Da Renato Schifani non una parola sull’emergenza rifiuti che attanaglia Palermo (ma un milioncino per dare una mano a ripulirla: basterà?). La città, perennemente in bilico fra l’adorazione per la Santuzza e lo schifo della monnezza, s’è risvegliata bruscamente dall’incanto del Festino e attraversa l’ennesima stagione critica. Potremmo ripescare un articolo a caso delle estati precedenti, e ritrovarci con i soliti problemi: la Rap ha problemi d’organico ma non riesce ad assumere (addirittura si sta valutando di precettare gli amministrativi e gettarli per strada a ripulire); gli operai rimasti trascorrono più tempo in “malattia” che al lavoro; i mezzi sono vetusti e nessuno li ricompra. Metteteci i tentativi di sabotare la discarica di Bellolampo, e la frittata è completa.
La quinta città d’Italia continua a fare notizia per la spazzatura abbancata sui marciapiedi. Qualche giorno fa il Giornale di Sicilia esibiva otto fotografie, da diversi punti della città, con i cassonetti stracolmi e la vista oscurata da montagne di spazzatura maleodoranti. Non se ne esce. E neppure le soluzioni approntate dal sindaco Lagalla, che sui rifiuti misurerà l’esito della sua esperienza amministrativa, rischiano di risolvere il problema. Il contributo straordinario erogato dalla Regione, che l’ha portato a ringraziare Schifani e sancire la tregua, sarà impiegato per fare “ricorso ad un maggior numero di ditte esterne che possano coadiuvare Rap nel recupero e nello smaltimento dell’arretrato, in particolare nelle aree più congestionate dalla presenza di cumuli di rifiuti, in modo da raggiungere una normalizzazione dei servizi”.
Il piano prevede l’utilizzo di operai “esterni”, una mossa che pare propedeutica a un altro passaggio quasi obbligato: vale a dire l’esternalizzazione del servizio. Lagalla ha dato tempo a Rap, la municipalizzata che si occupa della raccolta e del conferimento, fino al 30 settembre per “una innovazione del modello organizzativo”, e fino al 31 dicembre per le “valutazioni decisive” sul suo operato. Segno che qualcosa bolle in pentola, come rilevato dai numerosi interventi di queste ore a supporto del piano-B. I patrioti Carolina Varchi, già vicesindaco, e Raoul Russo, senatore della Repubblica, spingono per trovare “subito altre strade”. Anche il segretario regionale di Noi Moderati, il palermitano Saverio Romano, punta i piedi: “La gravissima situazione della crisi idrica in atto in Sicilia come quella relativa alla raccolta e gestione dei rifiuti nella città di Palermo richiedono una visione laica e un approccio nuovo e diverso”. E prosegue: “Occorrono strumenti diversi, competenze e risorse all’altezza, un know how all’avanguardia e personale adeguato”. Cose che nel pubblico non si trovano.
Di certo non mancherebbero i pretendenti. La monnezza è un affare milionario e i privati, su questo fronte, sono sempre all’erta. A Palermo si aggiudicherebbero anche la gestione della discarica di Bellolampo, su cui la Regione è rimasta indietro. “Abbiamo dei ritardi – dice Giuseppe Todaro, presidente del CDA di Rap – a causa della mancata consegna della seconda parte della settima vasca. Sono arrivati tutti i pareri. Nei prossimi giorni contiamo di definire la consegna”. Anche quella andrà ad esaurirsi nel giro di poco tempo. Intanto le responsabilità s’intrecciano e nessuno può dirsi esente da colpe. “Musumeci era commissario per la discarica palermitana e se la settima vasca funziona solo in piccola parte la colpa è anche e soprattutto sua”, dicono gli esponenti dei Cinque Stelle.
In questo impazzimento estivo, ciò che conta è la sostanza. Palermo è invasa dai rifiuti. E’ condizionata dai suoi trascorsi, dell’approccio culturale della sua gente – così devota nei confronti della Santuzza e del tutto insensibile al corretto smaltimento della monnezza – dall’apatia di una classe politica che non ha più saputo risolvere un problema. Ne era testimone Leoluca Orlando, con la spregevole vicenda del cimitero dei Rotoli, ma anche Lagalla – al netto dell’arte oratoria – è sulla buona strada. Un’altra municipalizzata, l’Amap, ha deciso un piano di razionamento che gli altri, dal sindaco in giù, sono stati costretti a sottoscrivere: per la serie, bere o affogare. Sui cantieri e sulla monnezza non si vedono passi avanti, ma passi indietro. E i soliti buoni propositi si rincorrono senza portare soluzioni.
E semmai qualche fotografia dello Zen, di Brancaccio o dell’Albergheria dovesse finire sul New York Times, a corredo di un articolo intitolato “Palermo under rubbish”, chi avrà il coraggio di smentire il giornale e rassicurare i turisti che quella non è monnezza ma cumuli artistici di cartapesta? Chi avrà la forza di rilanciare l’immagine della città arabo-normanna che vive solo di splendore? Il sindaco Lagalla, entrato da qualche mese nelle grazie del segretario nazionale di Forza Italia? O l’assessore Aristide Tamajo, “padre d’arte” di Edy, bravissimo e popolarissimo assessore regionale alle Attività produttive? O magari Pietro Alongi, piazzato all’assessorato all’Ambiente da Schifani in quanto postulatore della sua santità? O, forse, il governatore in persona, che sta facendo fronte a mille emergenze, ma non trova abbastanza fiato per aggredire e rimuovere la terribile monnezza palermitana?
Magari ci penserà direttamente la premier Giorgia Meloni, che a Palermo conta su un feudo non indifferente di patrioti, sempre pronti a disquisire di ordine e legalità. Gli unici a riuscirci – e su questo tutti convengono – però potrebbero essere i privati. Dopo il 31 dicembre se ne ritornerà a parlare. Intanto la stampa internazionale può sguazzare nelle nostre rovine.