La rivoluzione è donna. Bonetta dell’Oglio ce lo dimostra, non solo in cucina ma nell’intervista per dare vita a queste righe, un martedì pomeriggio in una parrucchieria in centro a Palermo. Mentre Bonetta si fa bella per l’incontro dell’indomani, “un importante incontro di lavoro per definire nuovi progetti” – dice euforica – viviamo insieme le fasi del suo percorso estetico, fino all’asciugatura prima di congedarci in attesa di un incontro futuro.
Bonetta è la rivoluzione, se c’è una parola che senti uscire spesso dalla sua bocca è “cambiamento”. “Rivoluzioniamo tutte cose”, dice, iniziando così la nostra conversazione. Non so se Bonetta sarebbe in grado di ribaltare le sorti di quel momento, prendendo in mano pettine e phon o la sua è solo una passione che anima le intense giornate trascorse dietro ai fornelli o nei campi in difesa delle “sue” materie prime. La verità è che Bonetta di rivoluzione se ne intende, eccome! Una rivoluzione di pensiero, prima ancora dei fornelli, in una Sicilia contaminata e accogliente che espone le sue ricchezze partendo dai monti Iblei, le Madonie e i Nebrodi, fino al mare, in un clima così variegato che dà vita alla biodiversità.
Attrezzi di lavoro, biodiversità e microclimi. “Se non avessimo avuto l’accoglienza e la contaminazione, non avremmo avuto le dominazioni che hanno provveduto ad un forte arricchimento nella nostra isola. Non avremmo avuto gli agrumi, i peperoni, le patate, il pomodoro secco, una salsa di pomodoro o la pasta al sugo. Contaminazione è una visione del mondo a tutto tondo”, racconta Bonetta. “Risultati grandiosi li abbiamo anche sulla frutta tropicale. Ci sono luoghi in Sicilia dove esistono coltivazioni tropicali”.
La rivoluzione di Bonetta è dolce e delicata. Fatta di incontri, cene, quindi contatto con l’altro, dove i consumatori si relazionano con la persona che sta cucinando per loro. L’elemento che lega tutto è il piacere.
“Impariamo a consumare i prodotti variegati dell’isola”, continua Bonetta. “Abbiamo un enorme possibilità di variegare tra tartufi, funghi porcini e prodotti tropicali, con una cadenza stagionale di tre mesi”. “Le cose buone si possono fare anche con cose in disuso”, dice. L’atteggiamento generale del siciliano è “non si può fare”. Un panificatore, mediamente, quando gli dici di fare il pane con la farina macinata a pietra, dice che non si può fare perché abituato ai miglioratori, agli enzimi e ai malti. Poi lo realizzano e dicono che si può fare”.
Rivoluzione è allora una rivoluzione culturale, del pensiero, per comprendere profondamente i gesti che stanno alla base dell’agricoltura. “Se c’è un consiglio spassionato che darei agli chef, è quello di trascorrere sei mesi nei campi prima di passare in cucina”.
In Sicilia siamo vittime di scandali del consumo. Potremmo essere un’isola indipendente, esportiamo più farine, più grano per gli altri più che per noi. La rivoluzione è andare al supermercato e dire “No!”. Se ci spostiamo sugli allevamenti, la Sicilia predilige gli allevamenti estensivi, quelli al pascolo, e in “etica”, dove gli animali mangiano quello che la natura produce, quindi c’è una riduzione enorme dei consumi di acqua. Il siciliano deve comprendere che se fa in questo modo, si avrà un rilancio della salute e dell’economia!”.
Rivoluzione dell’economia? Faccio la spesa all’ard discount con pochi euro non badando al valore del prodotto. Pago poco, mi riempio la pancia, starò male perché quei prodotti creeranno disturbi. La gente è sempre disposta a investire sulle case farmaceutiche. “Perché non siamo disposti a pagare 2, 3 euro al kilo, di pane, in più riconoscendo la dignità dell’agricoltore, del mugnaio, dell’artigiano che l’ha lavorato?”. Con facilità ci fidiamo e andiamo a comprare prodotti non autoctoni.
Il cibo è la nostra medicina, se mangi bene non avrai bisogno di introiettare altre sostanze. La rivoluzione dovrebbe essere compresa dai medici. Quando si parla di grani antichi, autoctoni, i medici consigliano il kamut. “Perché dobbiamo pagare le royalties americane quando abbiamo i nostri grani che sono il nostro vero DNA?”.
Quando alcuni dicono che mangiare bene è un lusso, dico che la rivoluzione è alla portata di tutti, partendo dalle cose semplici. Tutti abbiamo una campagna, un amico che ha un campo, un’azienda agricola, le uova delle galline dello zio. La rivoluzione è anche nel modo di fare la spesa. La gente potrebbe approvvigionarsi il formaggio al caseificio, lo pagherà meno, lo metterà sotto vuoto e poi in frigo. La carne la comprerà dall’allevatore. Per chi vuole risparmiare ci sono supermercati alla portata di tutti, con cibo selezionato e roba siciliana. A tutti i consumatori dico “Imparate anche a leggere le etichette”.
Il gusto si costruisce. Nelle case portiamo la tuma, il primo sale, il pecorino, non il galbanino. Quando impari a mangiare bene non potrai più tornare indietro.
La cucina di Bonetta è una cucina estrema. Fatta di ricerca dei materiali e del gusto e accogliente. La sua cucina hai dei principi etico/morali molto profondi, che affonda le radici nella conoscenza della vita degli animali e nell’agricoltura biodinamica di Rudolf Steiner.
“Lavoro e ho lavorato tanto sugli allevamenti, voglio allevamenti dove gli animali non soffrono, dove vengono portati al mattatoio, non in uno stato di sofferenza ma con grande rispetto”.
I prodotti che utilizzo maggiormente? “Il miele, un totale sostitutivo dello zucchero che uso per i dolci. L’ape nera sicula, salvata dal professore Pietro Genduso quarant’anni fa, un’ape antichissima, che difendo a spada tratta”. Oggi utilizzo anche il polline. Il grano per la pasta e il pane trasformato in mille modi.
La rivoluzione è anche nel latte. “Consumiamone poco”. “Sviluppiamo un allevamento in etica, come facevano i nostri nonni, dividendo il latte con il vitello”. I vitelli subiscono una sofferenza pazzesca, la stessa delle madri che sono private dei loro figli alla nascita.
Grano, carne, latte e pesce povero. “Mangiamo sarde, alici, occhioni e mangiaracina”, consiglia. Tutti mangiano tonno e spada. Quanto tonno c’è nel nostro mare? Rivoluzioniamo anche questo. “Non parliamo delle uova, consumiamo uova di gallina, libere di svolazzare, che non siano tenute in gabbie mostruose, con i piedi feriti, luce notte e giorno e antibiotici”.
“Un piatto cucinato di recente è il filetto di lampuga”. Capone con purè di mele cotogne e aglio fermentato. Siamo abituati al gusto dolce delle mele. Il piatto consiste in un’acidità che si sposa bene con il pesce. Un altro piatto è la “Cupola araba”, dedicato a Palermo. Fatto con grano antico, il bidì (grano duro spezzato con molitura a pietra). Una specie di cous cous più grezzo, cucinato nelle versioni: vegetariana, terra e mare.
I miei sogni nel cassetto? “Aprire un’accademia dedicata ai giovani, con numerosi colleghi chef da coinvolgere. Amo i giovani, l’educazione al gusto e penso che quello che si dovrebbe realizzare sono maggiori licei gastronomici”.
Una cosa affascinante che ho scoperto? Fare la mostarda con la senape selvatica siciliana e scoprire che ha una forza incredibile, fatta di intensità e piccantezza. Seconda cosa: trattare le verdure spontanee. “Attraverso dei forager, ho la fortuna di avere le verdure di stagione. Lavorandole le ha trasformate in granita e chips”.
È così che si conclude il percorso “estetico – gastronomico” con Bonetta, che tra una spazzola e un phon mi trasmette il valore dell’essere donna e tutta la sua passione per la cucina e la vita. Una donna appassionata, una chef siciliana, che irrompe nella modernità scardinando un concetto maschilista profuso nella ristorazione.