Sono i figli di nessuno, non sanno ancora che pesci pigliare, eppure hanno i voti. Peccato che (agli altri) non servano. Non a questo giro: le elezioni Europee sono un “tutti contro tutti” che non ammette sconti, con otto posti in palio per Bruxelles. Il primo di loro che aveva tentato di imbarcarsi con Forza Italia, parliamo di Totò Cuffaro, è finito per naufragare: “Se fossimo entrati, la DC in Sicilia avrebbe eletto un suo candidato a scapito di FI”, dice l’ex governatore. In realtà, ad assestargli un colpo d’anca, è stata pure Caterina Chinnici, presentatasi a Taormina, lo scorso novembre, per ribadire il concetto delle liste pulite e della questione morale (salvo scoprire che Dell’Utri è ancora in campo e tira la volata a Benigni, amico della Fascina, per un posto da vicesegretario nazionale).
Tajani ha accettato la linea Chinnici, sposata anche da Falcone, e ripudiato il piano diabolico di Renato Schifani, che giusto qualche mese fa aveva spalancato le porte di Forza Italia non solo a Cuffaro ma anche a Raffaele Lombardo. Anche in quel caso non se n’è fatto nulla: primo, perché Cuffaro e Lombardo non possono stare insieme, tranne che per disquisire di vini; secondo, perché il leader del Mpa, noto per la sua scarsa stima nei confronti dell’attuale governatore, ha scelto di puntare le sue fiches su un altro purosangue: Matteo Salvini. Che di recente s’è ridotto a un ronzino. Lombardo, dopo aver accantonato l’ipotesi di candidarsi in prima persona, sembrava orientato ad appoggiare la corsa di Annalisa Tardino, che di recente ha mollato l’incarico di segretaria regionale. Ma non è un sostegno scontato, perché all’interno della Lega c’è chi rema contro.
Si chiama Luca Sammartino e, contravvenendo ai patti iniziali, ha posto la pregiudiziale sulla creazione di un intergruppo all’Ars con Lega ed Mpa insieme. La federazione fra i due partiti ha una scadenza a breve termine, come il latte, e le Europee sono ancora troppi distanti per capire se ci arriveranno insieme. Specie se Sammartino proseguisse con il suo ostracismo nei confronti di don Raffaele. Che da parte sua è tornato politicamente attivo: non tanto per l’incarico, recente, di coordinatore provinciale del Mpa ad Enna; ma soprattutto per aver trovato un accordo condiviso con FdI sulle nomine della sanità (ne hanno condiviso un paio). Lombardo, assieme alla Lega, sa di valere molto (la somma aritmetica, nel giorno del nuovo patto, era di poco inferiore al 14 per cento): una buona prestazione alle Europee potrebbe rimettere in discussione il peso nel governo. Ma un’alleanza con FdI non sarebbe banale, anche se forse finirebbe per accorciargli un po’ il fiato. Valuteranno.
Cuffaro, invece, si ritrova nella morsa dell’indecisione. Con chi andare? A chi “prestare” i 150 mila voti raccolti dalla DC alle ultime elezioni Regionali, di cui tanto si vanta? Per ottenere quali frutti? Al netto della suggestione Renzi (difficile), l’unica vera trattativa aperta è con i cespuglietti di centro – da Lupi a Brugnaro a Toti – che però alle Politiche raccolsero meno dell’1 per cento (tutti insieme). Meno, addirittura, di Cateno De Luca, con il suo movimento a trazione meridionalista. Anche l’ipotesi Salvini, tirata fuori da Repubblica, non sembra reggere: “Non ci sarà alcun accordo elettorale per le Europee con la Lega – dice Cuffaro – abbiamo solo buoni rapporti politici in Sicilia, e non ci sarà alcun accordo con Italia Viva. Era idea della Democrazia Cristiana nazionale stare insieme con Forza Italia che, invece, non ci vuole perché credo sia preoccupata di perdere il seggio in Sicilia e, forse, anche della mia presenza. Continueremo a lavorare perché possa esserci una lista autonoma dei ‘Popolari’ e se ciò non potrà realizzarsi sarà il Consiglio Nazionale della DC a decidere con chi allearci”.
Ed è proprio Scateno l’altro figlio di nessuno. Quello che da mesi si intrattiene in “sedute spiritiche” (cit.) senza cavarne un ragno dal buco. Ieri l’ultima missione a Milano per formalizzare l’accordo con alcuni “movimenti civici e autonomisti” che però non potranno garantirgli di avvicinarsi al 4% (cioè la soglia di sbarramento a livello nazionale per le Europee). De Luca è un personaggio scomodo con cui stare insieme: Letizia Moratti, con cui aveva imbastito un rapporto fondato sulla stima reciproca, ha riabbracciato Forza Italia; Matteo Renzi le ha sfilato la senatrice Musolino e lui se l’è legata al dito; Calenda, con cui sembrava essere in trattativa, non gli ha mai dato una risposta concreta (e mesi fa l’ha paragonato a Bandecchi, il tumultuoso sindaco di Terni, ora dimissionario).
Al leader di Sud chiama Nord, non ce ne voglia nessuno, rimangono gli scarti. E la sensazione di essere un perseguitato, anche solo per partecipare alle elezioni. Fratelli d’Italia, infatti, ha proposto un emendamento in cui “viene tolta la possibilità dell’esenzione firme a chi ha eletto un parlamentare nel collegio uninominale (così come prevede l’attuale legge), permettendolo solo a chi lo ha eletto nel collegio proporzionale”. Una proposta che danneggerebbe Sud chiama Nord e +Europa. Ma sarebbe anche una fastidiosa modifica delle regole dal gioco a pochi minuti dal calcio d’inizio. De Luca, che ha già combattuto imprese disperate (come le Suppletive per il Senato a Monza) e cresce nei sondaggi, non si dà per vinto e prova a fomentare il suo mito anche nella Capitale, dove nella mattinata di ieri – al grido di “Meno Europa, più Equità” – si è trasformato in paladino degli agricoltori.
Il sindaco di Taormina, in Sicilia, ha conquistato mezzo milione di voti alle Regionali e ha eletto due parlamentari fra Camera e Senato. E’ dotato di un potenziale risaputo, ma in questa competizione servono altri requisiti: cioè essere strutturati a livello nazionale. Pd e Movimento 5 Stelle, che trattano con lui e sarebbero disposti a sostenerlo nella corsa per Palazzo d’Orleans nel 2027, per il momento gli hanno sbattuto le porte in faccia. In lista non c’è spazio per papi stranieri. Finirà con De Luca candidato, con la solita campagna elettorale dispendiosa e, forse, con briciole di soddisfazione. A differenza dei colleghi di sventura Cuffaro e Lombardo, non potrà neppure ambire a guadagnare più spazio nel governo, essendo lui il leader conclamato dell’opposizione. Forse l’unico, vero oppositore.