Al fianco di Matteo Salvini per l’avvio del cantiere della metropolitana che collegherà Misterbianco e Paternò; al fianco di Renato Schifani per annunciare che il governo chiederà lo stato di emergenza per la crisi idrica e agricola che attanaglia la Sicilia. Luca Sammartino è sempre più presente, oltre che protagonista. Negli ultimi giorni circola persino qualche foto in più, merce rarissima. Equilibratore di un governo che molti non vedono l’ora di rottamare, grazie a una sensibilità moderata, che in passato l’ha portato a vestire anche altre casacche (su tutte quelle del Pd e Italia Viva); catalizzatore di un partito, la Lega, che nelle ultime tornate elettorali ha pagato a caro prezzo lo scarso attecchimento sul territorio. Ha vinto tutte le sue partite, Sammartino: da ultimo, il braccio di ferro con Raffaele Lombardo, che ha convinto l’ex governatore ad abbandonare Salvini e a sciogliere la federazione con il Mpa. Senza, peraltro, che dai piani alti della Lega – dal commissario Durigon allo stesso vicepremier – siano arrivate dichiarazioni in contrasto.
E’ questa la potenza di Luca Sammartino: guadagnare spazio senza spacconerie, ma con la forza dei numeri (leggasi preferenze) e un’azione di governo composta, che fin qui ha saputo recepire le istanze degli agricoltori (una delle categorie più danneggiate degli ultimi tempi: ricordate i trattori?). L’ex enfant prodige della politica siciliana, oltre 20 mila voti alle ultime regionali (dopo i 32 mila del 2017), è diventato grande e al netto di qualche magagna che Nello Musumeci era arrivato a contestargli in aula (auspicando che di lui si occupassero “altri palazzi”), è riuscito a conquistarsi la fiducia delle sue figure di riferimento: il presidente della Regione pro-tempore, ma soprattutto l’attuale vicepremier, che gli ha affidato le cure del Carroccio.
Sammartino dovrà ripagarlo con un risultato all’altezza delle aspettative già alle prossime Europee. Nessuno, probabilmente, gli chiede di raggiungere un risultato in doppia cifra, come asserito da Nino Germanà in un colloquio con ‘La Sicilia’. Ma è indubbio che la Lega aspiri a guadagnarsi almeno un seggio nella circoscrizione Isole: senza i voti di Lombardo sarà un po’ più difficile ma non impossibile. Sammartino ha già trovato la leva per azionare il consenso: vale a dire ospitare nelle liste del Carroccio l’ex sindaco di Catania ed europarlamentare uscente Raffaele Stancanelli, appiedato da Fratelli d’Italia, con cui lo stesso Salvini ha dichiarato di voler parlare. Gli consentirebbe di erodere consenso a Lombardo. Con misura e senso tattico, Sammartino sta cercando di adoperarsi per una strategia vincente, ben consapevole che sarà difficile colmare il vulnus dei vertici – il ministro delle Infrastrutture non è certo quello del 2019, quando uscì dall’isola con oltre il 20 per cento.
Ma nella Lega, depurata dalle ambizioni di Lombardo e dalle faide con l’ala di Annalisa Tardino e dei primi salviniani (la licatese resta candidata per Bruxelles, ma ha dovuto smobilitare la segreteria), è chiaro chi comanda: lui. Sammartino, dopo aver convinto ad entrare nel partito gli ex Udc Turano e Lo Curto, facendo diventare il primo assessore, si è assicurato la vicinanza del gruppo parlamentare dell’Ars, oltre che del nuovo commissario, Claudio Durigon, mandato in Sicilia a “mediare”. Il prossimo step è fare eleggere Germanà segretario del partito e irrobustire la propria posizione con un buon risultato alle Europee. Ha fatto saltare il patto con Lombardo, è vero, ma è stata una liberazione per entrambi. L’assessore all’Agricoltura ha sabotato la creazione di un intergruppo parlamentare a Palazzo dei Normanni, a cui è seguito un regolamento di conti molto aspro e la fuoriuscita degli Autonomisti, ormai stanchi di sottostare: “Il mio rapporto è stato ed è con Salvini – ha detto qualche giorno fa Lombardo, annunciando il divorzio -. E non mi spiego come mai si sia consentito che l’iniziativa da lui voluta sia stata “picconata” dai cosiddetti leghisti siciliani”. Ma nessuno ne farà una tragedia, perché la sceneggiatura era parsa monca da subito.
La parola ‘fine’ non è ancora stata scritta, ma in questa fase intermedia che sembra durare per sempre, il vincitore è Sammartino. Che nei mesi, nonostante la presenza di Schifani (sempre restio a concedere la scena), è riuscito a ritagliarsi un profilo istituzionale (avrà imparato qualcosa anche dallo zio prefetto). E a farsi rispettare nonostante decisioni forti ma non sempre allineate coi più forti (vedi la fronda contro le modifiche all’ordine del giorno che avrebbero anticipato la trattazione della legge “salva-ineleggibili”, poi finita bocciata dai franchi tiratori: Sammartino era dichiaratamente contrario). Schifani ha avuto una tale dose di fiducia nei suoi confronti – solo il fedelissimo Marcello Caruso ne ha meritata altrettanta – da assegnargli la delega ai rapporti con il Parlamento. E questo ha finito per rafforzarlo ulteriormente.
In più, diversamente da qualcuno dei colleghi “catanesi” ai piani alti, non gli è servito utilizzare fior di quattrini della comunità europea per guadagnarsi le vetrine. A Sammartino non servono. Lui preferisce schivare attenzioni e telecamere, dosa le parole come fossero smeraldi e non digrigna i denti palesando arroganza. Ha giocato bene le sue carte anche alle Amministrative di Catania: dopo aver teso i muscoli per sponsorizzare Valeria Sudano, sua compagna anche nella vita, si è rimesso alle decisioni della coalizione, assecondando la proposta di Enrico Trantino (spinto da FdI e da Lombardo). E’ raro coglierlo in flagranza con atteggiamenti ostili, è più maturo di così. Non dà soddisfazioni ai titolisti di siti e giornali, ed è più pronto di altri a recitare il ruolo di collante. Astuzia, carisma e una buona dose di pazienza gli hanno già consentito, all’alba dei quarant’anni, di attraversare indenne la palude. Ora viene il bello.