Chi l’ha detto che per guidare un comune servano volti nuovi e amministratori giovani? Antonio Ingroia non è né l’uno né l’altro: ex magistrato, classe 1959, è il candidato a sindaco di Campobello di Mazara, un paesino di 11.500 abitanti in provincia di Trapani. Che prova a dimenticare le angherie del passato. Qui, nel 2011, fu arrestato il primo cittadino dell’epoca, Ciro Caravà, per una presunta vicinanza al latitante Matteo Messina Denaro. Il Comune venne sciolto per infiltrazioni mafiose. Caravà fu prima condannato a 9 anni per concorso esterno, e poi assolto in Cassazione. E’ scomparso nel 2017, soffocato da un pezzo di pane. Negli ultimi cinque anni, a Campobello, ha amministrato Giuseppe Castiglione, che non ha nulla a che fare però col Castiglione ex sottosegretario per conto di Alfano. Sarà lui il principale sfidante di Ingroia nella partita – una delle più succulente – che si gioca domenica e lunedì. I comuni chiamati al voto sono 61, in attesa di Vittoria e San Biagio Platani, in provincia di Agrigento, che attendono novembre.
A proposito di Castiglioni. Giuseppe, quello originale, è il genero di Pino Firrarello, 81 primavere, candidato a sindaco di Bronte. Dove ha già fatto il sindaco tre volte, la prima nel lontano 1984. La politica mantiene giovani. Così Firrarello, che non ha alcuna voglia di mollare il “trono” – lo avevano ribattezzato “il signore di Bronte” – corre con sette liste al seguito, fra cui la cara, vecchia Forza Italia (e sei civiche). Nel suo passato ci sono quattro legislature al Senato della Repubblica e una lunga schiera di partiti: dalla Dc, che ha sancito il suo impegno politico per quasi trent’anni, al Cdu di Rocco Buttiglione, passando per Forza Italia, il PdL e il Nuovo Centrodestra. Da cui è andato via prima delle Europee dello scorso anno, riaccolto dai berluscones. Ottantuno anni – in due – ce li hanno Valeria Franco (30), candidata del Movimento 5 Stelle, e l’avvocato Giuseppe Gullotta (51), che guida il progetto civico “Orgoglio Brontese”, dove compare il simbolo di Attiva Sicilia, uno degli ultimi gruppi parlamentari dell’Ars (nato dalla scissione coi Cinque Stelle). Anche se il favorito d’obbligo, sostenuto dal Partito Democratico e Italia Viva, è l’uscente Graziano Calanna. Per Firrarello, che ha indicato fra gli assessori designati Antonio Leanza (figlio dell’ex vicepresidente della Regione, il compianto Salvatore) è un bel test, per niente scontato.
Come per Ingroia a Campobello. In un Comune interessato da vicende di mafia non poteva non presentarsi come l’illuminato: “La luce sinistra che illumina Campobello – ha detto nel suo primo comizio in piazza – è la mafia e il malaffare. Per questo metto a disposizione la mia storia. Io voglio essere un faro che accende una luce positiva. Chi meglio di un ex pm antimafia può presentarsi davanti all’opinione pubblica per dire che Campobello non è più terra di mafia?”. Messaggio chiaro: nel caso di Ingroia non c’entra l’età. Ma la militanza. Da sempre è un esponente di rango del partito dell’antimafia (di professione). Che ha provato a sdoganare in politica dopo la carriera da magistrato.
Ma l’esperimento di Rivoluzione Civile, che nel 2013 segna la sua discesa in campo come candidato premier, dichiaratamente contro Berlusconi, si rivela un fiasco: il suo partito ottiene il 2,25% alla Camera e l’1,79% al Senato. Zero seggi. Negli anni successivi si rifà con qualche incarico concessogli da Rosario Crocetta, il governatore antimafia, alla Regione: prima un rapido passaggio a Riscossione Sicilia, poi l’approdo come amministratore unico a Sicilia Digitale, la società che gestiva (e gestisce tuttora) i servizi informatici di palazzo d’Orleans. Anche lì un fiasco. Musumeci, nel 2018, lo liquida. Ingroia si dedica alla carriera di avvocato – nel frattempo è decaduto dalla magistratura – e a viaggi frequenti in Guatemala. Finché il telefono è squillato di nuovo.
Le prossime Amministrative, inoltre, sono utili per vedere all’opera alcuni cavalli di razza della politica siciliana, che ultimamente erano usciti dai radar. Uno di questi è Massimo Grillo, candidato a sindaco di Marsala, per un paio di legislature all’Assemblea regionale siciliana. Provenienza: Udc. Nel 2005 venne ai ferri corti con Totò Cuffaro, leader dei centristi e presidente della Regione in carica, per questioni di “trasparenza”. Assorbita la delusione per la sconfitta al ballottaggio di cinque anni con Di Girolamo (che dà la caccia al secondo mandato col sostegno del Pd), ci riprova. Sul nome di Grillo converge l’intero centrodestra. Ad accezione della Lega, volutamente “esclusa” dai giochi.
Mentre a Ispica, l’unico comune al voto nel Ragusano, torna in prima fila Innocenzo Leontini, ex assessore alla Salute e all’Agricoltura della Regione siciliana. L’ultima apparizione in Parlamento europeo, un anno fa, con Fratelli d’Italia. Doveva essere il collante fra la Meloni e gli autonomisti di Lombardo – di cui s’è guadagnato la stima dopo battaglie terribili a palazzo dei Normanni – ma il progetto di federazione naufragò alla vigilia delle elezioni del 26 maggio. Leontini, che è stato sindaco di Ispica col Partito Socialista (dal ’91 al ’93, altra epoca), ha militato per tanto tempo in Forza Italia prima della rottura con Gianfranco Micciché e l’approdo fra i centristi. E’ uscito intonso dalle vicende giudiziari – leggasi “spese pazze” – che hanno visto il “sacrificio” di Salvo Pogliese come sindaco di Catania. E questa volta ha lasciato fuori i partiti, compresa FdI che supporta un altro candidato. Quello di Leontini è un progetto volutamente civico e trasversale, che abbraccia esponenti di destra e di sinistra. Rivolto alla società civile. Il principale competitor è l’uscente Pierenzo Muraglie, che non è riuscito a evitare il “dissesto finanziario” del Comune e si porta dietro il Partito Democratico.
In attesa di giudizio – il 22-23 novembre, con eventuale ballottaggio due settimane dopo – resta Francesco Aiello, “comunista doc”. Nella sua Vittoria è stato sindaco per sei volte, la prima nel lontano 1978. Nelle ultime due occasioni, nel 2011 e nel 2016, ha dovuto arrendersi. Ma l’ex assessore regionale all’Agricoltura (con Lombardo) ci riprova. Il Comune ipparino è stato sciolto per infiltrazioni mafiose a seguito di un’inchiesta che ha coinvolto Giuseppe Nicosia, del Pd, e Giovanni Moscato, di Fratelli d’Italia. Gli ultimi sindaci eletti. Abbattuti dalle inchieste giudiziarie, ancor prima che dalla maledizione di Aiello. Un personaggio dell’ancient regime che non ha mai tagliato il cordone ombelicale con la città (“rossa”, fino a qualche anno addietro).
Tre le curiosità del voto di domenica, c’è anche la presenza di Claudio Chiappucci. L’ex campione di ciclismo, definito “El Diablo”, ha vinto una Milano-Sanremo. Era il capitano del primo Marco Pantani alla Carrera. Adesso è l’assessore designato della civica Paola Vallelunga a Termini Imerese. Mentre da dietro le quinte, ovviamente, non poteva mancare l’apporto di Mirello Crisafulli, lui sì politico di professione. Che a Enna farebbe i salti mortali pur di far perdere il sindaco uscente Maurizio Dipietro e i renziani. Il centrosinistra schiera Dario Cardaci, un ex An riconvertito alla causa. Fra gli assessori designati c’è Paolo Calianni, figlio dell’ex deputato regionale Paolo, un sostenitore convinto di Raffaele Lombardo e dell’autonomismo. Che divertente questa campagna. Peccato sia già finita.