L’inchiesta sulla sanità siciliana si è accavallata, nei tempi, all’approvazione della Finanziaria più infelice degli ultimi vent’anni. E il governo Musumeci, che a Sala d’Ercole è andato sotto più volte, non è riuscito a gestire la pressione. Ne sono prova alcune uscite dei suoi massimi esponenti: in primis, il presidente della Regione. Che nel tentativo (legittimo) di difendere l’ex assessore alla Salute, Ruggero Razza, si è lasciato andare a una serie di considerazioni poco consone al proprio ruolo. Nel corso di un incontro con i direttori generali delle Asp, al PalaRegione di Catania, Musumeci ha puntato il dito contro i “delinquenti politici” che hanno colpito al cuore l’amministrazione regionale: sembra più che evidente il riferimento ai magistrati, che giusto qualche giorno prima, durante l’arringa difensiva a Sala d’Ercole, erano stati invitati a fare “meno passerelle” e dare “meno interviste”. L’inchiesta su dati falsificati e sui “morti spalmati” è nata dalla Procura di Trapani, prima di essere trasferita per competenza territoriale a Palermo.
Nel racconto di Mario Barresi su ‘La Sicilia’, inoltre, il governatore avverte i manager: “Siamo tutti sotto attacco, non dimenticatelo”. Interpretando il ruolo della vittima. Del presidente “che in vita sua non ha mai ricevuto un avviso di garanzia”, e sta pagando a caro prezzo l’impegno, assieme al suo assessore prediletto, a “risanare un settore in cui negli ultimi decenni s’erano mangiati pure i tavolini”. I riferimenti al passato erano emersi, in maniera talvolta turbolenta, durante il dibattito di giovedì scorso all’Ars, quando lo stesso Musumeci, prendendo spunto da un intervento di Cracolici, non solo aveva puntato il dito contro la commistione fra governo Crocetta e sistema Montante (al vaglio della magistratura), ma era inciampato su quello che lo stesso Crocetta ha ritenuto un “pettegolezzo omofobo”: cioè la vicenda dello sbiancamento anale. Mai provata da alcun tribunale. Sempre Musumeci, in seguito al retroscena pubblicato da ‘La Sicilia’, ha tradito un certo livore: chiedendo la rettifica sullo strumento di comunicazione utilizzato al ministro Speranza per condividere “l’amarezza” in merito alle note vicende: non un messaggio su Whatsapp, bensì una telefonata.
Anche il vicepresidente Armao, di recente, è un po’ nervosetto. Oltre all’attacco intimidatorio nei confronti di Buttanissima (e la minaccia di una querela) per l’ormai arcinota vicenda della convenzione con la Bei – a proposito: il governo ha confermato che si farà, nonostante il mancato utilizzo di un milione e mezzo da fondi regionali per attivarla – l’assessore all’Economia, con un linguaggio rivedibile, ha replicato a una nota vocale del sindaco di Messina, Cateno De Luca, sulla vicenda dei serbatoi idrici di contrada Montesanto nella città dello Stretto. “De Luca, come diciamo a Palermo, va sucati un prunu”, è stata la risposta a Cateno, abilissimo di per sé nell’utilizzo del torpiloquio (“Gaetano, te lo dico con tutto il cuore: fate schifo”). Solo che questa volta il colloquio privato è divenuto pubblico e i rapporti istituzionali – quelli di fra De Luca e Musumeci sono già ai minimi termini – potrebbero risentirne. L’arte del governo, ultimamente, va a braccetto con una sgradevole propensione all’arroganza. A chi giova?