“Ti conviene che ti prendi questi soldi perché non solo non vedrai più soldi ma non ti farò mai lavorare. Sai chi sono io. Ricordati che hai due figli da campare”. E’ questa una delle frasi che risolleva il polverone attorno a Pippo Gennuso, deputato regionale di “Popolari e Autonomisti”, indagato per estorsione. Il politico di Rosolini l’avrebbe rivolta a uno dei tre dipendenti della sua sala Bingo, che sorge in via Villagrazia a Palermo. I fatti risalgono al 2015, l’anno in cui i Gennuso – padre e figlio – hanno assunto la gestione.
All’indomani del cambio di proprietà, agli impiegati sarebbe stata prospettata una grave situazione finanziaria, assieme alla possibilità di accettare una transazione pari al 50% delle spettanze. O si sarebbe materializzata la possibilità di un licenziamento. Firmarono in quindici. Nei confronti di tre “dissidenti” scattò invece un tentativo di accordo transattivo, in cui subentrano le minacce denunciate poi ai carabinieri. Secondo quanto riportato nell’informazione di garanzia, i tre sarebbero stati costretti ad accettare la liquidazione di meno di un terzo delle spettanze. Uno, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe dovuto dichiarare di ricevere gli emolumenti, senza intascare nulla in realtà. “O bevete o affogate” avrebbe intimato ai lavoratori Pippo Gennuso, che risulta indagato assieme al figlio Riccardo, a Leonardo Burgio (socio della precedente gestione) e al sindacalista della Cildi, Antonino Bignardelli.
Il parlamentare era stato arrestato nello scorso aprile con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso durante le elezioni del 2017 nelle quali venne eletto all’Ars. Finì ai domiciliari e il mese dopo scarcerato, motivo per il quale ritornò in carica.