Quanto successo in Senato durante l’elezione del presidente La Russa – non tanto il “vaffa” di Berlusconi, piuttosto l’assenza in blocco di Forza Italia (al netto del Cav. e della Casellati) – potrebbe avere un seguito all’Ars se solo Renato Schifani, proclamato ieri governatore, continuasse a mostrare questa sua predilezione verso i patrioti. Patrioti che in Sicilia vorrebbero prendersi tutto: dal trono di Sala d’Ercole, l’equivalente della seconda carica regionale (che verrà messa in palio col ‘voto segreto’), passando per i maggiori assessorati, tra cui Sanità e Infrastrutture. Il primo pensiero di Schifani nel giorno della sua investitura al palazzo di Giustizia di Palermo – ma guarda il caso – è andato proprio a La Russa, “una persona alla quale mi legano grande stima e amicizia. Abbiamo avuto percorsi istituzionali e politici comuni e sono felicissimo per la sua elezione. Devo dire che per la Sicilia oggi è un momento felice”.
La Russa, originario di Paternò, ha spinto per la sua discesa in campo, in Sicilia, dopo aver incassato il ‘no’ al bis di Musumeci. Il nuovo presidente del Senato, infatti, è stato l’influente emissario di Giorgia Meloni durante le settimane di trattative feroci che hanno accompagnato la scelta del “candidato di sintesi” del centrodestra. Una battaglia che ha incrinato da un lato i rapporti con Raffaele Stancanelli (il cui nome è stato escluso dal lotto nonostante una vita di partito alle spalle), dall’altro con Gianfranco Micciché, che ha denunciato la “guerra” di FdI e di La Russa nei suoi confronti. Da qui i rigurgiti di questi giorni: “Con un premier e una seconda carica dello Stato” che vengono dal partito erede “del vecchio Msi – ha detto Micciché a Radio Radicale – probabilmente qualche problema potrebbe esserci. Sarei stato favorevolissimo a La Russa presidente del Senato, ma con un altro premier”. Il contender se l’è legata al dito e, parlando col Foglio, ha accusato Berlusconi di farsi trascinare da Miccichè e Ronzulli verso una strada senza sbocco.
Si tratta di strascichi estivi. E’ stato il vicerè meloniano, infatti, ad aver scelto il nome di Schifani da “una rosa di tre nomi” offerta da Forza Italia, e di cui Micciché non sapeva nulla. Soltanto il Cav., per spezzare l’impasse di una trattativa estenuante, e per certi versi imbarazzante, ha dato il via libera a Schifani, poi eletto da quasi 900 mila siciliani. Questo è il fil rouge che unisce il nuovo governatore a La Russa. Un’intesa che trascende i ruoli istituzionali e potrebbe sfociare in una simpatica liason, specie se Gianfranco Micciché lasciasse campo libero. L’accerchiamento sistematico attorno al coordinatore regionale di Forza Italia – dentro e fuori dal suo partito – nonché la promessa di un ruolo di primo piano al Senato, dove in questi giorni ha interpretato la parte di stratega e consigliere prediletto di Berlusconi, potrebbe spingerlo definitivamente a Roma. E altri segnali giungono dalle presenze al fianco di Schifani, nel momento della proclamazione: c’era, ad esempio, Francesco Cascio, che avrà un seggio all’Ars solo se Miccichè scegliesse di trasferirsi nella Capitale in pianta stabile; oltre all’assessore Marco Falcone, altro rivale interno, che spera in una riconferma alle Infrastrutture.
Al palazzo di Giustizia s’è visto, inoltre, il leghista Francesco Scoma, in cerca di una poltrona dopo l’addio a Montecitorio e la rinuncia a correre come sindaco di Palermo. Nonché Pietro Alongi, fedelissimo di Schifani e postulatore della sua santità. Il contingente più rumoroso, però, era quello di Fratelli d’Italia, capeggiato dal coordinatore per la Sicilia orientale, Giampiero Cannella, e da Alessandro Aricò. L’assessore uscente alla Formazione aspira al ruolo di presidente dell’Ars, anche se dovrà guardarsi le spalle da alcuni competitor interni: il ragusano Giorgio Assenza, l’agrigentina Giusy Savarino e, soprattutto, il catanese Gaetano Galvagno, uomo di punta fra i larussiani siciliani.
Dentro FdI è già lotta aperta fra gli esponenti storici, come Galvagno, e le new entry di Diventerà Bellissima, che hanno lanciato l’Opa sul partito. Un partito che, approfittando del voltafaccia nei confronti Musumeci, vorrebbe prendersi tutto. E che intende far leva sulla storiella sui cinque anni di buongoverno per convincere Schifani a proseguire sulla stessa linea. Innescando una sorta di restaurazione (senza Musumeci). Anche nella sanità, come risulta evidente dal convegno del 15 settembre, quando il neo presidente della Regione spese parole d’encomio per Ruggero Razza, invitandolo a coorte per averne in cambio alcuni, preziosi consigli.
Bisognerà capire se Berlusconi è disposto ad accettare il fiancheggiamento – costante e pressante – della Meloni al suo Renato. Specie dopo le bizze di questi giorni, che restituiscono una tensione palpabile tra Forza Italia e Fratelli d’Italia sulla composizione del governo nazionale. E chissà come reagirà il Cav. se, dopo il niet a Ronzulli, dovesse scattare un ministero (per il Sud?) per Musumeci o, ancor peggio, per Manlio Messina, che ‘La Sicilia’ inserisce fra i papabili “ministri senza portafoglio” (magari con delega allo Sport). Chissà come farebbe a spiegare il dominio di Giorgia in Sicilia, nonostante i pochissimi decimali che la separano da Forza Italia. E chissà come farà Schifani, che di FI è un esponente storico, a restare indifferente al “peso” del futuro premier. E al pressing dei suoi uomini, che nell’Isola è già in corso da un pezzo. Nonostante l’etichetta di “moderato”, Schifani potrebbe spalancare la strada all’esecutivo più a destra di sempre. Ispirato da Ignazio La Russa, il presidente del Senato più a destra di sempre.