Forza Italia, in Sicilia, ha solo due santi a cui votarsi. Il primo è Marco Falcone, abile organizzatore della convention di Taormina che da due giorni fa credere ai berluscones di avere un futuro. L’assessore all’Economia, uno dei pochissimi capaci nell’attività di governo, ha insediato il proprio feudo nel Catanese (quasi 14 mila preferenze alle Regionali) e le posizioni critiche nei confronti dell’establishment (prima Micciché e adesso Schifani) gli hanno permesso di avere una propria identità e non venderla per due denari. Falcone, alla vigilia di Taormina, è stato onesto con se stesso e la sua storia, ribadendo un concetto imprescindibile a proposito di alleanze: “Prenderemo la decisione più opportuna che coniugherà sia l’esigenza di aggregare, ma anche la capacità di presentarsi agli elettori con l’orgoglio per la nostra storia e i valori azzurri di sempre”. Senza Dc, evidentemente. E con lui in campo, probabilmente.
Meno rigida e più camaleontica la posizione di Edy Tamajo, l’altro “santo”. Ovunque vada, che sia il partito di Renzi o quello di Berlusconi, il deputato di Mondello ha dimostrato di avere spessore e voti. Tantissimi. All’ultimo giro è diventato Mr. Preferenze, strappando lo scettro a Sammartino. Il bottino (oltre 21 mila elettori si sono fidati di lui) gli è valso la nomina alle Attività produttive, ma soprattutto l’indipendenza decisionale che molti dei suoi colleghi non possiedono (e nemmeno rivendicano). Forza Italia dovrà pregarlo in ginocchio di candidarsi per spingere la lista. Lui, nel suo intimo, lo sa: “Sono a disposizione del partito, se mi chiamano io ci sono”.