Gli unici interlocutori sono loro: gli assessori. E’ a loro che ieri pomeriggio, nel marasma che precedeva la seduta dell’Ars, Musumeci si è rivolto per serrare i ranghi di una coalizione a pezzi; è a loro che intima di riconnettere i partiti al governo, e alla sua ricandidatura a-tutti-i-costi, pena l’azzeramento della giunta. Gli altri, dentro e fuori dai palazzi, non esistono. Non esistono i partiti, che vengono coinvolti di tanto in tanto per trovare la quadra sulle nomine (ma anche in prima commissione, all’Assemblea regionale, è tutto bloccato); non esistono i parlamentari con cui imbastire le trame, discutere le riforme e votare gli atti; non esistono associazioni e sigle sindacali capaci di dare impulso all’azione dell’esecutivo, ormai stantia. E non esistono nemmeno i siciliani, tagliati fuori dalle decisioni che contano. Dai ristori, dai provvedimenti di legge, da un tentativo annacquato di sviluppo che ha smarrito vigore con la pandemia.
Esistono soltanto loro: Musumeci e gli assessori. Su questo, però, il governatore dimostra una coerenza di fondo. Aveva scoperto le carte il 26 giugno, nella sua arringa contro la partitocrazia, durante la kermesse allo Spasimo di Palermo: “Ho sempre sostenuto che uno dei mali della Regione sia stata la sua occupazione da parte dei partiti – disse Musumeci -. Per me c’è un nemico delle istituzioni: la partitocrazia. Cioè quando a governare sono i partiti e non gli amministratori. Quando a determinare le decisioni non è il presidente della Regione, ma i partiti”. E ancora: “I partiti servono a selezionare la classe dirigente, la classe dirigente occupa le istituzioni. Dopo aver selezionato, attraverso i partiti, gli assessori, questi diventano i miei interlocutori. Il rapporto coi partiti non si è mai interrotto: solo che una volta comandavano loro, oggi decide la giunta”.
Peccato che a distanza di pochi mesi da quel discorso – legittimo e in parte sensato – Musumeci abbia capito che senza i partiti non otterrà mai la ricandidatura a palazzo d’Orleans. Mai. E così ha scelto di utilizzare gli assessori come merce di scambio. ‘Se il tuo partito non mi sostiene – è il succo del ragionamento – sei fuori’. L’ha intimato a Salvini e alla Lega, che però si guardano bene dall’abbandonare il governo. Al massimo verranno cacciati. Per garantire una continuità istituzionale alla Regione, servirebbe una mossa di coraggio: smantellare la giunta. Trovare una nuova maggioranza. Ma una soluzione del genere andrebbe contro gli interessi del governatore (con vista sui prossimi 5 anni). Significherebbe perdere, da subito, il Carroccio. E dare agli altri colleghi, da Fratelli d’Itala a Micciché, un motivo per sganciarsi. Così il presidente fa ricorso ai suoi assessori, che in questi quattro anni sono stati complici, in tutto e per tutto, della sua azione di governo.
La squadra dei dodici non è omogenea. Va suddivisa in categorie. Partendo dalla prima: il “cerchio magico”. E’ composta dai seguaci di Musumeci, i fedelissimi. Quelli che sono dalla sua parte a priori. E che già pubblicizzano il secondo mandato a palazzo d’Orleans. A questo gruppetto s’iscrive di diritto Ruggero Razza, che da Musumeci è stato riaccolto in giunta – fortemente reclamato – dopo le dimissioni del 30 marzo, in seguito all’inchiesta sui dati falsi Covid che ha travolto la sanità. Razza si era defilato, lasciando il colonnello Nello alla guida di una macchina assai complessa da gestire, specie in tempo di pandemia. Il suo ritorno, rafforzato da una scelta di ‘basso profilo’ da parte del diretto interessato, ha tolto a Musumeci parecchie castagne dal fuoco. E’ stata una manna dal cielo. Anche se la manovra del governatore – con l’inchiesta tuttora in corso – ha indispettito la magistratura, ed è apparsa ai più come una evitabile forzatura.
Gli altri due del cerchio magico con Gaetano Armao, il factotum dei conti, e Manlio Messina, il re dei s***. Il primo, di cui il presidente della Regione continua a fidarsi ciecamente, sostiene il bis di Musumeci ma ha garantito di non farlo per un tornaconto personale. Lui, alla fine di questa legislatura, scomparirà dalla scena (“Non ci sarò né all’Ars né al governo” disse il 3 aprile in una intervista a ‘La Sicilia’), a meno che qualcuno non gli chieda di candidarsi a sindaco di Palermo. Nel frattempo continua a pasticciare sui conti della Regione. E non sembra esserci una via d’uscita se non lo scontro con la Corte dei Conti (prossima puntata: il 7 ottobre). L’altro, Messina, è uno dei fan più attivi del governatore. Ed è stato uno dei primi – a che titolo? – a sostenere che chiunque non intendesse appoggiare la sua ricandidatura, doveva uscire dal governo. Facendo infuriare gli amici di Fratelli d’Italia. Poi sono venute le tesi strampalate sui vaccini, le parolacce, gli insulti ai giornali. Amen.
La seconda schiera del governatore è quella dei “fedeli con riserva”. In questo gruppetto, a causa di alcune decisioni ambigue assunte di recente, sono transitati degli insospettabili. Ad esempio Roberto Lagalla e Marco Falcone. Lavorano per il presidente, e la lealtà non si discute (Falcone, fra l’altro, è uno degli assessori più produttivi). Ma secondo le cronache dei giornali – mai smentite – si sarebbero arrabbiati di brutto di fronte alla concessione fatta ad Armao di costruirsi una “cabina di regia” a sua immagine e somiglianza per la gestione dei progetti del Pnrr. Questo atto di prevaricazione, che lo stesso assessore all’Economia ha provato a sminuire (“E’ solo un gruppo di lavoro”) potrebbe aver avuto ripercussioni sui rapporti di fiducia. Lagalla, fra l’altro, oggi farà ingresso nell’Udc per ritagliarsi un ruolo importante alle prossime elezioni di Palermo, dove aspira a fare il sindaco e a far convergere su di sé l’intera coalizione.
Tra i “fedeli con riserva”, ma con una sfumatura musumeciana prevalente, c’è anche Toto Cordaro, che nell’ultimo periodo è stato un po’ sfortunato con le impugnative: dovrà domare la voglia del suo leader di partito, Saverio Romano, di perseguire altre vie. E infine Mimmo Turano, assessore (vivace) alle Attività produttive, che di recente ha confermato la propria fiducia e quella dell’Udc nei confronti dell’attuale presidente: “Sono pro Musumeci – ha dichiarato a ‘Il Sicilia’ -. Non mi sono mai iscritto nell’elenco dei traditori che spara alle spalle, penso che Musumeci cinque anni fa sia stato il valore aggiunto che ha fatto vincere il centrodestra. Ritengo che abbia ancora un valore aggiunto, anche per come ha governato. Lo vorremmo ricandidato”.
Mentre Alberto Samonà, assessore indicato da Salvini, rientra a pieno titolo fra gli “aziendalisti”. Cioè tra i rappresentanti di partito che mantengono un collegamento coi dirigenti, coi parlamentari, con la formazione politica di provenienza. E che tuttavia non possono venir meno alle lodi nei confronti del governo (finirebbero col delegittimare se stessi e la loro azione). Samonà è uno di quelli che “noi governiamo con Musumeci, lo facciamo bene, sosteniamo in modo leale l’azione del governo e continueremo a farlo. Ma la Lega, che si continua a radicare sempre di più, guarda anche ai prossimi dieci anni”. Della sua stessa “cornice” – come fosse il Purgatorio di Dante – fanno parte Marco Zambuto, assessore agli Enti locali, e Toni Scilla (Agricoltura). Entrambi voluti in giunta da Gianfranco Micciché. Riferimenti di Forza Italia, più di Falcone (quest’ultimo, almeno, riveste il ruolo di commissario provinciale del partito a Catania), ma soprattutto di Armao.
C’è un’ultima categoria di assessori a cui appartengono – in modo diverso – il lombardiano Antonio Scavone e la professoressa Daniela Baglieri: è quella degli “invisibili”. Che non vuol essere per forza una connotazione negativa. Scavone appare poco sui giornali, si muove nell’ombra dei suoi uffici, anche se qualcuno – tipo gli ex sportellisti della Formazione o i tirocinanti dell’Avviso 22 – lamentano scarsa attenzione sui problemi. E’ l’unico rappresentante del Movimento per la Nuova Autonomia (ex Mpa), un partito (federato alla Lega) che negli ultimi mesi non ha disdegnato la polemica nei confronti di Musumeci. Ma l’assessore alla Famiglia fa il suo, si limita al compitino ed evita le ingerenze. Mentre la prof. Baglieri, assessore all’Energia e ai Rifiuti, ha un profilo più tecnico che politico. Sebbene rappresenti non solo l’Udc ma anche pezzi di Italia Viva. L’unica in donna in giunta non ama i proclami, tanto meno le zuffe e i giornali. Vorrebbe limitarsi ai fatti, anche se in questi mesi alla guida dell’assessorato, ha capito che per risolvere le grane del settore ci vorrà un miracolo. E così limita apparizioni (prevalgono i tavoli tecnici) e frasi a effetto. Non ha neppure una pagina Facebook. Visto come la usano certi suoi colleghi, forse è meglio così.