A fare i conti è una mini inchiesta del Corriere della Sera: su 978 comuni al voto il prossimo 12 giugno, il Movimento 5 Stelle presenta una propria lista in appena 64 di essi. Il 6,5% del totale. Numeri che preludono a un tramonto, nonostante la “bella stagione” annunciata da Giuseppe Conte. I grillini, che non hanno mai goduto di ottimi rapporti con i territori e le realtà locali – e più in generale con le elezioni Amministrative – sfuggono al confronto. Rispetto alla prima tornata elettorale dell’era Giuseppi, nel 2021, la presenza sulla scheda elettorale è diminuita del 38%. In questa occasione il M5s non ci sarà in grossi centri quali Belluno, Como, Lucca, Monza, Oristano, Parma e Verona. Mentre la Sicilia – un feudo, fino a qualche tempo fa – è l’esatta rappresentazione di cosa vuol dire essersi risvegliati grillini nel 2022: il simbolo del M5s compare soltanto a Palermo, Messina, Erice e Scicli. Quattro dei sette comuni al voto col proporzionale. Mentre a Sciacca, per la verità, il simbolo rimane impastato in una civica che assorbe il nome del candidato sindaco: Fabio Termine.

Addirittura va meglio in Lombardia, che non è certo una roccaforte, dove il Movimento compete in 12 comuni. Nell’Isola, invece, la spedizione elettorale non è partita sotto i migliori auspici. Nel senso che a Palermo il Movimento va dritto verso il disimpegno. Non ci sono grossi nomi in lista: Giampiero Trizzino, dopo non aver condiviso l’imposizione della candidatura di Miceli (nonostante la stima per il professionista), ha scelto di non candidarsi al Consiglio comunale. E il segnale di un più ampio malcontento. Lungo questo crinale si sta dipanando la campagna, che vede gli esponenti dei Cinque Stelle nelle retrovie: non solo nel dibattito interno col candidato sindaco sponsorizzato dal Pd (vedi eventi, partecipazioni, incontri pubblici), ma anche nel dibattito esterno. Nella polemica ormai insopportabile che ha coinvolto Roberto Lagalla, candidato del centrodestra, i dem sono parsi persino più forcaioli del “partito della forca”. Quello che avallato l’impostazione orlandiana secondo cui “il sospetto è l’anticamera della verità”. Non è rimasta agli atti una sola presa di posizione contro il coinvolgimento di Cuffaro e Dell’Utri nella campagna elettorale più controversa di sempre.

E’ stato proprio Orlando ad aver allontanato i grillini dalla bagarre. Molti di essi temevano di rimanere schiacciati nella ricostruzione post-Leoluca, al termine di un quinquennio condotto all’opposizione. E’ stato difficile per il M5s, a Palermo più che altrove, giustificare una convergenza con gli uomini del professore (sebbene dimezzati). La parte del leone, in città, tocca al Partito Democratico, che sta provando a rilanciare la figura di Miceli utilizzando al massimo le contraddizioni interne al centrodestra. I Cinque Stelle osservano con distacco. Anzi, l’appoggio offerto da alcuni di essi a un candidato di un’altra lista, l’ex Giorgio Ciaccio (condannato in primo grado per l’affaire ‘firme false’), ha scatenato le ire dell’europarlamentare eletto in Sicilia, Dino Giarrusso, che ha lanciato strali contro i vertici: “Dei portavoce eletti col Movimento fanno campagna elettorale per il candidato di una lista concorrente al Movimento, cioè per sottrarre voti al Movimento e portarli altrove! Sì tratta della più terrificante manifestazione di arroganza e di mancanza di rispetto verso il Movimento, le sue regole, i suoi iscritti, i suoi valori, i suoi attivisti, i suoi candidati e tutti gli altri portavoce! E’ una assoluta vergogna, un controsenso, un’ennesima provocazione di chi continua a pensare (e dunque ad agire) usando il motto ‘io so’ io e voi non siete un cazzo’”. Ma l’ex Iena è andato addirittura oltre, comunicando questa mattina la fuoriuscita dal Movimento e l’intenzione di fondare un nuovo soggetto politico.

La questione ovviamente non è stata sanata. Potrà occuparsene direttamente Giuseppe Conte durante la sua visita palermitana, in programma dal 6 all’8 giugno. Un po’ tardi, forse, per convincere i palermitani a ripiegare sulla sua creatura. L’ex presidente del Consiglio, durante la tre giorni in Sicilia, non dovrebbe tenere comizi pubblici. Ma andare in giro per mercati, incontrare i cittadini, provare a convincerli del nuovo corso. L’occasione dovrebbe tornare utile, inoltre, per mettere la parola fine alla disputa (infinita) sui referenti regionali e provinciali. E, magari, sulla deroga da accordare a Giancarlo Cancelleri per consentire la sua partecipazione alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato alla presidenza della Regione. Dovrebbero tenersi online nella seconda metà di luglio. Cancelleri, che ha già fatto per un paio di volte il parlamentare all’Ars, dovrà trovare una exit strategy: derogare al vincolo del secondo mandato, oppure presentarsi con la cosiddetta ‘Lista Conte’. Di per sé costituirebbe un precedente assai pericoloso: Giarrusso non la darà vinta, mentre Luigi Sunseri, nonostante la giovane età (36 anni), non farà sconti. ha comunicato nei giorni scorsi di essere pronto a competere.

Intanto la campagna elettorale per le Comunali prosegue in sordina. Dove il Movimento ha faticato un po’ meno a costruire la lista, rispetto a Palermo, è il Comune di Messina. La deputata Valentina Zafarana è stata indicata come vice-sindaca di Franco De Domenico, candidato del Pd (ma la sfida è assai complicata per la presenza di Federico Basile e Maurizio Croce). A Erice il Movimento ha proposto la corsa di Maurizio Oddo. Lo stesso che si era candidato cinque anni fa, raccogliendo il 12% delle preferenze. L’architetto potrà contare sul supporto di cinque liste. Ma non su quella del Pd, che sostiene l’uscente Daniela Toscano. Il fronte del ‘campo largo’ – il cosiddetto modello Termini – si ricompatta a Scicli, dove la deputata Stefania Campo, insieme al dem Nello Dipasquale, portano avanti la proposta di Giorgio Vindigni (su cui ha confluito pure l’Udc). Situazione più lineare a Sciacca, dove il M5s entra in una civica che prende il nome del candidato Fabio Termine: qui l’asse giallorosso è compatto. E si oppone al tentativo di Matteo Mangiacavallo, ex rappresentante dei Cinque Stelle, oggi in quota Attiva Sicilia (con alle spalle Musumeci e Diventerà Bellissima).

Qualunque risultato arrivi dalle urne, saremo ben distanti dall’ondata grillina che ha travolto la Sicilia nelle precedenti competizioni elettorali. Alle Politiche del 2018 il M5s raccolse nell’Isola il 48% – percentuali bulgare – e si aggiudicò la sfida negli uninominali rifilando il cappotto (28 a 0) al resto della compagnia. Un’altra era. Oggi la confusione in capo al Movimento, con Conte innegabile protagonista (in negativo) influenza la diaspora della base: secondo la rilevazione del Corsera, dei 1.275 meetup del 2015, ne sono rimasti appena 195. Chi si nutriva di antipolitica non ha mai digerito l’ingresso nei palazzi del potere. Non è bastato il Reddito di Cittadinanza.

Di Paola liquida Giarrusso: “Ora si dimetta da europarlamentare”

“Giarrusso se ne va? Ha vinto la sua smisurata smania di protagonismo. Ora però ci aspettiamo che si dimetta da europarlamentare, un posto che si è conquistato grazie ai voti del Movimento 5 Stelle. Del resto lui è sempre stato severissimo nei confronti di coloro che hanno lasciato il Movimento, definendoli ‘traditori che provano a raccontare al mondo di essere stati traditi’: quello che praticamente sta facendo ora Giarrusso”. Lo afferma il capogruppo del Movimento 5 stelle all’Ars, Nuccio Di Paola. “Giarrusso – continua Di Paola – dovrebbe pensare più a riflettere che ai riflettori. Se gli è rimasto un briciolo di coerenza dovrebbe lasciare il seggio in Europa in un nano-secondo. Lasci poltrona e benefit da europarlamentare e si ricordi della regola del Movimento che lui ha sempre sbattuto in faccia a quelli che sono andati via, e cioè che chi si dimette deve lasciare la poltrona e non cambiare casacca”. “Sia chiaro – conclude Di Paola- non ci stracciamo certamente le vesti per questo abbandono. Non si può cercare di costruire con chi lavora costantemente per dividere”.