E all’improvviso, mentre a piedi mi avviavo a riprendere la macchina, mi sorprese una pioggia così forte che dovetti infilarmi nella prima cabina telefonica che mi capitò a tiro. Ce le avete presenti le cabine degli anni ’80, no? Quando non servivano per telefonare, erano ottime per ripararsi dagli acquazzoni. Ecco, quello fu il momento in cui cominciò a prendere forma il mio “luogo dell’anima”. No, non la cabina. Ma quello che suggeriva il manifesto attaccato sulla cabina: una partita di pallavolo femminile!
Era un sabato pomeriggio di metà gennaio del 1987, e Agrigento, sferzata dal temporale, era ancora più vuota e desolante del solito. A quel tempo gli “eventi” si annunciavano così, con manifesti che venivano attaccati dove capitava. Prima che la pioggia furiosa lo bagnasse e lo strappasse, riuscii a leggere che la partita era in programma proprio quel sabato, alle 17.30. Non avevo mai visto una partita di pallavolo in vita mia: fino ad allora per me esisteva solo il calcio. Avevo un appuntamento a cena con gli amici quella sera, ma era ancora molto presto. E allora decisi di andare a vedere quella partita. Non so cosa mi spinse. La pioggia si era fatta meno fitta, ne approfittai per correre alla macchina e scendere al palasport “Pippo Nicosia”.
Era stato inaugurato da pochi anni, e nonostante fosse accanto allo stadio “Esseneto”, che al contrario frequentavo tutte le domeniche, non mi era mai capitato di entrarvi. Ecco, mia figlia Chiara è cominciata a nascere quel giorno, mentre io salivo le scale che conducevano alla gradinata del palasport. Mi sono appassionato alla pallavolo, e poi alla pallacanestro, e non mi perdevo una partita. E le commentavo per Teleacras, la tv privata di Agrigento dove ho cominciato a fare questo lavoro, ed erano per me ritagli di svago e di divertimento rispetto alla ben più impegnativa cronaca nera, che mi assorbiva lungo tutta la settimana. E niente, a forza di frequentare il palasport e di vedere tutte le partite, mi sono fatto molti amici tra giocatori e giocatrici.
Una di queste è diventata mia moglie, e otto anni dopo quel pomeriggio di pioggia, è nata Chiara. E siccome sua madre recuperò così in fretta dal parto che tre mesi dopo era già in campo, succedeva che lei giocava e io passeggiavo con la bambina in braccio sulle gradinate, e correvo a scaldarle il latte nel baretto del custode del palasport, quando cominciava a piangere. Scene così non erano inusuali al “Nicosia”. Perché prima e dopo Chiara sono arrivati Alessio, Lorenzo, Adriano, Angelo, e tanti altri “figli del palasport”, come mi piace chiamarli. Figli di giocatori e di giocatrici, di giornalisti, di tifosi, che qui si sono conosciuti, qui si sono innamorati e qui hanno messo su famiglia. Ecco perché se mi chiedessero qual è il mio “luogo dell’anima” non esiterei a indicare il palasport “Nicosia”.
In questo tempio dello sport, Agrigento, periferia della periferia, estremo lembo d’Italia, ha costruito imprese agonistiche strepitose e raggiunto traguardi impensabili. La squadra di pallavolo maschile è entrata nella storia per aver vinto ben sette campionati di fila fino a giungere in serie A1. Una scalata miracolosa la fece anche la squadra femminile delle Amazzoni, che giunse pure lei in A1, e giocò perfino le semifinali scudetto, e sfiorò la conquista della coppa Cev, l’Europa League del volley. E anche le squadre di pallacanestro maschile e femminile conquistarono successi straordinari in quel palasport. Poi cominciò lento e inesorabile il declino. Le società arrancavano tra mille difficoltà economiche, le squadre smantellate, il palasport che scricchiolava divorato da umidità e crepe. Finì tutto. Il “Nicosia” chiuse.
In poco tempo le erbacce avvolsero la struttura, dimenticata da tutti, ma non da noi che là dentro abbiamo costruito passioni e futuro. E allora, ecco che si fanno avanti Alessandro e Lucia. La loro storia meriterebbe un romanzo. Qui si può solo sintetizzare che lui giocava nella squadra di pallacanestro, lei venne da Ascoli, ingaggiata dalla squadra di pallavolo. Si sono conosciuti, innamorati, si sono sposati, hanno tre figli. Insomma, si sono fatti avanti e hanno partecipato al bando del comune di Agrigento per prendere in gestione il palasport. L’hanno vinto facile: erano gli unici concorrenti. Una scommessa. Vinta.
Il palasport un anno e mezzo fa era completamente in disuso. Alessandro ha investito, ha speso soldi per ristrutturarlo, tirarlo a lucido. Oggi risplende come ai vecchi tempi. E perfino di più: un piccolo gioiello. Per il momento ospita corsi di mini basket, mini volley, arti marziali, spinning. E dalla stagione sportiva, che comincerà a settembre, le partite della “Pallavolo Aragona” di serie B femminile. Per il momento. Ma intanto la riapertura di questo tempio di sport e di passioni, ci ha restituito un’emozione vecchia di trent’anni. E ha riconsegnato ad Agrigento una struttura che non è solo un monumento alla memoria, ma un punto di ripartenza. Sono ritornato nei giorni scorsi al “Nicosia” rinnovato. Ho risalito le stesse scale di quel livido sabato pomeriggio, e ho ripensato a quel manifesto bagnato dalla pioggia appeso alla cabina. Così va la vita.