Dopo oltre un decennio di commissariamenti e incertezza istituzionale, ci voleva un’elezione – sebbene riservata alla sola “casta” – a riaccendere il dibattito sulle ex province. Domenica scorsa, infatti, sono stati rinnovati i consigli dei Liberi consorzi e delle Città metropolitane, con oltre 120 poltrone in palio. E mentre in queste ultime rimarranno al timone i sindaci delle grandi città, a Ragusa, Siracusa, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani, al termine di una battaglia fratricida fra schieramenti della stessa coalizione, sono stati eletti i nuovi presidenti. Una medaglia in più da appuntarsi (con qualche eccezione, tipo Forza Italia, che nelle ultime ore sta registrando una forte scossa di assestamento).
Per la prima volta dal 2012, quando il governo Crocetta avviò il controverso processo di abolizione delle Province, questi enti tornano ad avere organi politici e non più soli funzionari prefettizi o commissari straordinari al timone. Ma cosa comporta, concretamente, questo ritorno alla normalità? Ma soprattutto: quali ricadute avrà sulla manutenzione delle scuole, delle strade e sulle casse della Regione?
Nel corso degli ultimi dodici anni, l’assenza di una governance stabile ha avuto effetti tangibili sul territorio. Le strade provinciali siciliane, circa 14 mila chilometri, versano in condizioni spesso disastrose: buche, frane, segnaletica assente o superata, ponti pericolanti. Una rete secondaria ma fondamentale, soprattutto per i collegamenti interni e per l’accesso ai centri rurali. Allo stesso modo, molti edifici scolastici secondari di secondo grado – che rientrano nella competenza delle ex province – sono rimasti senza interventi strutturali, con manutenzioni affidate solo a progetti sporadici o a finanziamenti regionali e statali ad hoc. La riattivazione dei Consigli e la presenza di Presidenti eletti potrebbero imprimere una nuova spinta programmatica, ma il nodo resta sempre lo stesso: le risorse.
Con il ritorno alla piena operatività degli enti intermedi, c’è il rischio che i costi ricadano – almeno in parte – sulla Regione Siciliana. Se, infatti, la riforma Delrio ha svuotato le Province di una parte delle risorse fiscali, in Sicilia il problema è stato acuito dalla natura speciale della Regione e dalla sua competenza esclusiva in materia. La soppressione delle province non è mai stata completata a livello costituzionale, ma ha generato un limbo in cui i Liberi consorzi hanno continuato a esistere senza risorse certe né potere politico. Ora, con il ritorno degli organi elettivi, serviranno fondi per il personale, per l’esercizio delle funzioni e per gli investimenti minimi.
E qui il timore è concreto: la Regione, già sotto pressione per i trasferimenti ai Comuni (che dispongono di dotazioni sempre minori, con buona pace dell’Anci, e non riescono ad approntare neppure i bilanci di previsione) e per una spesa pubblica spesso allegra – tra contributi a fondazioni, associazioni culturali e “mance” varie – rischia di ritrovarsi con un nuovo “peso” sulle spalle. Saranno necessari trasferimenti strutturali? O si tornerà alla politica dei contributi straordinari, a seconda dell’emergenza del momento?
La storia recente non aiuta a essere ottimisti. In molti casi, prima del commissariamento, questi enti erano diventati strumenti di consenso e di distribuzione di incarichi più che veri motori di sviluppo territoriale. Tuttavia, è altrettanto vero che una macchina, per quanto inefficiente, garantiva almeno un presidio amministrativo e decisionale. In questi anni di assenza, molti territori – soprattutto le aree interne – hanno visto acuirsi le disuguaglianze infrastrutturali. Il ritorno delle province potrebbe rappresentare l’occasione per ricucire queste fratture, ma serviranno rigore, visione strategica e un chiaro disegno finanziario. E servirà inoltre del personale adeguato, di cui attualmente non possono disporre nemmeno gli uffici regionali: basti vedere la moria di dirigente e funzionari che ha causato le dimissioni di Di Mauro dall’assessorato all’Energia, o i ritardi nell’approntare i progetti previsti dal Pnrr, motivo per cui Schifani ha suonato la sveglia ai direttori di 15 dipartimenti regionali.
Nel breve periodo, è probabile che i nuovi organi si concentrino sul riordino interno e sulla mappatura delle priorità, a partire da scuole e viabilità. Alcuni presidenti già eletti hanno annunciato audit e piani urgenti di manutenzione. Ma senza un rifinanziamento organico e trasparente, il rischio è che le province tornino ad avere gli stessi problemi di prima, aggravati da un decennio di abbandono.
La Regione dovrà quindi affrontare una scelta politica: continuare a gestire i fondi in modo frammentario (dando respiro agli enti intermedi solo in prossimità di manovre e manovrine finanziarie), o costruire un quadro normativo e finanziario stabile. Un’operazione non solo contabile, ma di visione istituzionale. Per i siciliani, il ritorno delle Province potrà essere un’opportunità solo se non si limiterà a una restaurazione, ma si tradurrà in servizi migliori, strade percorribili e scuole più sicure. Altrimenti sarà solo un altro giro di valzer nel labirinto della burocrazia regionale. In cui tutti i partiti dicono di aver vinto: in realtà potrebbero aver perso in partenza.