Che la Sicilia sia al primo posto nella classifica delle regioni con maggiori irregolarità nello smaltimento delle acque reflue è noto. Che il tema non catturi interesse o consenso elettorale, lo è altrettanto. Ma un governatore che alle prime avvisaglie di difficoltà – la visita della commissione parlamentare Ecomafie – scarica le responsabilità sul passato, defilandosi dal problema, è sintomo di due malesseri: il primo di natura amministrativa, perché vuol dire che in quattro anni (o quasi) di legislatura non s’è fatto nulla per arginare questo fenomeno enorme, che ha refluenze sul mare e sull’ambiente (di conseguenza, potrebbe averne sul turismo e sulle attività economiche); il secondo di natura politica, dato che lo scaricabarile è diventata la cifra consolidata del governo di Musumeci & Co. Quando sono incapaci di dare risposte, rispondono come l’altro giorno di fronte alla commissione guidata da Stefano Vignaroli (M5s): “La Sicilia dal 2014 è stata commissariata dallo Stato e noi eravamo all’opposizione”. Della serie: io non c’ero, e se c’ero dormivo.
La questione dei depuratori non coinvolge soltanto la Sicilia (che però è stata definita da Vignaroli una delle tre regioni “più disastrate”) e la sua classe politica. L’Italia è in cima alle classifiche europee per procedure d’infrazione e paga una penale di 160 mila euro al giorno per il mancato funzionamento dei suoi impianti. I quali dovrebbero impedire lo sversamento dei liquami in mare, garantendo la salubrità delle acque; e invece non lo fanno. Il totale default del sistema dei controlli, alcuni in capo dalla Regione (esiste l’Arpa, deputata all’uopo) permette che accadano cose aberranti, come quelle descritte, ad esempio, dal procuratore aggiunto di Siracusa, Fabio Scavone, che ne ha parlato di fronte alla commissione Ecomafie: “Su Pachino il problema nasce nella frazione di Marzamemi che d’inverno è popolata da circa 500 persone, mentre d’estate è popolata da circa 6.000 persone, con picchi in occasioni particolari sicuramente ancora maggiori. Si dice che si arrivi anche a 20.000. Quindi, un impianto strutturato per 500 persone dimostra delle assolute inadeguatezze, i liquami fuoriescono da ogni pozzetto e arrivano in mare non depurati”.
Ne hanno viste di peggio, addirittura, il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e l’aggiunto Agata Santonocito: “Tutti gli impianti di depurazione esistenti nel nostro territorio – si legge nel verbale ripreso da L’Espresso – sono assolutamente inadeguati. A cominciare dal più grande, il sistema fognario che interessa la città di Catania e l’impianto di depurazione di Pantano D’Arci che, se funzionasse, dovrebbe interessare un bacino di utenza di oltre 540.000 utenti. Invece serve soltanto 70 residenti”. Ma allora come è possibile rendere balneabile la grande spiaggia della città, la Playa? “In quella zona, normalmente, nel periodo invernale e autunnale arrivano in maniera incontrollata tutti gli scarichi che non vengono assolutamente depurati. Quindi d’estate che cosa si fa per consentire la balneazione? Si blocca il corso di determinate acque reflue e così si impedisce che queste acque sversino nel mare, cosa che invece avviene durante il resto dell’anno. In ogni caso, la compromissione ambientale è veramente notevole”.
Gli scandali non si contano, e anche il versante occidentale dell’Isola ne è pervaso. Durante l’audizione di giovedì l’attenzione della commissione Ecomafie si è concentrata sull’impianto di depurazione di Acqua dei Corsari, non funzionante. Idem a Balestrate, dove risulta funzionante ma è spento. Il primo – qui sono chiare le responsabilità – è fra i destinatari di un piano d’interventi (che ne prevede 16) predisposto dal commissario nazionale per la depurazione, Maurizio Giugni, e dal suo vice per la Sicilia, Riccardo Costanza, nel tentativo di recuperare decenni di ritardi. Ma i lavori ad Acqua dei Corsari non sono mai cominciati, perché il progetto è in attesa di una valutazione d’impatto ambientale – la cosiddetta Via-Vas – da parte dell’assessorato regionale competente. Intrugli burocratici che rallentano questioni fondamentali. Che, va da sé, non fanno molto presa sull’opinione pubblica, tranne sugli ambientalisti più incalliti: d’altronde ai cittadini interessa smaltire, e poco importa la destinazione finale. A ridosso del mare hanno costruito abitazioni e quartieri senza sapere se ci fosse la fognatura. Mentre per la politica è più comodo non affondare le mani in queste marmellate. E rimanere intonsi. Musumeci, prima di sgattaiolare via, e per offrire un contentino ai commissari, ha sfoderato il classico repertorio: “Ben venga l’inchiesta della commissione per fare luce su ritardi e colpevoli omissioni di trent’anni. Chiederemo a Roma maggiore celerità nell’iter per la realizzazione degli interventi previsti”. Wow.
A fornire il quadro della situazione – fatto di dichiarazioni mendaci, di controlli saltuari, di responsabilità approssimative – è il solito presidente Vignaroli: “Su una questione così complessa è difficile dare una colpa a qualcuno, lo scaricabarile lo abbiamo sentito un po’ da parte di tutti e magari anche noi, dal governo centrale, abbiamo le nostre colpe come per esempio per i controlli e il sistema delle Arpa – ha ammesso -. I problemi sono tanti e la Regione è corresponsabile di questa situazione che dura da decenni”. Corresponsabile, vuol dire responsabile tanto quanto altri. Non c’è rimpallo di competenze o di norme che tenga. E’ più facile inaugurare la fiera dei cavalli o i Giardini d’Orleans, allestire fantomatici piani di riparto delle risorse extraregionali, organizzare caminetti con gli alleati. Ci si sporca anche meno. Ma una classe dirigente alla guida di un popolo “scanzonato” (per usare un’espressione del governatore) avrebbe il compito di tenere la barra dritta anche sulle macro questioni che riguardano la Sicilia del 2050. A partire dalle fogne, e passando per i rifiuti. Anche se puzzano. Ma senza scappare o ammainare la bandiera.
Questo non accade praticamente mai. E nessuno, a partire dalla nostra classe politica, si accorge di niente fin quando non “scoppia la bomba” come quest’estate, con il sindaco Orlando costretto a vietare la balneazione in alcuni punti di Mondello perché “i livelli di inquinamento vanno dal doppio fino a dodici volte i massimi consentiti per quanto riguarda la presenza di Escherichia coli ed Enterococchi intestinali”. Psicodramma. Passano una manciata di ore e qualche titolo sui giornali. Si grida al complotto ambientale da parte di qualche criminale gradasso (perché non si hanno altre piste). Si analizzano le possibili cause. Ma ciò che importa veramente è sapere quanto durerà, quando si potrà tornare a fare il bagno. A Mondello è successo talmente presto – 48 ore – da destare sospetto. Ma se gli scarichi, da Palermo a Siracusa, continueranno ad arrivare a mare indisturbati, e chi dovrebbe accorgersene non pigia sul tasto dei controlli, allora diventerà sempre più difficile rimediare.