della coalizione”, disse dopo il voto che aveva decretato la sconfitta del centrodestra e del candidato, anche questo di FdI, Maurizio Miceli. Ovviamente, come sempre accade quando bisogna affrontare personalità di spicco – vedi i trascorsi con Manlio Messina e Fratelli d’Italia – non accadde nulla. Se ne parlò a lungo, ma la questione Turano venne derubricata e infine dimenticata. Per Schifani avrebbe significato nuocere agli interessi di Luca Sammartino, che annovera nel suo giro anche l’ex Udc, oltre che della Lega. La questione passò in sordina nella speranza che facesse scuola.
In realtà Schifani non ama battersi coi rivali che sa di non poter sconfiggere. Al Balilla di Fratelli d’Italia, che lo insultò pubblicamente in tv dopo la denuncia dei fatti di Cannes, non ha mai replicato ufficialmente per ribadire la legittimità dei propri atti di governo (a partire dalla revoca in autotutela dell’affidamento diretto di uno shooting fotografico a una società del Lussemburgo). Al contrario: fece trascorrere pochi mesi dalla bufera per presentarsi a un evento, a Brucoli, passato alla storia come il “bacio della pantofola”, per riannodare i fili con la corrente turistica del partito. Farne a meno, in questi mesi di governo difficoltoso e improduttivo, non sarebbe stato possibile. Anche Sammartino, dall’alto dei suoi voti, dei suoi legami politici (Cuffaro) e della sua posizione (vicepresidente della Regione e assessore all’Agricoltura) merita l’immunità da ogni tipo di rancore, diretto o indiretto.
E Raffaele Lombardo non è da meno: rappresenta un partito forte, ramificato e centinaia di migliaia di elettori. Non va giudicato per la scarna presenza in giunta, quanto per la capacità di condizionare la tenuta dell’azione di governo. Grazie ai buoni uffici romani (sia con Meloni che con Salvini); per le alleanze e le federazioni (con la Lega); per la visione e la capacità amministrativa; per la presenza sui territori. Non è nel miglior interesse di Schifani stuzzicare il cane che dorme, anche se l’uscita di Gennuso e la promessa di “ripercussioni politiche” non può essere figlia della lettura di singolo un deputato, bensì di un malessere più strisciante. Non siamo ancora al caso diplomatico, ma poco ci manca. “L’ingresso del Mpa lo abbiamo appreso dalla stampa, di certo – ha rimarcato Gennuso – non ci siamo rimasti molto bene. Ognuno naturalmente è libero di fare le proprie scelte, assumendosi le responsabilità come è giusto che sia”. “Conseguenze”: segnatevi questa parola. Dopo il voto dell’8 e 9 giugno se ne riparlerà. Forse.