Il tempo scorre inesorabile, ma del Bilancio della Regione nemmeno l’ombra. L’assessore all’Economia Gaetano Armao, nel corso della seconda votazione sull’autorizzazione all’esercizio provvisorio – il 16 gennaio scorso – aveva annunciato che il governo avrebbe trasmesso all’Ars la bozza entro il 3 febbraio. In tempo utile per consentire al Parlamento, non solo all’Aula ma anche alle commissioni di merito, di approfondire i nuovi documenti contabili, cioè la Legge di Bilancio e di Stabilità, nei 45 giorni previsti dalla Legge. E passare poi agli emendamenti, alla discussione generale e al voto. Entro e non oltre il 30 aprile, quando scade il periodo dell’esercizio provvisorio (di quattro mesi). Al 15 febbraio, però, la bozza annunciata non è mai stata trasmessa all’Assemblea regionale.
La commissione Bilancio, in questi giorni, è stata in altre faccende affaccendata. Anche se si è mossa lungo la direzione sancita dalla Corte dei Conti con l’ultimo, catastrofico giudizio di parifica: ha convocato, infatti, i vertici di alcune società come la Seus, il Parco scientifico e tecnologico e l’Ast per parlare del riordino delle partecipate, in base a una delibera di giunta del 30 dicembre scorso che prevede, fra le altre cose, la riduzione del 5% delle spese di gestione, il blocco totale delle assunzioni (tranne che per Irfis) e la liquidazione (entro giugno) di tutte le società già avviate nell’iter, fra cui Sicilia Patrimonio Immobiliare. E’ un gesto quasi simbolico, che si unisce ad altri (dalla cessione della quota di partecipazione al fondo immobiliare, passando per la vendita degli uffici di rappresentanza a Roma e Bruxelles) per ottemperare alla richiesta del Consiglio dei Ministri: che in cambio della concessione di una dilazione decennale del maxi disavanzo da 2,1 miliardi, ha chiesto di centellinare le spese, e diminuire i costi della pubblica amministrazione. Un concetto a cui la Sicilia è sempre risultata allergica.
Fra l’altro, questa settimana, Armao si è visto poco in commissione. Ha fatto la spola fra Milano, per presentare le startup dei giovani imprenditori siciliani, e Bruxelles, dove si è insediato in seduta plenaria il comitato delle Regioni, che quest’anno avrà due rappresentanti siciliani: oltre all’assessore all’Economia c’è pure il presidente Musumeci. Così la stesura della Finanziaria ha subito qualche rallentamento. E non si sa ancora entro che termini le bozze annunciate il 3 febbraio finiranno ai deputati (non solo alla Bilancio, ma in tutte le commissioni di merito) per una prima analisi e le relative modifiche. Poi varcheranno le porte di Sala d’Ercole, dove si gioca una partita cruciale.
Il Bilancio di previsione, che grazie al decreto “Salva Sicilia” approvato all’antivigilia di Natale dal governo Conte, sarà un po’ meno ingessato del solito – ma comunque rigido ed essenziale – necessita di cure e approfondimenti. Perché al suo interno dovrà contemplare il pacchetto delle riforme auspicato da Roma (entro 90 giorni, si disse) che in caso contrario potrebbe accorciare i tempi per “ripagare” il disavanzo: da dieci a tre anni. Congelando la spesa. Più di quanto non sia avvenuto alla Regione negli ultimi mesi. In questi primi sprazzi di 2020, infatti, sarà possibile operare soltanto in dodicesimi, sulla base di quanto previsto nel Bilancio dello scorso anno: l’esercizio provvisorio ha autorizzato lo sblocco degli stipendi e di alcuni contributi per associazioni e teatri che ormai da mesi attendevano risposte (e risorse) da Armao & friends. Nient’altro che una mossa “tecnica”.
Nel prossimo Bilancio, che stando alle promesse di Musumeci non godrà di alcun “collegato” (riducendo, pertanto, i margini di manovra di assessori e singoli deputati), verranno messi in circolo altri soldi, ma le risorse restano limitate e vanno calibrate a dovere. L’obiettivo della Regione è ottenere il massimo dal negoziato avviato in questi mesi al Ministero dell’Economia, e che secondo Armao dovrà concludersi entro la scadenza dell’esercizio provvisorio. Allo scopo, evidentemente, di ottenere risorse aggiuntive da utilizzare nella prossima Finanziaria: “Lo Stato deve riconoscere alla Sicilia le previsioni delle attuazioni statutarie e consentire la chiusura di un accordo di finanzia pubblica come quello che è contenuto nei limiti e nei vincoli sottoscritti con le altre Regioni – ha tuonato Armao – La Sicilia non può restare esclusa”. Anche se il vice-governatore continua a sostenere che “i conti sono in ordine” e che non si accettano “cure da cavallo”.
Armao è riuscito a far passare il messaggio che l’accordo strappato prima di Natale al Consiglio dei Ministri sia un “atto dovuto” alla Sicilia. E non, al contrario, che lo Stato abbia fatto valere un’eccezione rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo 118 del 2015 sulla contabilità armonizzata. Ossia che tutti i governi regionali avrebbero dovuto provvedere per tempo al calcolo e alla dilazione dei residui attivi che negli ultimi trent’anni avevano finito per “taroccare” i bilanci. La Sicilia non l’ha fatto, non completamente, e ora si ritrova con questo macigno sulle spalle.
Ma questa è una storia che appartiene al passato. Il presente dice che a palazzo dei Normanni l’attesa è spasmodica. In questi giorni, per ingannarla, i deputati si sono esercitati nell’approvazione di alcune leggi minori, come l’attivazione del sistema “Sigema” contro l’inquinamento nei poli industriali (una norma a rischio impugnativa, perché potrebbe comportare spesa), l’introduzione del pensiero computazione (alias, il “linguaggio dei robot”) nelle scuole, e norme in materia di cimiteri e riti funebri. Si andrà avanti a galleggiare finché il governo non proporrà la manovra. Un membro della commissione Bilancio indica nei primi di marzo la “deadline” per visionare le bozze. O si rischia di andare ancora una volta fuori tempo. Ma stavolta, a seguire la genesi della Finanziaria, sarà anche il governo Conte, che ha tutte le intenzioni di far rispettare gli accordi stipulati a dicembre. E che a propria volta, con le negoziazioni in corso d’opera al Mef, avrà la possibilità di dimostrare che la Sicilia non è in coda ai suoi pensieri.
La principale occupazione del governo, però, sarà quella di temperare gli umori in aula. Il Movimento 5 Stelle, al netto del suo codazzo di “responsabili”, ha bocciato senza appello l’esercizio provvisorio, ritenendolo una farsa. E ha fatto asse col Pd: una discussione così delicata potrebbe riproporre una battaglia sul filo del rasoio, dato che a Sala d’Ercole non esiste una maggioranza numerica che possa garantire Musumeci e il centrodestra. Il coinvolgimento emotivo dei grillini sarà persino superiore rispetto all’anno scorso (la manovra fu approvata il 10 febbraio), dato che costituiscono la cerniera naturale fra il governo nazionale e quello regionale. Ma anche il Pd, con il ministro Provenzano che tiene d’occhio la situazione, non abbasserà la guardia. Ci sarà da fremere.