Voleva andare con Forza Italia e gliel’hanno impedito. Ora Totò Cuffaro cerca casa. Nella gestazione di questo parto infinito, sembra gli siano rimaste un paio di possibilità (agli antipodi): Matteo Renzi e Matteo Salvini. La sponda di Italia Viva sarebbe la più congeniale – ideologicamente parlando – ed è favorita dai rapporti, sempre ottimi, con Davide Faraone, segretario regionale di IV. L’ex premier ha promesso un grande centro, e Cuffaro, per la Sicilia, diventerebbe la punta di diamante. Bisogna tenere conto che ha preso 150 mila voti alle Europee e che continua a guadagnare amministratori negli enti locali, a scapito degli altri partiti del centrodestra. Nell’Isola la DC è molto più forte di Italia Viva, che avrebbe tutto l’interesse, per questo, di stringerci un accordo.
Ma c’è pure l’opzione Lega, come confermato dall’ex governatore nella sua ultima uscita a Siracusa: “Salvini spinge per una nostra adesione”, ha rivelato per la prima volta Cuffaro, anche se “il nostro elettorato non capirebbe questa scelta”. Resta una prospettiva curiosa. Non tanto e non solo per la collocazione europea del Carroccio, che aderisce all’eurogruppo di Identità e Democrazia (Cuffaro aspira ai Popolari), quanto per gli strani meccanismi che, a meno di novità dell’ultima ora, porterebbero Cuffaro e Lombardo a convivere nella stessa lista. Il leader del Mpa, forte di una federazione siglata con lo stesso Salvini ma stanco dei veti di Luca Sammartino, attende segnali di fumo dal Ministro delle Infrastrutture e non esclude di guardare altrove. L’ingresso di Cuffaro, che porterebbe in dote un candidato (anche se il nome di Francesca Donato, fuoriuscita dal Carroccio, non sarebbe più così attuale), restringerebbe il margine d’azione di Lombardo, che con il segretario della DC non condivide quasi nulla se non la passione per i vini.
Questa strada sembra essere una strettoia: per Cuffaro, per Lombardo ma anche per Salvini che già deve fare i conti con un partito spaccato e commissariato. Ecco che per Totò l’opzione Renzi è certamente la più appetibile, anche se non mancherebbero i rischi: in primis il raggiungimento del 4 per cento, tutt’altro che scontato; ma anche la fedeltà al centrodestra – che Cuffaro si sforzerebbe di garantire in chiave Palazzo d’Orleans – potrebbe subire un contraccolpo. Ci sarebbe infine un’ipotesi ancora meno redditizia, sulla carta: ossia il rassemblement con gli altri cespugli di centro, da Lupi a Brugnaro. Una coalizione che alle ultime Politiche ha dimostrato di valere poco, pochissimo (circa l’1 per cento). Una via senza sbocchi che contribuisce ad aumentare i tormenti dell’ex governatore di Raffadali, che spera sempre in un’apertura dell’ultimo momento di Forza Italia (ma “Falcone, che intende candidarsi, teme la concorrenza interna di un candidato riconducibile alla Democrazia cristiana”).
Pure Forza Italia ha i suoi bei grattacapi. La corsa a due tra Falcone e Tamajo, che servirà ad arricchire il bottino della lista, rischia di trasformarsi in una guerra fratricida fra l’anima palermitana e quella catanese del partito. Schifani assisterebbe in silenzio, sponsorizzando Tamajo, nella consapevolezza che chiunque uscirà vincitore dalla sfida sarà il suo prossimo rivale interno. Ahi, quanto sarebbe comodo candidare Caruso… (ma chi lo vota?). Poi c’è anche il fattore Chinnici: l’europarlamentare, che di tanto in tanto ricompare per ricordare a tutti l’importanza della questione morale e delle liste pulite, sarà candidata nella Circoscrizione Isole, accettando di prodigarsi in campagna elettorale anche nella Agrigento dove è tornata forte l’influenza di Dell’Utri? Se ci sarà da turarsi il naso per una terza esperienza a Bruxelles, l’ex Pd – integerrima – sarà disposta a farlo?
Anche i Fratelli d’Italia vivono l’incertezza della vigilia. Intanto bisognerà capire il numero di posti in lista e le velleità di Giorgia Meloni. Se la premier fosse capolista in tutti i collegi, le caselle in Sicilia sarebbero quasi tutte piene: con due posti attribuiti alla Sardegna e uno alla presidente del Consiglio, ne rimarrebbero cinque, di cui uno occupato dall’uscente Giuseppe Milazzo e un paio da Giusy Savarino ed Elvira Amata (a garanzia delle ‘quote rosa’). Un altro sarà prerogativa dell’ala catanese, anche se qui rischia di esplodere la tensione fra l’ala del partito riconducibile a Musumeci (che preferirebbe l’ex assessore Razza) e quella di Salvo Pogliese, sempre più ai margini nonostante il ruolo di coordinatore per la Sicilia orientale. A decidere sarà il solito Messina Manlio: nome in codice Balilla. Sotto la sua gestione è già stato accantonato Raffaele Stancanelli.
Anche nel campo largo, o campo giusto, non mancano le fibrillazioni. Rispetto alla coalizione progressista di Schlein e Conte, in Sicilia si guarda con molta attenzione alle scelte di De Luca. Scateno, che è sempre stato fuori da ogni schieramento, ci rimarrà anche stavolta (in attesa di riunire le truppe per obiettivi più ambiziosi). Ma non per questo rinuncerà al sogno di approdare in Europa al grido di “Meno Europa”. Nel corso dell’appuntamento di questo weekend a Taormina, per il congresso nazionale di Sud chiama Nord, il sindaco ha presentato un logo con la parola libertà in mezzo, il simbolo del suo partito e cinque bollini lasciati in bianco per eventuali apparentamenti. Non ci sarà il logo di Calenda: “Non possiamo svendere la nostra storia e la nostra esistenza per un seggio a Bruxelles, caro Calenda Sud chiama Nord con te non può più venire”. “La nostra deadline – ha proseguito Scateno – è tracciata. Vedremo entro il 6 aprile, in occasione della manifestazione fissata a Roma, chi si presenterà per partecipare al nostro progetto”.
Dei tanti, potenziali alleati, non è rimasto granché: Letizia Moratti, dopo un flirt col Terzo Polo, è tornata in Forza Italia; le chiacchiere con Renzi e Calenda si sono dissolte; quelle con Mastella pure; i movimenti civici e autonomisti, per lo più sconosciuti al grande pubblico, non garantiranno a Scateno il salto di qualità. Anche se il sindaco di Taormina, ottimista per indole, ha diffuso un sondaggio di Piepoli che attribuisce al suo movimento un potenziale di crescita enorme, fino a raggiungere una forbice tra il 5 e il 7 per cento. Difficile, però, che possa riuscirci – da solo – entro i 98 giorni che ci separano dal voto per le Europee. Saranno mesi di travaglio per Cateno, che da questo punto di vista resta comunque in ottima compagnia.