Boia chi molla. I patrioti che per cinque anni hanno spadroneggiato tra i corridoi di Palazzo d’Orleans non mollano la presa. Con Nello Musumeci erano le stelle del cerchio magico, quelle che stringevano tra le mani i conti pubblici, la sanità, i milioni del Turismo. I tre sembravano dispersi: Gaetano Armao, dopo l’ennesimo cambio di casacca, è naufragato nello zero virgola di una campagna elettorale tanto azzardata quanto sfrontata; Manlio Messina, meglio noto come il Balilla o il Cavaliere del Suca – scegliete comodamente voi – ha trovato rifugio a Montecitorio e non piritolleggia più per teatri, giri d’Italia e orchestre allo sfascio; Ruggero Razza ha alluvionato di tac e ogni altra attrezzatura sanitaria la provincia di Enna nella speranza di regalare un seggio alla moglie Elena Pagana ed è rimasto a piedi, come la sua consorte. Ma nonostante le sconfitte e le batoste, non si rassegnano: accerchiano, con ogni mezzo e con ogni metodo, il presidente Renato Schifani. Chiedono di mantenere fette di potere, invocano compari e protettori, sollecitano coperture. Insomma, vogliono ancora comandare.
L’esempio più clamoroso è quello di Manlio Messina, un camerata catanese di seconda o terza fila che per volontà del suo padrino politico – Francesco Lollobrigida, potentissimo cognato di Giorgia Meloni – fu imposto tre anni fa a Musumeci come assessore al Turismo in sostituzione di Sandro Pappalardo, che era invece un uomo mite, rigoroso e soprattutto colto. La sua elezione a deputato nazionale, avvenuta il 26 settembre, lasciava intendere che la sua storia al Turismo regionale fosse definitivamente conclusa e che tutte le lobby che gli ruotavano attorno fossero comunque rassegnate al cambio di cavallo. Invece no. Proprio in queste ore il potente e nobile Cognato ha fatto sentire la sua voce e ha battuto sul tavolo il suo pugno di ferro: pretende che Schifani nomini al vertice dell’assessorato che fu del Balilla un uomo di Fratelli d’Italia e precisamente Francesco Scarpinato, un consigliere comunale di Palermo arrivato terzo alle elezioni regionali. La tesi ufficiale è che il partito della Meloni vuole “dare continuità al lavoro degli uffici”. In realtà il Cavaliere del Suca chiede, per voce del suo potente protettore politico, che al suo posto vada un amico fidato: soprattutto un amico che non lanci sguardi molto curiosi, che mantenga gli equilibri consolidati, e che continui, con la banalissima scusa di promuovere le bellezze della Sicilia, a lucidare i bilanci di Mediaset, della Gazzetta dello Sport e di altre lobby sparse tra la propaganda e la comunicazione.
Schifani non ha ancora dato una risposta. Di certo quello di Lollobrigida è un consiglio che non si può rifiutare. Ma all’un tempo pone il presidente della Regione – “Voglio solo assessori che siano stati eletti a Sala d’Ercole” – nella drammatica e poco edificante condizione di smentire se stesso. Come finirà? Se abbandona la regola degli eletti e cede al principio della controfigura, sostenuto da Lollobrigida in nome e per conto di Manlio Messina, il presidente della Regione dovrà accontentare anche Razza che propone la promozione della moglie, Elena Pagana. L’ex assessore alla Sanità non preme a caso: si fa forte di un impegno che Schifani avrebbe solennemente preso con Musumeci; un patto, mai smentito, che doveva rimanere segreto ma che è stato reso pubblico da Mario Barresi con un articolo scritto per La Sicilia.
Sembra invece già esaudita – e non poteva essere diversamente – la richiesta di Gaetano Armao, apparentemente messo fuori gioco dalla disastrosa candidatura con il Terzo Polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Schifani non l’ha fatto nemmeno fiatare. Poteva scegliere, per l’assessorato al Bilancio, una persona esperta come Roberto Di Mauro, del partito autonomista di Raffaele Lombardo. Ma ha preferito indicare Marco Falcone, catanese, ufficialmente di Forza Italia e in realtà musumeciano di ferro. Nella passata legislatura lui e Armao erano le teste di ariete che l’ex governatore lanciava alla bisogna contro Gianfranco Miccichè. Ora si ritrovano. Con un duplice obiettivo. Come sanno persino i bambinetti dell’asilo contro la gestione Armao avanza, inarrestabile e implacabile, il rullo della Corte dei Conti. I magistrati contabili hanno già scoperto una voragine di quasi un miliardo di euro e intendono scavare oltre. Sono intenzionati a trovare riscontri e verità sia nello scandalo del censimento farlocco che ha consentito a un avventuriero piemontese, Ezio Bigotti, del quale Armao è stato consulente, di mettere le mani su oltre cento milioni della Regione; sia nelle acrobazie finanziarie della liquidatrice dell’Ente Minerario, Anna Lo Cascio, nominata ad hoc dall’ex responsabile del Bilancio e sua persona di fiducia. Falcone sarà non solo l’amico che fornirà al suo predecessore tutte le garanzie necessarie. Ma anche l’assessore che, quando sarà il momento, proporrà la candidatura di Armao alla presidenza dell’Irfis, l’istituto di credito regionale che Musumeci e il suo cerchio magico hanno trasformato in un bancomat di pronto intervento. Succederà, si accettano scommesse. La proposta di Falcone si ispirerà a una vecchia regola democristiana secondo la quale ai trombati, come Armao, andava assegnato un incarico di dimensione pari ai disastri che avevano provocato. Schifani e la sua giunta approveranno. E’ già scritto nel cielo.