Alfano ha ritrovato il quid

L'incontro più recente fra Berlusconi e Alfano, in pubblico, risale all'ottobre scorso per i funerali di Paolo Bonaiuti

Sarà che la foto di quell’esibizione al karaoke, pubblicata un paio d’anni fa dal ‘Giornale’, provoca un collegamento immediato (e ideale) a un’estate godereccia che, senz’altro, non gli appartiene. Ma di questi tempi la figura di Angelino Alfano, agrigentino, avvocato affermato e di successo, torna di moda come un rito. Stavolta, c’entra pure un articolo di Carmelo Caruso su ‘Il Foglio’, in cui si discetta del possibile, ma per il momento improbabile, ritorno dell’ex ministro in politica. Il delfino di Berlusconi, che per lui fu Guardasigilli e apporrà il nome su un lodo che l’avrebbe liberato dai processi per tutto il termine della legislatura (poi ritenuto incostituzionale), potrebbe aver ritrovato il quid a 49 anni, mentre il periodo lontano dalle stanze del potere, al servizio dello studio legale Bonelli-Erede, e a capo del gruppo San Donato (che gestisce 19 ospedali), lo ha quasi certamente rigenerato. Dandogli la possibilità – volendo e quando lo riterrà opportuno – di rientrare dalla finestra dopo essere uscito, quasi mestamente, dalla porta di servizio.

Il cordone ombelicale coi palazzi, diventato robusto e poderoso nel dopo-Berlusconi, quando divenne Ministro dell’Interno e degli Esteri nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, si è spezzato nel 2018, alla vigilia delle ultime Politiche. Cui Alfano ritenne di non poter partecipare. La sua Alternativa Popolare, assieme a Beatrice Lorenzin, non aveva alcun seguito, così Angelino decise di organizzare la sua, personale “uscita di scena”, senza che fosse qualcuno a imporgliela. Un modo signorile di dire addio, dopo quello che molti hanno aggiudicato un attaccamento alla poltrona senza eguali. Che portò Alfano a sacrificare persino il Cavaliere, il quale avrebbe voluto lanciarlo al suo posto e consegnarli le chiavi del centrodestra, prima delle gaffe che ha segnato i primi scricchiolii: “Gli vogliono tutti bene, però gli manca il quid” disse durante un vertice del Partito Popolare Europeo, nel 2012, presagendo un futuro avaro di soddisfazioni (anche personali, per entrambi).

Oggi, però, qualcosa è cambiato. “Dalla politica non ci si dimette. E Angelino sa aspettare. Gli serve soltanto il proscenio adatto”, spiega chi lo conosce. Alfano è stato bravo, in questi mesi da osservatore, a ricostruirsi una verginità interiore. Ma soprattutto, trasmettere all’esterno – col silenzio composto che appartiene alle persone furbe e in gamba – il concetto che forse si stava meglio quando si stava peggio. Con Alfano in parlamento (e al governo). Non che l’ex ministro, specie alla Farnesina, abbia collezionato figure indimenticabili. Il caso Shalabayeva, la moglie di un dissidente kazako che venne “riconsegnata” al suo Paese assieme alla figlia di 6 anni, è rimasta una macchia indelebile, soprattutto per le modalità. Ma dopo di lui, in ruoli di prestigio, sono arrivati Salvini e Di Maio, certamente inferiori per curriculum e pedigree. E, comunque, il tempo aiuta a cancellare le colpe e recuperare i rapporti.

Con Berlusconi il percorso è già avviato. I due si abbracciarono, in maniera quasi fortuita, al funerale dell’amico Paolo Bonaiuti, nell’ottobre scorso. Ma già prima si vociferava dell’interessamento di Alfano per le liste di Forza Italia che il Cav., faticosamente e senza troppa fortuna, aveva costruito per l’appuntamento elettorale del 26 maggio 2019 alle Europee. Non solo. Come riportato da ‘Il Foglio’, di recente “è stato possibile ricucire un rapporto complesso come quello con Niccolò Ghedini”, l’avvocato personale del Cav. Mentre il dialogo con Gianni Letta, da sempre centrale nelle strategie di Silvio, non è mai venuto meno. Secondo la teoria revisionista di Fabrizio Cicchitto, un altro ex del ‘cerchio magico’ di Arcore, “la verità è che abbiamo fatto più bene noi a Berlusconi che i berlusconiani a Berlusconi. Fu lui che azionò l’ingranaggio. Ci spinse il Cav. La nostra presenza in quel governo (Letta, ndr) è stata la polizza di Berlusconi. Gli evitò un possibile tracollo elettorale. Anche gli uomini di Mediaset erano d’accordo”. Il momento in cui il PdL si spaccò tra governisti e anti-governisti è quello chiave. Che sancisce la separazione e l’addio.

Ma Berlusconi è uno che sa perdonare. L’ha fatto in Sicilia, ri-accogliendo nel partito gente come Renato Schifani, Giovanni La Via, Giuseppe Castiglione e Pino Firrarello, carissimi sodali di Alfano, dopo l’adesione “colpevole” e ragionata al Nuovo Centro Destra. E non è detto che non possa farlo con Angelino, dato che sembrerebbe perfino rimpiangerlo: “Mi mancano le sue riflessioni, era uno dei più bravi che avevamo”. Le telefonate, cordiali, ci sarebbero anche state. Ma ce ne passa dall’ipotizzare un suo rientro in politica. Prima, bisognerebbe rimettere in ordine alcuni tasselli. In un’intervista a Buttanissima, qualche settimana fa, il commissario Gianfranco Micciché, disse che alle ultime Regionali fece salire sul carro siciliano di Forza Italia parecchi altri partiti, per impedire a quello di Alfano di raggiungere lo sbarramento. Ma si trattava di gente poco partecipe, e comunque avulsa dal progetto azzurro, che a distanza di un anno o due ha salutato la carovana. Pur essendo stata funzionale all’obiettivo: escludere dalla partita e dall’Ars l’avvocato di Agrigento (Ap si fermo al 4,1%).

Il suo nome a palazzo dei Normanni è comunque entrato, nel corso dell’inchiesta della commissione Antimafia di Claudio Fava sul sistema Montante, che lo stesso Alfano, da Ministro dell’Interno, aveva deciso di mettere a capo dell’agenzia dei beni confiscati alla mafia. Era caduto anche lui nel tranello, come tanti, perché il leader di Sicindustria “era un’icona, più era creduto e più diventa credibile” (rivelò in audizione). Continuò a vederlo dopo che l’inchiesta fu rivelata, il 9 febbraio 2015, e ciò non piacque a Fava: “Alfano mantiene inalterata la sua relazione con quel signore – ha spiegato il presidente dell’Antimafia, riferendosi a quel momento storico – E’ una scelta che espone il Ministero e le istituzioni in generale. Il Ministro non può prendere un caffè al bar con un indagato per reati di mafia. Anche se è il suo migliore amico”. Una condotta senz’altro sconveniente. Ma anche a quella c’è un rimedio: il tempo. Laddove non subentra il pentimento. Buona estate, Angelino.

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