Palermitano, 45 anni, molti dei quali vissuti all’estero. Andrea Cusumano era assessore alla Cultura nella precedente consiliatura e lo è rimasto, al fianco di quel Leoluca Orlando che nel 1985 diede vita alla “Primavera di Palermo”. Oggi Palermo vive importanti appuntamenti sulla sponda culturale, per i quali Cusumano ha lasciato una vita da artista e docente universitario. Nel suo curriculum si legge “accademico, regista, drammaturgo, pittore, scultore, performer, direttore d’orchestra e scenografo”, ha vissuto a Londra e a Salisburgo, sue mostre e installazioni sono state realizzate in tutto il mondo. Ha scelto di tornare a Palermo, raccogliendo il testimone da Francesco Giambrone, chiamato a guidare il Teatro Massimo, simbolo di quella Primavera che oggi Orlando cerca di ripetere.
Lei ha accantonato la sua vita da artista ed accademico per quella di politico e amministratore. Rimpiange mai questa scelta?
Quando Orlando mi chiese di fare l’assessore ho chiesto l’aspettativa alla University of London. Poi due proroghe, a settembre 2017 ho dovuto licenziarmi. Non è stato facile, ma non potevo fermarmi davanti al 2018 di Manifesta e Capitale Italiana della Cultura. La vita d’artista mi manca parecchio ma la motivazione a lavorare per la mia città continua ad essere dominante. Non vedo un futuro da politico nella mia vita e finita questa esperienza riprenderò ciò che ho sempre fatto, l’artista. L’accademico si vedrà…
In un’intervista di qualche anno fa lei diceva: “Serve che la città abbia uno scatto di orgoglio e riesca a offrirsi per quello che è: una città straordinaria, bellissima e piena di risorse”. Questo scatto d’orgoglio c’è stato? Cosa è cambiato?
La mobilitazione è stata imponente grazie ad un enorme sforzo di tutti: enti, fondazioni, associazioni, privati. Capitale Italiana della Cultura è anche questo, uno scatto di orgoglio ed un impegno in prima persona. La narrazione della e sulla città è cambiata. Palermo è stata protagonista in quanto luogo di cultura: bellezze architettoniche e paesaggistiche, vivacità culturale e capacità di declinare tematiche importanti della contemporaneità. Possiamo essere orgogliosi che il Nobel Soyinka scelga Palermo come luogo per discutere del ‘corpo nero nel Mediterraneo’? L’Università di Lucerna e Lugano per i temi della filosofia nel Mediterraneo ? Manifesta per il tema delle migrazioni planetarie? La Fondazione Aga Khan per raccontare al mondo il proprio progetto di recupero di Aleppo? Che siamo scelti come destinazione privilegiata da Guardian, Marie Claire, Times, Financial Times, El Pais, Figaro, International Art Newspaper?
Il 2018 è appunto per Palermo un anno importante come Capitale italiana della cultura e sede di Manifesta. Dovrebbe essere, insomma, l’anno della svolta sotto il profilo culturale. Sta andando effettivamente così?
Non credo che sia un titolo a costituire la svolta, ma il titolo è arrivato perché si è avviato un percorso di cambiamento culturale. Il 2019 sarà un anno di prova molto importante perché tutto questo dovrà essere rilanciato al netto delle cornici di Manifesta e Capitale Italiana della Cultura.
A Palermo si continua però a rimproverare di non essere all’altezza di tutto questo: i rifiuti per strada, il trasporto pubblico scarsamente efficiente, i collegamenti con l’aeroporto che – dopo anni di attesa – dovrebbero essere ripristinati a giorni…
Il sindaco non mi ha chiesto di fare l’assessore attendendo che tutto andasse bene prima di muovermi. ‘Primum vivere, deinde philosophari’ non mi appartiene, ancor meno in un clima da ‘Giganti della Montagna’. Il cambiamento non cade dal cielo, si produce passo dopo passo. Certo non si possono nascondere le criticità con i successi, ma non si devono nemmeno oscurare le cose buone con le zone d’ombra e bisognerebbe fare un bilancio guardando anche al proprio passato. Non mi faccio illusioni, ma non mi faccio nemmeno demoralizzare dagli ostacoli. Se hai un sogno lavora per realizzarlo, altrimenti la meta sarà sempre più distante.
Nei giorni scorsi lei è stato protagonista di un botta e risposta con Camillo Langone che, su Il Foglio, paragonava il murales dedicato a San Benedetto il Moro a “Un maiuscolo esempio di propaganda invasionista e razzista, dichiaratamente tale”. Lei ha ribadito che se oggi Palermo è capitale della cultura è anche grazie al fatto che “non abbiamo paura di accogliere”. Eppure nel Palermitano c’è stato più di un episodio di razzismo, l’ultimo oggi, a Lercara Friddi…
Palermo è una città accogliente, senza retorica. Tuttavia anche episodi singoli vanno fermamente condannati. E’ anche per questo che ho replicato a Langone. Magari la sua voleva essere solo una provocazione, ma, oltre ad aver sbagliato nei contenuti, credo che oggi vi sia un serio problema di toni e di linguaggio da parte di chi ha influenza sul pubblico. Le opinioni vanno rispettate ed accolte, tutte. Ma se la narrazione comincia a sdoganare intolleranza e discriminazione è grave, soprattutto in Europa dove non possiamo dimenticare la nostra recente storia. La dignità ed il rispetto degli altri dovrebbe essere alla base del dibattito, una sorta di patto sociale inviolabile. E’ paradossale l’inversione di valori per cui un artista che dipinge un murales su San Benedetto il Moro è buonista, islamizzatore o addirittura razzista. Mi pare che si stia un po’ esagerando con opinioni fantasiose. Ben venga la creatività, ma con gusto…
Il ministro Bonisoli ha annunciato che abolirà gli ingressi gratis ai musei nelle prime domeniche del mese. Poi ha corretto il tiro, dicendo che gli accessi gratuiti potranno essere differenziati per giorni, orari, tipologie. Lei cosa ne pensa?
Il decreto ha incrementato la presenza nei musei, senza essere una novità o un invenzione. Dubito che un inglese, un tedesco o un americano possano insospettirsi o addirittura giudicarci ingenui per l’apertura domenicale. A Berlino o a New York è da anni così, a Londra l’accesso alle collezioni pubbliche è gratis. Non ne farei nemmeno solo una questione di convenienza o di promozione. Esiste anche un aspetto legato alla cultura come bene comune, ed in tal senso ritengo che dedicare anche solo un giorno al mese alla gratuità dei musei sia un importante segno di civiltà, al netto dei costi/ricavi.
A Palermo le Vie dei Tesori ci hanno insegnato che aprire al pubblico luoghi non sempre accessibili è una scelta vincente. Perché limitarla solo a un periodo dell’anno?
Gli proposi un paio di anni fa di immaginare una maggiore estensione nell’arco del calendario. Inizialmente non volevano snaturarne la natura di ‘festival’. Di recente ne ho riparlato con Laura Anello che è interessata. Tuttavia vi sono problemi di costi per un’operazione del genere. Si tratta di spazi privati, pubblici di diversi enti e spesso privi di personale di custodia. Aprirli per un evento punteggiato è un conto, tenerli perennemente aperti è un’altra storia. Ma questo dovrebbe essere l’obbiettivo. Le vie dei Tesori ha aperto la strada ad un modello vincente che lega sito ad evento. E’ quello che abbiamo proposto anche con altre iniziative come Manifesta, BAM, il Festival delle Letterature Migranti o Piano City. La città come polo culturale diffuso.
Il 31 dicembre si chiude questo 2018 così importante. Qual è l’eredità che lascia?
Capodanno 2019 non deve essere la fine di Capitale Italiana della Cultura ma l’inizio di Palermo capitale delle culture. Un progetto lungamente preparato che dovrà fare tesoro del 2018. Non parlo di un altro anno di eventi, ma di una città con sempre più spazi recuperati, una nuova veste del Teatro Garibaldi, una fondazione ai Cantieri della Zisa, un sistema integrato di comunicazione e biglietteria per le attività culturali della città, un regolamento approvato per l’uso civico dei beni comuni, un sistema ‘città che legge’ e, perché no, un faro che accoglie nel suo porto i naufraghi non solo del Mediterraneo ma anche di un’Europa alla deriva.