A pochi giorni dall’annuncio del nuovo contratto di servizio con Trenitalia, lo stesso che promette “un sensibile incremento dei servizi, un potenziamento delle infrastrutture e dei convogli e una riduzione del 5 per cento del costo dei biglietti”, un Comitato di pendolari fa notare che dal 1° gennaio, non ci sarà alcuno sconto sulle falcidiate linee siciliane, ma addirittura dei rincari “del 5% su singoli biglietti e abbonamenti. Al danno la beffa di un aumento del 10% non dovuto già dal gennaio 2023”. Un aumento che la Regione aveva detto di voler combattere prevedendo, con la Legge di Stabilità dello scorso anno, un rimborso pari a 3,6 milioni. E invece, insistono i viaggiatori, “non abbiamo visto un centesimo”. Potrebbe essere l’effetto di un altro numero d’illusionismo della premiata ditta Schifani & Aricò, che qualche giorno fa, come ribadito, aveva annunciato un taglio – anzi, una sforbiciata – sui costi dei pendolari che utilizzano le ferrovie (già per questo andrebbero premiati).

In attesa che il nuovo contratto (fino al 2033) entri a regime, continueranno i soliti problemi. Non solo sui costi, ma anche sui tempi di percorrenza: molti treni vanno a gasolio e giungere a destinazione, in una qualunque tratta, rappresenta un terno al lotto. Il settore della mobilità (al netto delle promesse inevase e delle molteplici incompiute) è intriso di bluff. La Regione, ad esempio, ha previsto di omaggiare le compagnie aeree con 33 milioni di euro affinché possano praticare degli sconti fino al gennaio 2025 per i residenti in Sicilia che si spostano verso Roma e Milano. L’iniziativa, scattata il 1° dicembre, è ancora in fase di rodaggio. Delle tre compagnie che hanno aderito all’Avviso pubblico, solo Aeroitalia e Ita Airways (di recente) hanno modificato i sistemi di prenotazione per applicare gli sconti fin dalla prenotazione. I passeggeri di Wizzair – ma anche quelli delle altre compagnie ammesse allo speciale trattamento – potranno fare soltanto una richiesta di rimborso. Così, dopo aver conservato la ricevuta della prenotazione e la carta d’imbarco, e compilato un apposito form sul sito della Regione, dovranno “solo” attendere un bonifico sul conto.

Sul fronte del caro-voli, il governo ha seminato una marea di bluff. Schifani aveva cominciato questa battaglia rivolgendosi all’Antitrust, che di recente ha rinunciato (addirittura) ad aprire qualsiasi istruttoria contro le compagnie, perché era impossibile verificare la presenza di “cartelli”, cioè l’argomentazione utilizzata dal presidente della Regione per inchiodare alle proprie responsabilità Ita e Ryanair. Per entrambe le compagnie, inoltre, si sono riaperti i saloni di Palazzo d’Orleans, dopo essere giunti coi nervi a fior di pelle: Eddie Wilson, a.d. della low cost irlandese, aveva definito “spazzatura” le dichiarazioni di Schifani, poi gli ha reso visita per cercare di sanare la situazione (anche perché l’aeroporto di Trapani, dove la Regione ha molto in ballo, regge solo grazie a questo vettore); con Ita, invece, è andato in scena un simposio per lanciare alcune iniziative a favore dei giovani dai 12 ai 25 anni, oltre che per annunciare un incremento dei voli per la prossima summer. Insomma: avevamo scherzato. La battaglia sul caro voli, in fin dei conti, non ha portato ad alcun miglioramento sostanziale. L’introduzione delle agevolazioni dal 25 al 50 per cento, infatti, non ha impedito alle compagnie (specie quelle aderenti al bando) di modificare le tariffe al rialzo, ottenendo ulteriori margini di profitto rispetto agli sconti “pagati” dalla Regione.

L’abitudine al bluff invade anche altri campi. Uno è stato svelato da Cateno De Luca, leader dell’opposizione, in sede di discussione della Legge Finanziaria. E riguarda la realizzazione del Ponte sullo Stretto e le fonti di co-finanziamento regionale, che sono state alle base del bisticcio fra Schifani e il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini: “Mi riferisco – dice De Luca – al contenuto della nota del 18 ottobre scorso, dove il Presidente Schifani ha comunicato al ministro Salvini che la giunta all’unanimità avrebbe stabilito di destinare un miliardo sulla programmazione 2021/2027 del fondo Sviluppo e coesione e in più almeno 200 milioni per quanto riguarda la programmazione 2014/2020 delle risorse non spese per quanto riguarda il Fesr. Non so se al Presidente Schifani qualcuno ha riferito pure che abbiamo fatto una richiesta di accesso agli atti – ha proseguito il leader di Sud chiama Nord – e abbiamo scoperto che la giunta aveva l’abitudine a non redigere i verbali perché quando ne abbiamo fatto richiesta, non c’erano. Tranne poi apprendere con grande gioia che improvvisamente tutti i verbali erano stati pubblicati. Tutti a distanza di appena tre giorni dalla nostra richiesta di accesso agli atti”. Se così fosse, per Schifani si sarebbe trattato dell’ennesima promessa sulla sabbia – nessuna delibera ma una semplice nota – da cui era facilissimo tornare indietro. Com’è effettivamente avvenuto. Salvini, comunque, con un atto di forza ha ipotecato 1,3 miliardi e Schifani, nonostante gli strepiti, ha dovuto cedere l’intera posta in palio. L’ira di cartapesta.

Anche all’inizio della legislatura il presidente della Regione si è contraddistinto per alcuni bluff. Ad esempio nella scelta degli assessori. Aveva annunciato, urbi et orbi, che i rappresentanti della giunta (tranne l’assessore alla Sanità, che sarebbe stato un tecnico) dovevano essere eletti all’Ars e rispondere a determinati requisiti: “La giunta sarà composta da assessori politici-esperti”, disse dopo aver vinto le elezioni. Ma non aveva tenuto conto dei muscoli di Fratelli d’Italia, che da Roma cambiò indirizzi e carte in tavola, recapitandogli i nomi di Francesco Scarpinato (consigliere comunale a Palermo, non eletto) ed Elena Pagana (ex M5s, non eletta, e senza alcuna esperienza amministrativa). Non poté mettersi di traverso o l’avrebbero sfiduciato all’istante. Fu costretto ad accettare nonostante qualche remora o minaccia di dimissioni. Peraltro Scarpinato è sopravvissuto allo scandalo di Cannes e al ritiro del provvedimento in autotutela con cui sembrava archiviato una volta per tutte il metodo Balilla, cioè l’ex assessore al Turismo che aveva inaugurato l’epoca delle ricche prebende (senza bando) a società lussemburghesi (senza requisiti) e dei soldi investiti in campagne di comunicazione senza scrupoli. Macché, al posto del povero Scarpinato finirà Elvira Amata, altra patriota ligia al dovere.

Nella catena di comando del Turismo l’unico a pagare è stato un dirigente, Antonio Cono Catrini, reo di aver revocato i contratti con gli albergatori previsti dal programma SeeSicily, con annessa richiesta di svincolare le somme assegnate dalla Regione e mai spese. Un provvedimento adottato all’indomani dell’inchiesta aperta dalla commissione “Regio” della UE su eventuali irregolarità finanziarie già al vaglio della Procura di Palermo e della Corte dei Conti sull’utilizzo di un malloppo da svariati milioni: sarebbero dovuti servire a “risarcire” gli albergatori dopo la sciagura del Covid (favorendo l’arrivo di turisti anche mediante la concessione di voucher e notti gratis), e invece si rivelarono una mangiatoia per i grandi gruppi della comunicazione, che videro aumentare a dismisura il plafond loro destinato.

Per limitare le perdite, il responsabile del Dipartimento Turismo cominciò a sciogliere i contratti con le attività ricettive incapaci di spendere i soldi: ma Fratelli d’Italia non la prese affatto bene, per questo il dirigente fu trasferito all’Autorità di certificazione dei programmi cofinanziati dalla Commissione europea al posto della Antinoro. Un gesto che modificò la percezione d’insieme. Schifani sembrava avere a cuore tutti i processi di spesa da parte dei singoli assessorati, e con le sue iniziative, orientate al buonsenso, aveva dato l’impressione di tenerci davvero (ai soldi e soprattutto al metodo). Il bacio di Brucoli, dall’ex assessore Messina, invece ha finito per rivelare l’ennesimo bluff: nel turismo comanda FdI, punto. E non c’è spazio per alcuna rivoluzione.

Ma la giravolta più clamorosa arriva dalla sanità. L’11 ottobre, con i commissari delle Asp in scadenza a fine mese, da Palazzo d’Orleans parte una nota: “Il governo regionale rispetterà i tempi per procedere alle nomine dei direttori generali, secondo le norme di legge, affinché siano al più presto nel pieno delle loro funzioni, così da poter dare, nell’ampio arco temporale garantito dal loro mandato, un contributo di efficienza e visione strategica per il rilancio della sanità”. Poi l’accordo con gli alleati non quaglia e Schifani s’inventa una pessima scusa per giustificare il passo indietro e il rinvio al 31 gennaio: “C’è stata la condivisione di un principio importante: i manager nominati avrebbero dovuto attingere ad albi vecchi e non aggiornati per scegliere direttori sanitari e amministrativi. Un fatto oggettivo che nessuno può contestare”. Ma com’è possibile che fino a venti giorni prima non c’erano problemi di sorta, e venti giorni dopo ci si accorge che gli elenchi siano da aggiornare? E com’è possibile che neppure sul criterio di selezione dei manager ci sia chiarezza e linearità da parte del governatore? Prima viene fuori, in piena estate, la distinzione fra “idonei” e “maggiormente idonei”, poi viene sanata con un decreto che riunisce tutti i papabili in un unico elenco da 87 e infine Schifani ribadisce la propria preferenza per 47 di essi (con l’accusa a Lombardo di non conoscere la legge). Da un altro bluff è scaturito un papocchio. Ora bisognerà trovarsi un’altra scusa, in fretta, per giustificare il prossimo rinvio ormai certo. C’è tempo fino al 31 gennaio.