Ci sono argomenti sui quali, senza una approfondita conoscenza, a pronunciarsi si rischia di annaspare nella più disarmante ignoranza e si finisce per dare in pasto, a chi è facile all’abbindolamento, teorie populistiche e facili retoriche fasulle, ingozzando chi all’intelletto che latita rimedia con ragionamenti di pancia. Prendiamo la notizia di questi giorni che riguarda l’ergastolo ostativo e la sonora bocciatura che ha subìto l’Italia ad opera della Corte europea dei diritti dell’uomo. Che cos’è intanto l’ergastolo ostativo, o il cosiddetto articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario? E’ il carcere a vita, nel vero senso della parola. Il fine pena mai. O meglio: una data di scadenza la pena ce l’ha: il 31 dicembre 9999; sì, 9999: non è un refuso. E lungo tutta la detenzione, il condannato non potrà chiedere – attenzione, chiedere, non ottenere, non lo potrà neppure chiedere- un permesso, nemmeno di un’ora; figuriamoci la semilibertà, o men che meno la libertà condizionale. Insomma, chi viene condannato all’ergastolo ostativo uscirà dalla cella solo dentro a una bara, quando sarà morto.
Questa forma di condanna è stata introdotta in Italia, unico paese europeo a contemplarla, dopo la strage di Capaci per dare una risposta forte ai boss. Si disse che si trattava di una legge temporanea, ma dopo 27 anni è ancora lì. A chi viene applicata l’ostatività? A tutti quei condannati per reati di mafia, di terrorismo, di sequestro di persona a scopo estorsivo, non necessariamente ergastolani. Attenzione, una strada per evitare l’ostatività c’è: collaborare con la giustizia, come hanno fatto molti carnefici di cosa nostra, e come ha fatto Giovanni Brusca, non esattamente uno qualsiasi, ma l’uomo che ha ucciso e sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio undicenne del pentito Santino; ma è anche colui che premette il pulsante del telecomando che azionò il tritolo che fece saltare in aria Falcone, la moglie e tre agenti della scorta. Brusca ha collaborato, seppur in ritardo e a spizzichi e bocconi, e da allora ha ottenuto un’ottantina di permessi per uscire dal carcere per alcuni giorni. Giusto così si dirà, lo prevede la legge.
Ma tutti coloro che per un motivo o per un altro, soprattutto per evitare ritorsioni ai danni dei familiari, hanno scelto di non collaborare, si sono beccati il carcere a vita, senza poter usufruire di alcun beneficio. Giusto così, si dirà, lo prevede la legge. Peccato che la legge cozzi contro quanto prevede la nostra costituzione secondo la quale, all’articolo 27, chiunque abbia sbagliato, di qualunque reato si sia macchiato, ha diritto a una detenzione umana, che lo possa riabilitare e recuperare. Ora, ragionate con me. Come fa a recuperarsi e a essere restituito alla società un detenuto che dovrà stare in galera fino a quando non sarà morto? Non vi sembra un’incongruenza? Eppure il carcere dovrebbe servire proprio a questo no? A recuperare chi ha sbagliato.
Chiediamoci allora se non siano tutti ammattiti quelli della corte Europea dei diritti dell’uomo che hanno prima accolto il ricorso di un detenuto ostativo, Marcello Viola, che si lamentava proprio di questo, di non avere una speranza, di subire una detenzione inumana, e poi ha rigettato il ricorso del governo italiano. E chiediamoci se non siano rincitrulliti anche quei fior di magistrati, di ex magistrati, di docenti universitari, di scienziati, di professionisti, tutto quel fronte insomma che da anni si batte contro l’ergastolo ostativo. Una battaglia che si erano intestate personalità come Marco Pannella e Umberto Veronesi. E ora che succede? Ecco, è qui il punto.
Sulla scorta della decisione della Corte dei diritti dell’uomo, si sono levate altissime le voci di dissenso della politica, di certa politica. Trasversalmente, a dire il vero. E la maggior parte dei politici, che cosa ha fatto? Ha sbandierato, annegando nella retorica e nella demagogia, i vessilli dell’antimafia per difendere il 4 bis, l’ergastolo ostativo appunto. Dicendo cosa? Dicendo che è stato voluto da Falcone (falso, è stato adottato con il disegno di legge 8 giugno 1992 n.306 e Falcone era morto da due settimane); che è l’unico baluardo contro i boss (falso, le mafie continuano a prosperare e agiscono subdolamente sotto traccia, in giacca e cravatta); che ora usciranno tutti i mafiosi (falso, uscirà solo chi lo merita, a discrezione del giudice).
Ma su quest’ultimo punto va fatto un ragionamento più documentato, cosa che nessuno dei politici che si sono pronunciati in queste ore, ha fatto, per ignoranza, o per opportunismo politico. Qual è la verità? Semplice. La verità che nessuno dice è che se venisse abolito il 4 bis, o comunque rivisitato per non essere più tacciato di anticostituzionalità, la grande novità consisterebbe nel fatto che tutti gli oltre 1200 detenuti ostativi sepolti nelle nostre carceri, potrebbero chiedere al giudice di sorveglianza un permesso, la semilibertà o altri benefici. Potrebbero chiederlo, non ottenerlo! Badate bene. Per chiederlo, un ergastolano dovrà aver scontato almeno 26 anni di carcere, ventisei! Non solo. Dovrà presentare al giudice le cosiddette sintesi in cui dimostri di essere cambiato, di essere recuperato.
Queste sintesi le scrivono i direttori delle carceri sulla base delle valutazioni di assistenti sociali, psicologi, e di tutte quelle figure professionali che operano negli istituti di pena con questo compito: recuperare chi ha sbagliato! Quando al giudice arriverà la richiesta con tutta la documentazione la valuterà e solo dopo potrà decidere se e quale beneficio concedere. Ora, immaginate Totò Riina se fosse ancora in vita e chiedesse un permesso: secondo voi, obiettivamente, un giudice lo accoglierebbe? Come potrebbe dimostrare di essersi recuperato se nelle ore d’aria veniva intercettato mentre parlava con un altro detenuto e gli diceva che al Pm Di Matteo avrebbe fatto fare “la fine del tonno”? Capite quindi che un’eventuale abolizione del 4 bis non spalancherebbe le porte del carcere “a tutti i boss”?
Eppure, in queste ore, molti politici, e perfino molti magistrati che pur dovrebbero saperlo, si lanciano in affermazioni di questo tenore. Prendete il presidente della commissione parlamentare antimafia, il senatore del M5s Nicola Morra. In una lunga dichiarazione pubblicata sui suoi social afferma addirittura che “in Italia l’ergastolo non c’è più”, peccato lo faccia commentando appunto l’ergastolo ostativo, il carcere a vita. Non solo. Morra da’ per scontato che usciranno dal carcere pressoché tutti i mafiosi e dice che coloro i quali hanno un’età ancora “di vigore fisico”, torneranno a delinquere, ad organizzare perfino nuove cosche. Non solo. Sempre Morra teme che il pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo metta a rischio anche il 41 bis, che è cosa diversa dall’ostatività, è il cosiddetto “carcere duro”, quando invece costituzionalisti di livello hanno già escluso questa evenienza.
E con Morra, anche i Salvini, i Di Maio, le Meloni, e molti altri, si sono pronunciati contro la decisione della Cedu che “non sa cosa significhi combattere la mafia”. Con buona pace dei principi enunciati dai nostri padri costituzionalisti, questi signori non tengono minimamente in conto che perfino il peggiore dei criminali possa ravvedersi dopo un quarto di secolo di galera e possa prendere coscienza dei propri errori e dei propri orrori, e diventare un uomo nuovo. Vorrei sommessamente invitare il senatore Morra, ma anche tutti coloro che ne parlano senza conoscere, ad andare nelle carceri italiane ad incontrare alcuni di questi ergastolani ostativi. Gli suggerisco per esempio di andare a parlare con uno degli assassini del giudice Rosario Livatino si chiama Gaetano Puzzangaro, vada a vedere che uomo è diventato oggi.
Puzzangaro è rinchiuso da 26 anni, si trova nel carcere di Opera, e già che c’è, sempre a Opera chieda di parlare con Giuseppe Grassonelli che era analfabeta e ha preso una laurea (le consiglio di leggere il libro che ho scritto con lui a quattro mani “Malerba” Mondadori editore); chieda di parlare con Alfredo Sole, che di lauree ne ha due; con Orazio Paolello, con Domenico Pace, con Paolo Amico; erano tutti ventenni quando sparavano e ammazzavano nelle guerre di mafia che insanguinarono la Sicilia, erano ignoranti, non capivano; oggi sono uomini, sono altro: li vogliamo far morire in galera? Se poi qualcuno volesse completare questo percorso di conoscenza diretta prima di pronunciarsi a vanvera sull’ergastolo ostativo, vada a incontrare Carmelo Musumeci: è un ex ergastolano ostativo. Ex perché dopo quasi trent’anni di carcere, è uscito con la libertà condizionale. Lavora in una comunità e ha il sorriso più buono che abbia mai visto sulla faccia di un uomo. Gli ho telefonato il giorno della “sentenza” della Grande Camera della Cedu, era felice e speranzoso che altri, come lui, che si sono recuperati, possano tornare liberi di rifarsi una vita e mi ha detto che “la mafia non si combatte con il fine pena mai, perché è una pena di morte lenta che distrugge le menti e lacera i corpi”.
Lo ha detto di recente anche Papa Francesco all’Angelus: “Bisogna rendere le carceri luoghi di recupero e non polveriere di rabbia”. Conosco decine e decine di ergastolani ostativi. Ho parlato con loro nei numerosi incontri che ho avuto nelle carceri italiane. So chi sono, cosa hanno fatto e so cosa sono diventati, come si sono trasformati. Giuseppe Grassonelli un giorno mi ha detto “non ho scelto di collaborare con la giustizia non tanto e non solo per evitare ritorsioni contro la mia famiglia, ma perché credo sia un ricatto dello Stato “fammi i nomi dei tuoi complici, imprigioniamo loro e liberiamo te”. No, io non ci sto a questo baratto. Io ho sbagliato ed è giusto che paghi la mia pena fino in fondo. Ma io non sono più quello che ero. Io non sono il reato che ho commesso”. Andate a conoscerli i “pericolosi” ergastolani ostativi, per poterne parlare.