Si sono affacciati al balcone convinti di aver abolito la povertà ma ne stanno preparando la miseria. E infatti euforici ed ebbri come se fossero entrati a Berlino, la nomenklatura del M5s ha scelto di sporgersi da Palazzo Chigi per festeggiare quella manovra, da precipizio, che sta già facendo abbassare la fiducia dell’Italia nel mondo e che fa tornare in mente Napoli ’44 di Norman Lewis, il racconto dell’Italia umiliata e cenciosa.
Soddisfatti di avere messo in castigo il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nient’altro che un “tecnocrate”, un uomo che non “risponde al popolo”, i grillini, con Luigi Di Maio in testa, hanno esibito lo sforamento del debito, hanno sorriso sul corpo morto, come quei parenti che puntano all’eredità dell’estinto e ne studiano il miglior modo per dissiparla.
Ed è stato infatti una sagra di bandiere e di cori, giovedì, quello di Roma, che spaventava sia per la scenografia – per quella notte che sempre evoca i fantasmi e le angosce – sia per numero che – non solo per vicinanza geografica – ricordava l’Italia all’ammasso di Piazza Venezia che acclamava il suo Duce. Attenzione, non si vuole dire che si facevano le prove generali del fascismo, ma si vuole solo far notare che il popolo vociante è sempre quello che vuole sbranare l’Europa, arrivare alla resa dei conti per non dover fare mai i conti con se stesso.
Ieri sera, volavano le cifre del disonore, si brindava al futuro deficit e all’ingrassamento del debito, si promettevano paradisi ma sfasciando le casse di Stato. Non è causale la scelta del balcone. C’era infatti la vertigine dell’altezza e l’uscita di Di Maio dal palazzo, più che il cambiamento, era l’antica apparizione del re che misurava il suo potere gettando briciole di ricchezze che lui non produceva. E dunque, quando questo vicepremier annunciava la chiusura dell’accordo con i suoi complici della Lega, sembrava quasi che lanciasse monete d’oro mentre, intanto, la ragione tramontava e si spegneva.
Chi vive in Sicilia, e a Palermo, ricorda queste epifanie che si verificano ogni anno durante l’approvazione della manovra regionale. Flotte compatte di stipendiati tengono sotto assedio il parlamento regionale fino a quando il governatore, nel 2013 accadde con Rosario Crocetta, non si affaccia annunciando il miracolo. Non sono semplici manifestazioni di piazza, ma baccanali. Ebbene, ieri guardando Di Maio che alzava il pugno e il popolo che lo salutava come suo protettore, non tornava in mente la Città del Sole e tutto si pensava fuorché al futuro radioso. L’immagine più prossima era la massa inferocita dei default sudamericani, la corsa agli sportelli dei pensionati senza reddito. C’era il vuoto di un paese nel pieno di quella piazza.