Alla fine ha vinto Gianfranco Miccichè, che è riuscito a far breccia in Silvio Berlusconi e assicurarsi una candidatura di prestigio alle Europee. Palermitana ovviamente. Quella di Giuseppe Milazzo. Per capire se sarà una vittoria di Pirro, occorre però la prova delle urne. L’ala catanese del partito, infatti, s’è staccata. Prima Basilio Catanoso, che s’è dimesso da vice coordinatore regionale con un comunicato al vetriolo. E poi Salvo Pogliese, il grande sconfitto delle ultime settimane. Che ha preferito anticipare i rumors e comunicare l’abbandono di ogni incarico: “Purtroppo, devo prendere atto che il partito per cui mi sono sempre coerentemente battuto, anche stavolta in Sicilia ha imboccato la strada dell’autodistruzione, una logica a cui non possiamo ancora sottostare e che ci impone di essere conseguenziali e alternativi a un certo modo di intendere la Politica”. Pogliese fino alla fine si è battuto per la candidatura di Giovanni La Via, agronomo ed eurodeputato in carica. Ne è uscito a pezzi.
Ciò che per il Partito Democratico ha rappresentato il congresso – lo sconquasso – per Forza Italia rischia di diventare questa lunga (prima) fase di campagna elettorale, che si è conclusa ieri con l’ufficializzazione delle liste. Nessun compromesso storico. Alle interlocuzioni con Berlusconi si è arrivati armati fino ai denti. E se Pogliese, che è il sindaco della seconda città più grande d’Italia amministrata dal centrodestra, ha cercato la sponda di Antonio Tajani per rivendicare un “peso” nelle scelte di un partito in cui ha smesso di riconoscersi, Micciché – che nel ruolo di coordinatore e presidente dell’Ars ha ammesso di sentirsi un po’ scomodo – ha imposto una linea, dote richiesta a un leader, senza guardare in faccia nessuno. E dopo aver incassato la candidatura esterna di Romano (forte di un patto col Cavaliere), non poteva non pretendere che della partita facesse parte almeno una persona da lui indicata. C’è riuscito.
Ora Catania s’è tirata fuori. Dopo averci pensato un intero pomeriggio, Pogliese ha preso le distanze da Micciché. Non solo in virtù di una scelta che non sopporta. Ma anche delle numerose uscite del coordinatore contro Matteo Salvini e la Lega, che il sindaco di Catania – come testimonia la presenza di un assessore leghista in giunta, Cantarella – vede tuttora come un “matrimonio naturale”. L’incrinatura nei rapporti si era già verificata nei mesi scorsi, quando Miccichè non partecipò a un incontro organizzato da Catanoso e il sindaco ne ebbe da ridire: “Gli assenti hanno sempre torto. A chi nel mio partito vagheggia scenari di accordi con il Pd, di Patti del Nazareno 2.0, dico che noi non lo permetteremo. Il centrodestra unito è vincente”. “Sarò sempre liberale, ma mai fascista” replico Miccichè, tentando di buttare acqua sul fuoco. E affermando la necessità di un blocco anti-populista. Ma che la vicenda non fosse esaurita, risulta palese anche oggi. A Catania Forza Italia viaggia intorno al 20%, specie da quando Pogliese ha scelto il disimpegno al Parlamento europeo (lo scorso giugno) per candidarsi a sindaco (e vincere).
La distanza fra Pogliese e Miccichè è diventata siderale negli ultimi mesi. E’ stato lo stesso Pogliese a rimarcarla nel suo comunicato d’addio: “E’ ormai evidente che troppe cose ci dividono da Miccichè e dalle sue estemporanee sortite. Solo per citarne alcune: le incoerenti prese di posizione sull’immigrazione sostenute insieme a Laura Boldrini e a braccetto coi centri sociali; la conduzione di una battaglia di retroguardia a tutela dei vitalizi; l’ostentata insensibilità nel ruolo di presidente dell’Ars per i problemi economico finanziari del comune di Catania, nonostante una trasversale convergenza; per non parlare della sua divisiva candidatura alle regionali del 2012, che causò la sconfitta del centrodestra e la vittoria di Crocetta”. Mesi, addirittura anni di malcontento, che la gestione in questa campagna elettorale ha fatto risalire in superficie. “Lascio ogni incarico da Forza Italia, partito in cui, insieme a tanti amici e amministratori non ci riconosciamo più – scrive il sindaco etneo – Assieme abbiamo assunto il comune impegno di lavorare per poterci finalmente riappropriare dei valori della nostra identità e della cultura della Destra politica, che in Forza Italia non hanno più alcuna possibilità di potersi esprimere”.
A precedere Pogliese nei saluti era stato Basilio Catanoso, che qualche mese fa aveva rinunciato a una candidatura per Bruxelles. “Forza Italia – ha detto l’ex coordinatore regionale – non è più in grado di esprimere una linea politica chiara, sicura, in linea con il mio, il nostro percorso e coerente con la linea politica che contribuì nel 2008 alla costituzione del PdL. La grave confusione delle ultime ore ne è solo l’ennesima dimostrazione, assistiamo al declino di una grande forza politica passata dal rappresentare le istanze della maggioranza degli italiani a essere ‘nave senza nocchiero in gran tempesta’, senza un progetto, senza una linea politica, non più capace di fare sintesi fra anime diverse e così presentarsi al popolo in maniera autentica e credibile, in modo da poterlo rappresentare”.
A chi invece la dirigenza siciliana rinuncerebbe volentieri (anche se Gianfranco Micciché sul tema non si è mai espresso ufficialmente) è la costola rappresentata dal vice-governatore Gaetano Armao e della sua compagna, Giusy Bartolozzi. I due non hanno aderito al messaggio che alcuni parlamentari di Forza Italia, nei giorni scorsi, hanno recapitato a Berlusconi per invitarlo a candidare una persona che rappresentasse in Sicilia l’identità di partito (che, poi, è risultato essere Milazzo). Inoltre, si sono fatti vivi in prima fila a una manifestazione leghista: quella del candidato sindaco di Gela Giuseppe Spata, che nel comune più popoloso al voto lo contrappone al forzista, ma civico, Lucio Greco. L’episodio ha fatto saltare sulla sedia alcuni esponenti storici del partito, come il deputato nisseno Michele Mancuso. Che ha chiesto a Micciché la testa di Armao: “Lui e la compagna si sono tesserati solo con la candidatura in mano, non sanno cosa voglia dire fare squadra. Qui c’è gente che lotta dal ‘94”. E in effetti, Armao e signora hanno ricevuto la benedizione dal Cav solo in punto d’elezione. Il primo alla vigilia delle Regionali, quando la coppia si presentò ad Arcore facendo credere a Berlusconi che dietro Armao ci fosse un esercito di indignati. La seconda alla vigilia delle ultime Politiche. Giusto per capire come il vice-governatore viaggi in una dimensione tutta sua e al di fuori delle indicazioni di partito, basta dire che alle Europee non appoggerà nessuno dei siciliani in lista: bensì il sardo, di padre siciliano, Salvatore Cicu. Un appoggio nominale. Perché Armao è notoriamente senza un voto e senza storia politica: l’unico suo riferimento politico è il catanese Raffaele Lombardo, ex presidente della Regione.
Ma se Forza Italia al suo interno è prossima alla disgregazione, il partito di Miccichè potrebbe ritrovarsi alla guida di una confederazione che sta prendendo forma in vista del 26 maggio. Uno dei papabili per Bruxelles è l’ex ministro Saverio Romano, esponente del Cantiere Popolare e vicinissimo ai berluscones. Poi c’è l’Udc di Lorenzo Cesa che nelle Isole sostiene Dafne Musolino, assessore nella giunta di Cateno De Luca a Messina. Anche se nei giorni scorsi il deputato regionale Figuccia ha preso le difese di Armao contro Micciché. E infine ci sarebbero gli autonomisti di Raffaele Lombardo, che si sono sganciati dalla Meloni e ricostituiranno un asse con gli azzurri. Ora e per il futuro (il loro sostegno dovrebbe andare a Berlusconi e Iacolino). Ma non è tutto. Nell’arcipelago forzista potrebbe trovare spazio un’altra formazione tutta siciliana: si tratta di Sicilia Futura, che qualche giorno fa – dopo aver mandato in crisi il Pd per la sua partecipazione al congresso a sostegno di Faraone – ha annunciato la separazione dai “dem” perché Zingaretti li sta riportando a sinistra.
La creatura di Totò Cardinale, che all’Ars vanta un paio di onorevoli (come Edy Tamajo, reduce dall’esperienza miccicheiana di Grande Sud), si è già trovata sulle posizioni di Forza Italia in aula, dove ha garantito il proprio sostegno ad alcune norme approvate dal centrodestra. E l’operazione-avvicinamento è stata sancita da un paio di comunicati stampa. Quello del coordinatore Beppe Picciolo (“Il futuro è contenitore moderato e davvero meridionalista”) e quello di Gianfranco Micciché, che ha salutato con simpatia le manovre di Cardinale: “Forza Italia resta l’unica vera casa dei moderati e dei liberali italiani, l’unica forza aggregatrice delle istanze territoriali, e oggi ancor di più l’unico credibile contraltare alle politiche demagogiche dei Cinque stelle e alle derive populiste della Lega di Salvini”.
Aridaje con Salvini. Che poi, in realtà, è colui che ha davvero polarizzato il nuovo assetto geografico del partito al Sud. In Sicilia in particolare: da un lato chi con Salvini non vuole averci nulla a che fare – Forza Italia, Udc, Cantiere Popolare, Sicilia Futura – cioè i cosiddetti moderati; dall’altro chi con Salvini vuole o deve averci a che fare per forza (la Lega e Fratelli d’Italia). Nella terra di nessuno, nella Svizzera siciliana, resta la sola Diventerà Bellissima. Musumeci è già troppo fuori moda per fare una scelta di campo. Se ne riparlerà più avanti.