Altro affondo di Di Matteo su Bonafede

Nino Di Matteo è l'uomo di punta dell'accusa al processo sulla Trattativa Stato-Mafia. Vive sotto scorta dal '93

“Bonafede mi disse: scelga lei quale incarico assumere. Dopo 24 ore fece dietrofront, io per un senso di correttezza istituzionale non chiesi chi avesse prospettato il problema al quale lui fece cenno”. L’ultima puntata dello scontro fra Nino Di Matteo e Alfonso Bonafede va in scena di fronte alla commissione parlamentare Antimafia. Dove ieri è comparso il pm della Trattativa: “Perché non ho parlato prima? Non volevo delegittimare il lavoro del ministro – ha spiegato Di Matteo -. Poi però si è detto che io e il guardasigilli non trovammo l’accordo, che le trattative non andarono in porto. Allora ho ritenuto di raccontare la verità”. Quando per Di Matteo si concretizzò l’incarico agli Affari Penali, anziché al Dap, e lui rifiutò, Bonafede pronunciò parole di un certo peso: “Dottore, ci pensi bene. Perché per quest’altro incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengono“. “Una frase assolutamente precisa – ricorda adesso Di Matteo – le cui parole io non posso equivocare, né allora e né ora. Mi fece capire che per la soluzione di capo del Dap aveva ricevuto delle prospettazioni di diniego o mancato gradimento”. Senza, però, specificare quali.

Enrico Ciuni :

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