“Io sono ancora in campo. Ma sento che stiamo perdendo tempo”. Claudio Fava avverte Pd e Cinque Stelle: crogiolarsi nelle disavventure di Musumeci non basta. Non più. Bisogna passare al contrattacco: “In questo momento c’è la disponibilità di un candidato, il sottoscritto, che si è fatto avanti, si è messo a disposizione delle forze democratiche, moderate, progressiste, senza porre veti – ribadisce il deputato dei Cento Passi e presidente della commissione Antimafia –. Se è una candidatura che incontra il favore degli elettori e delle forze politiche, bene. Se qualcuno ha in mente altri candidati lo dica. Ma smettiamola con questa melina a centrocampo. Sembra il tiki taka di Guardiola (allenatore del Manchester City, ndr) per nascondere la palla…”.
Contestano il metodo. La sua è un’autocandidatura.
“Incaponirsi nel tatticismo, nella retroguardia, nel parlar d’altro, mi sembra il viatico tradizionale del centrosinistra – siciliano e italiano – per prepararsi a una sconfitta. Questo è il momento di sfidare l’avversario in campo aperto, sfruttando il vantaggio delle proprie azioni. E invece c’è una corsa a rintanarsi negli eventi: l’elezione del presidente della Repubblica, l’ipotesi delle elezioni anticipate, lo scoccare della primavera… Io credo sia una tattica suicida. Per questo sei mesi fa ho detto: ‘ci sono, parliamone’. A quella disponibilità sono seguiti rinvii e rimandi”.
Potreste chiarirvi le idee alla Festa dell’Unità, questa sera, a Palermo.
“Sono stato invitato e ci andrò. Ma parlarsi dentro e attorno sarebbe un altro errore di strategia. Io penso che bisogna parlarsi fuori e altrove. E ascoltare. Se noi questa discussione la tirassimo fuori dalle segrete stanze, se tornassimo amici dei ragazzi di strada, se provassimo ad ascoltare i siciliani e cosa si aspettano come alternativa a Musumeci – che profilo, che candidatura, che sfida, che ideali, che scommessa, che valori, che speranza – risulterebbe più facile anche scegliere. L’idea che i segretari di partito debbano decidere le sorti di questa terra mi sembra un po’ vecchiotta”.
Si confronterebbe con le primarie?
“Non ho alcuna difficoltà. Ma si facciano adesso, non fra sei mesi. Fra sei mesi saremo già in campagna elettorale. Se c’è intesa sui tempi, sarò felicissimo di misurarmi con le proposte che arriveranno dagli altri partiti”.
La sua candidatura sarà a disposizione del “campo largo” anche se l’attesa dovesse prolungarsi?
“Non mi va di restare appeso ai tempi che altri decideranno secondo imperscrutabili ragionamenti”.
Cosa pensa della mano tesa di Renzi a Forza Italia? L’ex presidente del Consiglio ha detto a Micciché: “Inventiamoci qualcosa”.
“Io credo che bisogna avere una proposta forte, limpida, di profonda e autentica discontinuità, capace di guardare al futuro con parole chiare, nette. E di presentarla con facce credibili. Su questa proposta costruisci l’intesa, la narrazione, il perimetro. Non mettendo assieme gruppi dirigenti dei vari partiti. Mi sembra superficiale chiedersi se Forza Italia debba starci o meno. FI è un partito organico al centrodestra, ma rivolgersi anche agli elettori di quel partito è sacrosanto. Che tu debba immaginare, però, di inventarti qualcosa perché assieme al ceto politico di FI provi a costruire una coalizione un po’ più ampia è un’ingenuità. Gli elettori non capiscono e non seguirebbero una scelta che è fatta soltanto da un’addizione di simboli”.
Anche il governo continua a fare acrobazie. Non sembriamo alla fine del quarto anno di legislatura ma all’inizio della campagna elettorale. Ci scatta una fotografia del momento?
“E’ un momento che certifica la sospensione della politica. I ragionamenti che si intrecciano, che s’inseguono, che animano le riunioni della giunta, che attraversano i resoconti sui giornali, hanno un dato in comune: non c’è politica. Nel senso che non c’è la politica del fare, del decidere, del proporre, del costruire, del realizzare. La politica intesa come scelta quotidiana, come amministrazione. E’ tutto legato a una somma di tattiche. Ciò che conta è l’organizzazione dei rapporti di forza. Quello di Musumeci è un governo che ha deciso di non governare da tempo, che procede con l’abbrivio di qualche colpo di reni dato in passato e si prepara alla bagarre finale come i ciclisti prima di lanciare la volata”.
Al suo posto, avrebbe ricercato una nuova maggioranza in parlamento o si sarebbe dimesso?
“Musumeci avrebbe dovuto fare quello che non farebbe mai: dimettersi o andare avanti provando a schiodare l’azione di governo dalle sabbie mobili di questa “trattativa”. Cercando di caratterizzare almeno l’ultima parte della legislatura con alcune di quelle riforme agitate come bandierine in campagna elettorale e subito riposte nel cassetto. L’unica cosa che non avrei fatto al suo posto, invece, è restare a trattare, mediare, galleggiare, ammiccare. O vai avanti e porti in aula ciò che il tuo governo ha promesso. Oppure prendi atto che la maggioranza non c’è più e, dignitosamente, te ne vai. Ma Musumeci tiene a quel posto più di qualunque residuo di dignità. E così continua ad aspettare minacciare, blandire. Una tattica che lo porterà, alla vigilia delle elezioni, con molti altri possibili candidati in campo: a lui non resterà che la scelta di candidarsi comunque per far perdere il centrodestra o trattare una buonuscita parlamentare da qualche altra parte”.
Il governo avrà le energie per proporre le riforme? Al momento è occupato dalle impugnative del Consiglio dei Ministri e dallo scontro con la Corte dei Conti sui bilanci.
“In effetti, farle con un anno davanti dopo averne persi quattro, parlando vagamente di riforme della pubblica amministrazione, del sistema dei rifiuti, della riqualificazione dei servizi idrici, mi sembra piuttosto improbabile. Ma è anche vero che in quest’anno di governo che resta, qualche segno di vita, in qualche direzione, dovrà darlo. La sanatoria, o comunque la si chiami, era palesemente contraria a normativa nazionale, vincoli costituzionali e buonsenso. Ma ciò che preoccupa non è soltanto che è stata portata avanti nonostante la certezza di un’impugnativa. Ma che gli uomini di Musumeci continuino a rivendicarla come una legge buona e giusta. Questa è la cifra più impietosa del suo governo”.
La cifra dell’arroganza?
“Nella storia più recente dell’umanità abbiamo conosciuto personaggi di straordinaria levatura morale e politica: da Adenauer a De Gasperi. Persino Kennedy ammise: “la Baia dei Porci è colpa mia”. Non ce n’è uno che non abbia ammesso di aver sbagliato. Ma è possibile che questo signore di Militello Val di Catania, da quattro anni, continui a rivendicare ogni cosa fatta – anche quelle impugnate, bocciate e rivelatisi disastrose – come l’azione politica più alta e più specchiata? E’ possibile che non sia stato mai sfiorato dall’umiltà di dire ogni tanto: ‘ho fatto una cazzata’? E’ come se fosse completamente scisso dalla realtà. Continuare a rimandare la palla nelle tribune del passato e prendersela con Crocetta, è comodo ma un po’ sterile. Inoltre, quando lo fa, non estende la propria memoria ai governi precedenti, perché dovrebbe parlar male di Raffaele Lombardo. E parlar male di Raffaele Lombardo, per Musumeci che da Lombardo prende cortesemente ordini, è complicato”.
Cosa ci insegna la sentenza d’appello sulla Trattativa Stato-Mafia?
“Che la storia non va fatta nei tribunali. Su questo ha perfettamente ragione Giovanni Fiandaca quando dice che l’aula di un tribunale è troppo piccola per contenere la storia che questo processo avrebbe dovuto raccontare. Viceversa, i processi non raccontano la storia. Che questo abbia detto che non ci fu reato da parte di uomini dello Stato in quella presunta Trattativa, non vuol dire che costruendo la storia di quegli anni il racconto non sia molto più complesso e articolato di quello che produce la sentenza. Al dovere di farsi carico di questa complessità la politica non può sottrarsi”.