La mancata parifica del rendiconto 2020 da parte della Corte dei Conti, non è solo una sentenza riferita ai “buchi” del precedente governo, colmati in parte dall’intuizione di Palazzo Chigi di riscrivere la norma che avrebbe consentito alla Regione di spalmare il disavanzo in otto anni anziché in tre. E’ molto di più. Rappresenta la bocciatura dell’azione politica di Gaetano Armao, ma soprattutto delle scelte dell’attuale presidente, Renato Schifani, di nominarlo come suo vice “occulto”. Con una doppia mansione, peraltro: quella di consulente (a 60 mila euro l’anno) in materia di fondi extraregionali (ci sono sempre i piccioli di mezzo) ma anche di presidente della Commissione Via-Vas, che si esprime sulle autorizzazioni ambientali. In pratica hanno premiato l’uomo che aveva consegnato la Sicilia al baratro dei conti pubblici: con cinque esercizi provvisori di fila, una caterva di contestazioni da parte della magistratura e una serie di operazioni poco trasparenti, e per lo più inefficienti, che hanno portato al verdetto di ieri: quello con cui la Corte dei Conti – caso più unico che raro – decide di non parificare il rendiconto.
Prima si era limitata a sospendere il giudizio in attesa che la Corte Costituzionale, stimolata nel merito, esprimesse un parere: anch’esso negativo. I giudici, qualche mese fa, dichiararono “incostituzionale” il decreto legislativo n.158 del dicembre 2019 con cui lo Stato e la Regione si accordavano sulla spalmatura decennale del disavanzo storico. L’esito della Corte dei Conti non fa che aggravare quella sentenza e rimarcare che ai tempi, all’assessorato all’Economia, prevalesse il caos sulla cautela; il cinismo sulla prudenza. Eppure, nonostante la rivalità di facciata alle ultime Regionali, Schifani ha riammesso Gaetano Armao nelle stanze di Palazzo d’Orleans (declassando il “vero” assessore, Marco Falcone): i due hanno confabulato insieme dopo la rovinosa caduta all’Ars di dieci giorni fa, quando la norma che avrebbe reintrodotto il voto delle province è stata impallinata dai franchi tiratori; ma è anche sulla distribuzione dei fondi di coesione 2021-27 che Armao fa la parte del leone (arrivando a incrociare le spade col fratello d’arte, Silvio Cuffaro, capo del dipartimento Finanze). Sarà il giudizio del super consigliere a indirizzare Schifani verso la scelta di un pacchetto d’interventi che poi dovrà superare il vaglio degli alleati e del Ministero della Coesione.
Della serie: passano gli anni, si aggrovigliano gli scandali ma a dettare legge (e che legge!) sono sempre gli stessi. Schifani, oltre a non imparare dagli errori del passato, non impara neppure dai propri. Per questo è un temerario combattente sul fronte del caro-voli. Occhio, però, alle incoerenze. Non più tardi di qualche mese fa, il presidente della Regione aveva denunciato all’Antitrust un cartello fra Ita e Ryanair, che avrebbe generato un aumento spropositato delle tariffe durante le festività. Nella sua massima espressione di furore, cercò un’alternativa ai due vettori, schierando ai nastri di partenza Aeroitalia, che conquistò la scena su Comiso prima di espandersi anche altrove.
Oggi, però, la vituperata Ryanair è tornata protagonista senza che nessuno al governo apra bocca: nelle conferenze stampa convocate a Palermo e Catania è stato rinsaldato definitivamente il legame fra la low-cost irlandese e gli scali siciliani. Specie Catania, dove chi “gestisce” – la Sac teleguidata dalla Camera di Commercio del Sud-Est (dove la Regione è pienamente parte in causa) – sfila assieme all’a.d. Eddie Wilson che aveva definito “spazzatura” le teorie di Schifani sul “cartello”. Non solo: l’amministratore delegato di Sac Nico Torrisi, che a causa di un litigio aveva finito per mettere in fuga Ryanair dall’aeroporto di Comiso (svuotato in quindici giorni lo scorso maggio), oggi sfila con i cartelli in mano per salutare il nuovo investimento degli irlandesi su Fontanarossa, il maggiore degli asset di Sac (che controlla però anche Comiso). E Schifani? Non pervenuto.
Il presidente è lì che si sfrega le mani pensando alla prossima furbata: la nuova ondata di sconti per garantire delle tariffe più eque a chi parte da Catania e Palermo (non dagli altri aeroporti dell’Isola) verso le destinazioni del Nord. Finora gli unici collegamenti che godono di agevolazioni sono quelli per Roma e Milano: sia i residenti (per il 25% del costo del biglietto) che alcune categorie speciali (50%) possono usufruire di uno sconticino che sotto le Feste, però, evapora. Le compagnie che hanno aderito all’Avviso della Regione (tra cui Aeroitalia e Ita) applicano lo sconto ma non hanno alcun obbligo di calmierare le tariffe, che pertanto nei periodi più caldi dell’anno subiscono delle impennate stratosferiche. Quindi, con la scusa di applicare gli sconti (neutralizzati in partenza dai rincari), si pappano pure i “ristori” della Regione. Insomma, ci speculano. Schifani lo sa, perché lo ha pure denunciato, ma non ha mosso un dito. Al contrario, insiste col promuovere una soluzione fuffa, che è già costata alle casse di Palazzo d’Orleans 33 milioni. Ne serviranno almeno altri venti.
Questo si chiama populismo. E non serve ad avvantaggiare i cittadini (se non in minima parte) bensì le compagnie aeree. Ma è comunque utile ad alimentare il mito del governatore contro ogni tipo di stortura. Allo stesso obiettivo puntava l’epurazione di Desirée Farinella come direttore sanitario dell’ospedale “Di Cristina” di Palermo. Il cosiddetto Ospedale dei Bambini. Tutto parte della denuncia di una mamma su Repubblica, che viste le gravi carenze del reparto di Nefrologia pediatrica, vuota il sacco e decide di rivolgersi altrove (cioè al “Gaslini” di Genova). Schifani, dopo la più classica delle cadute dal però, prende l’intervista per oro colato, incontra la madre e minaccia provvedimenti serissimi: che il nuovo commissario dell’ospedale “Civico”, Walter Messina, puntualmente applica. La povera Farinella è destituita dal suo incarico e diventa il perfetto capro espiatorio di un sistema allo sbando, che fa acqua da tutte le parti e da quattordici mesi non può contare neppure su un assessore all’altezza.
Ma tutti gli scandali della sanità – dai pronto soccorso alle liste d’attesa – trovano il proprio snodo al ‘Di Cristina’, dove il foglio di via nei confronti di Farinella è firmato, peraltro, da un manager che era già stato commissariato due volte (una da Razza, una proprio dalla Volo) per aver sprecato un mare di finanziamenti europei mentre guidava l’ospedale Villa Sofia. Uno “bravo”, insomma. La forzatura, per qualche ora, rende onore a Schifani, che si guadagna il solito francobollino sulla stampa compiacente. Ma la gogna mediatica, nel giro di qualche ora, diventa la cartina tornasole di un modo di governare che governo non è. E’ illusione, piazzata, messinscena. “A parte la carenza di motivazioni e l’illogicità del ragionamento – spiega una nota del Cimo – l’atto notificato alla dottoressa Farinella appare illegittimo in quanto la normativa contrattuale vigente prevede che la revoca dell’incarico possa avvenire solo a seguito di una valutazione negativa o da parte dell’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) o per il venir meno dei requisiti”. Non perché Schifani voglia inventarsi una punizione.
L’ex direttore del Civico, Giorgio Trizzino, parla di “giustizia sommaria compiuta in nome di una malcelata voglia di affermare un potere che ormai la politica non rappresenta più nei confronti dei cittadini”. Anche gli operatori del ‘Di Cristina’ si compattano contro la scelta del manager, e la stessa Farinella, attraverso i suoi avvocati, diffida il “Civico” a revocare la decisione perché, al netto degli elementi più tecnici, l’“arbitraria rimozione dall’incarico” serve ad “appagare con un capro espiatorio il bisogno collettivo di vittime sacrificali dando in pasto la Farinella alla gogna mediatico-giudiziaria”. La prova muscolare si è dimostrata un clamoroso boomerang. L’ennesimo salto nel vuoto di un presidente che non sa cosa significhi governare. Il quale, scegliendo Armao prima e Messina poi, continua pervicacemente a dimostrarlo.