Destra a quattro ruote. Giorgio Almirante si presentava qui di notte per chiudere le campagne elettorali a bordo di una Renault Dauphine. Lei, Arianna Meloni che spesso e volentieri riceve e fa riunioni nella stanza che fu del capo dell’Msi in via della Scrofa, arriva a Viterbo in Cinquecento. Appuntamento alle Terme dei Papi per l’altra papessa della destra. La prima, Giorgia di due anni più giovane e di cinque centimetri più bassa, è a Potenza per un comizio. Finisce Arianna, inizia la premier. Si passano il testimone, anzi la fiamma, a 441 chilometri di distanza.

“Non è un caso se vi sono venuta a trovare: ve lo siete meritato”, dice la sorella d’Italia, nonché compagna del ministro Francesco Lollobrigida, durante i diciotto minuti d’intervento. Nel corso del quale non azzarda. Non va a braccio, ma legge. Va bene il cognome e i geni, ma fa un lavoro diverso rispetto alla leader che tanto sembra esaltarsi sui palchi, tra faccette e affondi.

Al contrario, la responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia si fa spesso umile e piccola: “Non sono qui per fare il grande leader o il presidente del Consiglio”. Ovviamente spesso parla di “noi”, cita un paio di volte Giorgia. La voce è identica. Ammonisce le truppe dicendo che “dobbiamo essere all’altezza”. Ce l’ha con la classe dirigente che ogni tanto, e bastano i resoconti parlamentari, scuffia. “Ero emozionata perché non sono abituata a parlare in pubblico”, dirà alla fine della prima fatica, seguita da un bis in serata a Tarquinia. E’ stato un debutto.

In auto, nel tragitto da Roma a Viterbo, ha ripetuto ad alta voce il discorso. Con lei c’era il deputato Francesco Filini, filiera Fazzolari, che giura di non aver messo mani al papello meloniano scritto in stampatello. “Nemmeno Giovanbattista”. Chissà. Continua su ilfoglio.it