In attesa di risolvere il problema della siccità con una cabina di regia, Schifani rimane impantanato sui manager della sanità. Sarà l’effetto della campagna elettorale, che diluisce gli impegni. Ma a 25 giorni dal silenzio-assenso accordato dalla prima commissione dell’Ars – un esempio di pavidità con pochi eguali – il governo non è riuscito a esprimere una sola parola d’apprezzamento sul nome dei 18 commissari che, alla fine della fiera, dovrebbero diventare direttori generali di Asp e ospedali. Pare, quindi, che l’esecutivo guidato da Renato Schifani non sia d’accordo neppure con se stesso. L’assessore fantasma alla sanità, Giovanna Volo, ha rassicurato sul fatto che la ratifica dei manager – il cui decreto di nomina reca la data del 31 gennaio – dovrà avvenire entro i 45 giorni che precedono le elezioni Europee, ma non si capisce per quali dannati formalismi sia tutto fermo.
Se adotteranno lo stesso metodo con la siccità, cinque milioni di siciliani – a breve – rischieranno di morire di sete. Per chi non è un frequentatore assiduo dei palazzi, è difficile comprendere. Intanto il motivo per cui slittano le nomine; e poi perché se ne parli così tanto. Bene: il regime di commissariamento non consente la pianificazione degli interventi nel medio-lungo termine, perché qualsiasi decisione sarebbe “impugnabile”. E nessuno vuole assumersi il rischio di aprire contenziosi, tanto meno di dover programmare interventi economicamente cospicui, salvo poi doverseli rimangiare. In pratica, da oltre 60 giorni, la sanità è commissariata. Una svolta potrebbe arrivare all’inizio della prossima settimana, ma rimarranno comunque incagliate le posizioni di direttori sanitari e amministrativi, che formalmente è il dg a scegliere (ma solo sulla scorta di ben precise indicazioni politiche). Au revoir! Se ne riparla a metà giugno.
La sanità, nel frattempo, è allo sconquasso e rimane succube di alcune satrapie che non consentono l’erogazione dei servizi e, come nel caso dell’Asp di Palermo, la liquidazione dei pagamenti. E’ il caso della commissaria Daniela Faraoni, che dovrebbe scucire i milioni destinati alle strutture convenzionate e che, nonostante il pressing del Direttore della Pianificazione strategica, trova riparo dietro i calcoli e gli errori del Servizio Economico-finanziario della sua stessa azienda per non farlo.
Mentre il sistema sbraga, i politici galleggiano. In cima ai pensieri del governatore e degli assessori, al netto di qualche misura tirata in ballo dalla stampa – dalla siccità agli incendi, passando per i collegamenti con le isole minori – c’è soltanto la campagna elettorale, l’affissione dei 6×3, gli sgambetti da architettare nei confronti dei rivali interni. Per il resto l’esecutivo è fermo: il presidente della Regione, sempre molto preso dai nastri e dai convenevoli (come il gran galà per quelli di WeBuild), ha perso di vista l’attività di governo e annaspa da quasi un paio d’anni senza produrre una riforma. Gli dà una mano l’Assemblea regionale, che sembra la copia sbiadita di un parlamento qualunque. Nella noia di questi giorni, dove non si riesce neppure ad approvare una mozione bipartisan per il rilancio dell’agricoltura, l’ultima iniziativa (che però non è affatto un’invenzione) è riproporre il test antidroga che lo scorso anno ha registrato l’adesione di 33 deputati su 70.
E’ stato Galvagno a riproporla, con tanto di avvertenza ai giornalisti che non potranno presenziare “stabilmente” presso l’infermeria dove, a cura del Policlinico, verrà effettuato il prelievo del capello. Il motivo? Il test è assolutamente volontario, anche se la caccia alle streghe è già cominciata: “Cos’hanno da nascondere i colleghi che non lo fanno?”, ha tuonato l’on. La Vardera. Chi è meno avvezzo alle trovate pubblicitarie, martedì prossimo si terrà alla larga da microfoni e smartphone. Ma tutti quanti insieme dovrebbero trovare la forza di andare in aula e trattare qualche argomento utile, o avere il coraggio di chiudere tutto fino al 9 giugno. Ieri la commissione Affari istituzionali – la stessa del silenzio-assenso sui manager – ha votato il rinvio in commissione di un disegno di legge di riordino degli enti locali. La seduta si è chiusa, dopo un’oretta di blanda discussione, con una manciata di deputati in aula e i banchi del governo desolatamente vuoti.
Forse si è sempre fatto così, ma qualcosa lascia pensare che questa volta si sia superato il segno. Che si sia smarrito il senso delle istituzioni. Perché qui non è solo questione di una campagna elettorale alle porte, ma di un problema endemico e strutturale che sta attaccando le istituzioni regionali sin dalle fondamenta. All’Ars si lavora soltanto durante le sessioni di bilancio, per il resto si perde tempo. Anche la mozione sull’agricoltura, per dire, non avrebbe risolto un bel nulla (avrebbe semplicemente impegnato il governo ad assumere delle iniziative). Ma dopo averla condivisa e dibattuta per oltre tre ore e mezzo, l’altro ieri i deputati si sono accorti della sua inadeguatezza, mettendo a nudo il lavoro così così degli uffici. Col risultato di rispedirla indietro per l’elaborazione di un documento di sintesi da mettere ai voti.
Sarebbe dovuto tornare in aula proprio ieri, ma il presidente pro-tempore Di Paola ha annunciato che non è ancora pronto e che se ne riparlerà la settimana prossima. Sempre che il test antidroga e le dirette su Facebook lascino spazio a un sano e articolato dibattito (l’ennesimo). Il problema è che anche i tempi di questa mozione sembrano del tutto incompatibili con le difficoltà del settore. Non più tardi di una settimana addietro, quando l’emergenza idrica faceva capolino su tutti i giornali, il vicepresidente e assessore al ramo, Luca Sammartino, lanciava un grido d’allarme: “Le previsioni meteorologiche per le prossime settimane e l’arrivo degli anticicloni africani sperimentati già a Pasqua, non fanno ben sperare per il futuro prossimo. Per quanto riguarda l’agricoltura, il comparto in Sicilia potrebbe subire un tracollo di reddito e occupazione. Rischiamo la compromissione e la perdita definitiva delle colture permanenti (agrumi, frutta, vigne) e la moria diffusa del bestiame, con i conseguenti problemi di ordine sanitario. I danni, stimati dal dipartimento dell’Agricoltura, oscillerebbero tra uno e 2,5 miliardi di euro”.
Due miliardi e mezzo di euro. Ma all’Ars non hanno trovato il tempo di leggere e correggere un documento. Di votarlo. Di trasmetterlo al governo. Che, dal canto suo, avrebbe dovuto interrompere questo lungo letargo e mettersi al lavoro per tamponare l’emergenza. Questo avviene nelle regioni normali. In quelle a statuto speciale come la Sicilia, invece, ci si prepara al grande test: quello del capello.