“Abbiamo sentito l’esigenza di tornare a occuparci del depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio perché siamo certi che le reticenze e le irregolarità investigative vadano oltre i confini siciliani e che questo depistaggio non sia mai finito. Il tentativo di manipolare la verità optando per versioni più confortanti come quella che la strage sia l’ultimo colpo di coda di Riina per vendetta verso Borsellino e che tutto sia riconducibile solo a Cosa nostra lo troviamo riproposto ora e questo è un filo preoccupante che lega episodi lontani nel tempo. Filo che unisce tentativi di declassificare l’attentato a Borsellino a sola cosa di mafia e che troviamo riproposto nelle parole del collaboratore di giustizia Avola”. Lo dice il presidente dell’Antimafia regionale Claudio Fava illustrando la relazione della commissione sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta.
A proposito di Avola, uscito allo scoperto nell’ultimo libro di Michele Santoro, Fava sostiene che “o è completamente impazzito, cosa alquanto improbabile, oppure è stato suggerito, consigliato. Ci sono tutti gli elementi per pensarlo”. E mentre Santoro “ha preso soltanto uno scivolone” per “una serie di cose che venivano dette con tanta approssimazione”, da parte di Avola, invece, “non è uno scivolone. Ne sono convinti Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia, che sono stati ascoltati dalla commissione. Peraltro all’inizio della sua collaborazione, Avola aveva parlato di alcuni riunioni ad Enna che delineavano un contesto entro il quale erano maturate le stragi. Adesso, si smentisce, mettendo insieme una serie di falsità”, dichiara a Repubblica il presidente dell’Antimafia.
“Esaminando i verbali delle audizioni al Csm dei magistrati di Palermo nell’estate 1992 – aggiunge Fava – emergono delle cose gravi: sul rapporto fra Giammanco e Borsellino, sulla spaccatura in procura, qualcuno disse che Giammanco considerava Borsellino quasi un ingombro. Ebbene, dopo tre giorni di audizioni, non vennero ascoltati né Giammanco, né Tinebra, l’allora procuratore di Caltanissetta che un’ora dopo la strage aveva assegnato le indagini sulle stragi ai servizi segreti. E, cosa ancora più grave, questi verbali sono rimasti secretati per 25 anni. Perché?”. “Ho la sensazione – conclude il presidente della commissione – che ancora oggi ci sia una grande preoccupazione nel ricostruire una verità storica compiuta sulle responsabilità che hanno accompagnato la strage prima e il depistaggio dopo. Responsabilità che chiamano in causa apparati dello Stato”.
“Parlare di via D’Amelio sapendo di non poter parlare solo di mafia – si legge nelle conclusioni della relazione – è cosa che fa ancora paura. A ventinove anni dalla morte di Paolo Borsellino, si preferisce che la corda pazza di quella strage non venga sfiorata. E i depistaggi, ieri come adesso, sono lo strumento più efficace”. E ancora: “È grave che l’intelligence italiana abbia accettato – e continui ad accettare – di convivere con il sospetto di un terribile coinvolgimento dei suoi apparati in una delle pagine più nere della nostra storia”. Inoltre, non si può “tacere il senso di rassegnazione con cui in troppi hanno accolto ed accettato i silenzi di questi 29 anni, i ripetuti furti di verità, le forzature istituzionali, le ansie di carriera, i silenzi di chi avrebbe potuto dire. Come se davvero su questa storia e sulle responsabilità (non solo penali, lo ripetiamo!) che l’hanno accompagnata, occorresse rassegnarsi al silenzio”.