Bufera azzurra su Schifani

Il commissario di Forza Italia e capo della segreteria particolare di Schifani, Marcello Caruso (Foto M. Palazzotto)

Ha dovuto occuparsi dei casi più spinosi, come il disastro dei conti lasciato in eredità da Armao; ha dovuto imbastire le trame per competere col “nemico” di turno, dalla burocrazia regionale all’Anas, passando le compagnie aeree che continuano a imporre tariffe da paura; ha pesato col bilancino le nomine di sottogoverno per non scontentare nessuno; ha dovuto gestire equilibri fragilissimi coi partiti della coalizione, specie con Fratelli d’Italia che l’ha voluto sul trono d’Orleans. Ma diventare anche capo partito, con quel che ne consegue, è un po’ troppo anche per Renato Schifani. Dentro Forza Italia, che l’ex presidente del Senato ha sfilato a Micciché dopo una convivenza travagliatissima e affidato alle cure di Marcello Caruso, suo fedelissimo, cominciano a volare gli stracci.

In attesa che si normalizzi la questione catanese, dove i berluscones non toccheranno palla sulla scelta del candidato a sindaco, a Siracusa il partito è andato in frantumi. Dopo la mancata candidatura a primo cittadino, infatti, l’ex assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera si è autosospeso. E ha comunicato la propria corsa contro Ferdinando Messina (l’uomo scelto dagli azzurri), ottenendo l’appoggio dell’Udc. Bandiera ha dovuto prendere atto “che si è palesemente scelto di abdicare al principio del merito e si è deciso di schierarsi dalla parte di logiche che non mi appartengono, alle pressioni del deputato locale e dei desiderata di chi, come l’on. Gennuso e la sua famiglia, senza il voler valutare le sicure qualità del candidato proposto, cosa che più di me spetterà agli elettori, ha ritenuto di imporre”.

Al netto della battaglia interna fra Bandiera e Gennuso, neo deputato all’Ars e figlio di Pippo (esautorato dall’Assemblea regionale nel corso della scorsa legislatura per grane giudiziarie), c’è una questione più grande che riguarda FI. La Forza Italia di prima e la Forza Italia di adesso, che dopo la fine dell’epoca Micciché – congedato da Berlusconi per il rischio di perdere la quasi totalità del gruppo parlamentare – fatica a inquadrare la nuova gestione sotto il segno della coesione. Il primo a saltare, per dedicarsi a fare l’assessore al Comune di Palermo (così dice lui), è stato Andrea Mineo, miccicheiano doc e, fino ai saluti, coordinatore cittadino. Ora è toccato a Bandiera, che Micciché aveva voluto assessore all’Agricoltura prima di sacrificarlo sull’altare del turnover (con Toni Scilla) a metà mandato. Nemmeno a Bandiera Schifani ha fatto mancare la stoccata: “Non c’è cosa peggiore di quando un responsabile di partito si innamora dell’idea di essere candidato della coalizione – l’ha liquidato il presidente della Regione -. Il coordinatore di Forza Italia in Sicilia, Marcello Caruso, ha portato il nome di Edy Bandiera al tavolo del centrodestra, che ha risposto di ‘no’ alla sua candidatura. Per cui Caruso ha dovuto lavorare su altri nomi”.

Caruso concorda con Schifani ogni passo, come ovvio (e giusto) che sia. Forse potevano gestirla meglio. Invece si ritroveranno un nemico in casa. Nel Siracusano Forza Italia è saltata in aria. Si sono autosospesi anche il coordinatore dei giovani, Matteo Melfi, e il coordinatore di Floridia, Christian Fontana. Il presidente Schifani avrà pensato che si tratta di pesci piccoli, e probabilmente, con tutto il rispetto per le persone, ha ragione. Ma sono anche i segnali che qualcosa comincia a vacillare nei processi di democrazia interna e nella gestione dei mal di pancia. Caruso, da subito, aveva promesso “un partito che vuole dare voce a quanti, moderati e liberali, rappresentano la società civile, l’impresa, l’associazionismo e che vuole dialogare costantemente con i propri rappresentanti istituzionali, sindaci, assessori e consiglieri comunali, supportandone il lavoro”. Tra le primissime nomine, però, spicca quella di Pietro Alongi, postulatore della sanità di Schifani, come coordinatore provinciale a Palermo. Aveva mancato il seggio per la decisione di Micciché di restare all’Ars anziché migrare in Senato: mai scelta fu più devastante.

Tornando al presidente della Regione, si apre una fase calda della sua attività di governo. Ha appena promesso, entrando in combutta col Ministro dello Sviluppo, Adolfo Urso, un taglio alle autorizzazioni nel fotovoltaico, per preservare l’ambiente e il territorio siciliano. Ha inasprito il ricorso all’Antitrust per denunciare il caro voli e il cartello costituito da Ita e Ryanair che impedisce ai siciliani di muoversi a prezzi ragionevoli anche sotto Pasqua. E’ preso da così tante cose e da così tanti impegni che rischia di perdere di vista il benessere di Forza Italia. Anche se lui, in effetti, è un presidente conteso fra Berlusconi e Meloni, che l’ha imposto (via La Russa) al resto della coalizione dopo la rinuncia forzata e dolorosa al bis di Musumeci. Ma è anche il presidente che come primo atto della sua gestione ha deciso di tagliare i ponti con Micciché, lasciando ai suoi uomini una sola possibilità d’inclusione.

Persino Gennuso jr, già concorrente di Bandiera, inizialmente faceva parte della scuderia dell’ex vicerè (e passò alla storia per aver firmato, nel giorno del divorzio, note a favore di Schifani e a favore di Micciché); anche Michele Mancuso, storico ambasciatore miccicheiano, come la new entry etnea Nicola D’Agostino, hanno dovuto adattarsi giocoforza (altrimenti all’Ars non avrebbero cavato un ragno dal buco). Fin qui ha prevalso la tesi del ‘con me o contro di me’. Alla lunga, però, questa scelta potrebbe rivelarsi rischiosa. E Schifani avrà mille impegni da onorare: coi siciliani, con la Regione, con lo Stato (al quale ha proposto di rivedere i termini degli ultimi accordi finanziari); ma anche con chi chiede (inutilmente) spiegazioni sugli scandali del Turismo, coi magistrati – non solo contabili – che vogliono diradare le ombre su Cannes e su SeeSicily.

Ma soprattutto con i leader nazionali di partito: con Berlusconi, che ha incrociato di recente ad Arcore; ma anche con Giorgia Meloni, che l’ha voluto lì, e con Salvini, col quale ultimamente s’è ritrovato su tantissime tematiche infrastrutturali, a partire dal Ponte, che garantirebbero alla Sicilia una via per lo sviluppo. Questa tendenza a voler essere tutto e a voler fare tutto, non è un po’ troppo anche per lui?

Alberto Paternò :

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