“Perciò ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle. Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi”. Le parole di Papa Francesco hanno riaperto per qualche giorno l’antico dibattito sullo spinoso tema “mafia e Chiesa”. Tema che in Sicilia ha una storia lunga e controversa, di luci e di ombre. “Non c’è dubbio che la Chiesa cattolica sia stata uno dei brodi di coltura del fenomeno mafioso – spiega al Foglio in un articolo di Salvo Toscano pubblicato oggi lo storico e docente universitario Salvatore Lupo, autore di testi sulla storia di Cosa nostra –. E ovviamente per Chiesa non intendo solo la gerarchia ma l’insieme dei luoghi periferici dove si pratica anche una religiosità non particolarmente raffinata, influenzata da modelli folklorici, ‘cristianesimo etnico qualcuno lo chiama’. E c’è stato anche un certo antistatalismo cattolico che ha portato in passato certi parroci a dire che si risponde davanti a Dio e non alla legge. E poi tutti i mafiosi si sono sentiti buoni cattolici”.
Quel tipo di “religiosità” è un modello forse non del tutto superato. Basti pensare alle tante inchieste degli anni recenti su processioni e “inchini” vari. “Finché il Papa è in Sicilia diciamo: ‘Chi non salta mafioso è…’. Da lunedì torneremo ad accettare soldi da chicchessia e ad avere mafiosi con ruoli nelle processioni”, ha detto padre Rosario Lo Bello, prete siracusano di frontiera, al quotidiano La Sicilia.
Venticinque anni fa tuonare contro i mafiosi ammonendo e invocando il giudizio di Dio era un gesto che scuoteva, era un passaggio in qualche modo rivoluzionario. E l’eco del grido di Wojtyla alla Valle dei Templi di Agrigento ha risuonato a lungo nella storia siciliana. Su questo, però, Salvatore Lupo ricorda come il percorso di avversione al fenomeno mafioso nella Chiesa abbia mosso i suoi passi a prescindere dall’anatema della Valle dei Templi: “Tutti dimenticano fuorché quelli che c’erano: lo schieramento di un pezzo di mondo cattolico non deriva da un permesso dato dal Papa – dice lo storico siciliano al Foglio –. Anzi, in una prima parte alcuni di questi preti hanno avuto problemi con la gerarchia. L’ala del mondo cattolico che ha preso posizione contro la mafia non ha avuto bisogno del permesso del Papa”.
Quanti e quali effetti può sortire l’appello papale, quanto può essere ‘utile’? Difficile a dirsi, certo. Lo storico Lupo risponde così sui possibili effetti di questo genere di appelli: “Io non sono in grado di capire in che misura questo tipo di mondo, questa religiosità tradizionalista e influenzata dal folklore, ancora esista. Apprezzo che il Papa dica queste cose, lui come il suo predecessore. Questa è la terra in cui il Cardinale Ruffini diceva che la mafia era una calunnia antisiciliana dei comunisti. Ciò detto, è evidente che se da una parte tutte le persone di buona volontà sono contente, non credo però che questo cambi i termini della questione. Credo che il tipo di cattolicesimo dei mafiosi non si presti a farsi riformare da Papa Francesco, è resistente. E dura da un tempo in cui Papa Francesco non era ancora nato”.