Tutti in Italia. Di nuovo. Nell’attesa che sul decreto Paesi sicuri si pronunci la Corte di giustizia europea. Torneranno in Italia nelle prossime ore, probabilmente saranno nel nostro Paese già domani, i sette migranti che erano stati mandati nei Cpr in Albania. Ciò accadrà perché la convalida del loro trattenimento nei Cpr nati grazie a un accordo di Giorgia Meloni con Edi Rama è sospesa, nell’attesa che il giudice europeo si pronunci. E se la convalida manca, queste sette persone – provenienti da Egitto e Bangladesh – non possono restare in Albania. Sarà il giudice europeo, insomma, a dire se il decreto varato per bypassare la prima decisione del giudice, che aveva rimandato in Italia dall’Albania i primi 12 migranti, rispetta o no il diritto europeo.

I sette migranti che si accingono a tornare in Italia erano stati soccorsi nel mar Mediterraneo. Subito dopo, il 7 novembre, erano approdati in Albania, con un’altra persona che però è stata fatta rientrare in Italia perché con problemi di salute. Il viaggio che li ha visti protagonisti rappresentava il secondo tentativo, da parte del governo, di rendere operativo – anche se con numeri molto bassi – il progetto di mandare i migranti nei centri costruiti nel Paese alleato, a seguito di un protocollo firmato tra il governo italiano e quello albanese. Progetto, che, però, ancora una volta naufraga.

Un’ennesima batosta per l’esecutivo, dunque. Con il decreto – che ancora è in Parlamento per la conversione in legge – Meloni e i suoi speravano di riuscire a superare una sentenza della Corte europea che per la magistratura è un faro. Quella che, cioè, considera tanto il Bangladesh quanto l’Egitto Paesi non sicuri per varie categorie di persone. Come pensava di aggirare l’ostacolo il governo? Partendo dall’assunto che il giudice doveva rispettare la legge e che, quindi, se la lista dei Paesi sicuri fosse stata data per legge, la magistratura avrebbe dovuto applicarla e basta. A questo ragionamento, però, mancava un tassello: la normativa Ue supera quella nazionale. Ciò significa che se una legge italiana è in conflitto con quella comunitaria, quest’ultima prevale e la legge italiana deve essere disapplicata. “Deve evidenziarsi – si legge in una nota che anticipa il provvedimento – che i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto, come in qualunque altro settore dell’ordinamento, la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”, si legge in una nota del tribunale. I giudici, inoltre, specificano che il rinvion alla Corte è avvenuto per “dubbia compatibilità” del decreto con il diritto comunitario. Continua su Huffington Post