La sanità pubblica in Sicilia è una bolgia infernale, ma il destino di medici e pazienti non è affar della Regione, che nella prossima Finanziaria prevede di stanziare zero euro per il capitolo “salute”. Gli unici soldi che verranno fuori da Piazza Ottavio Ziino, sede dell’assessorato, saranno gli undici milioni per ambulatori privati e laboratori d’analisi, con cui – a meno di sorprese dell’ultima ora – si potranno coprire “parte delle prestazioni convenzionate prenotate nel 2021 e 2022 e poi slittate al 2023”. Soldi, in pratica, che serviranno a recuperare le infinite liste d’attesa che mantengono il sistema in un limbo. Qualche mese fa, il dipartimento di Pianificazione strategica, d’accordo con l’assessore (fantasma) Giovanna Volo, ha previsto di investire 48 milioni per il recupero delle prestazioni arretrate – si parla di ricoveri per interventi chirurgici e visite e controlli ambulatoriali – obbligando di fatto le ASP e le Aziende ospedaliere universitarie ad abbattere gli arretrati entro il 31 dicembre. Sta per scattare l’ora X, ma l’obiettivo non sembra ancora a portata di mano.
Le Aziende in questi mesi le hanno provate tutte: innanzi tutto innescando le marce alte per l’attività di recall, utile alla bonifica delle liste (cioè le telefonate per capire quanti dei pazienti in lista fossero ancora interessati al servizio prenotato); poi cercando di stringere convenzioni coi privati – con tutte le noie burocratiche del caso – per canalizzare i pazienti verso altre strutture e alleggerire il carico degli ospedali; infine, cercando di riorganizzare il lavoro delle Unità operative ‘manchevoli’, attraverso un aumento delle sedute operatorie che però, come noto, dipende anche dalla presenza di medici. In Sicilia non siamo messi benissimo, specie negli ospedali di periferia. Ma anche a Villa Sofia, per dirne una, è servito un miracolo – cioè il reclutamento di alcuni medici dall’ospedale di Termini Imerese – per non chiudere il reparto d’ortopedia. Questo la dice lunga sullo stato di salute della nostra sanità.
In questi giorni la deputazione nazionale di Italia Viva, capeggiata dall’on. Davide Faraone e dalla senatrice Dafne Musolino, ha intrapreso un giro ospedale per ospedale, da Palermo a Ragusa, e ha scoperto numerose criticità: su tutte la carenza di personale, specie nei reparti d’urgenza e nella branca dell’anestesia e rianimazione. Quest’ultimo è un settore propedeutico allo svolgimento delle sedute operatorie. C’è chi ha provato a supplire ricorrendo ai medici “gettonisti”, che guadagnano molti più soldi dei colleghi “ordinari”; chi ha fatto ricorso a specifiche convenzioni con associazioni e cooperative, sborsando fior di quattrini; chi ha fatto rientrare medici dalla pensione, oppure ne ha reclutati di nuovi dall’estero. Anche se la coperta resta corta e ogni tentativo, seppure coraggioso, rischia di imbattersi in un gap – economico e di competenze – per il quale non esiste rimedio. Anche la riorganizzazione interna agli ospedali, fra reparto e reparto, rappresenta un esperimento a perdere.
A questo scenario inquietante si aggiungono le mosse del governo nazionale. La cosiddetta riforma delle pensioni, potrebbe portare molti medici ad andarsene via prima, come ha segnalato in un intervento su ‘La Sicilia’ Massimo De Natale (Cisl Medici Catania): “La riforma riguarda chiunque si riferisca all’Inps per la previdenza, il settore più cospicuo è quello medico che rischia di perdere più di un quarto dello stipendio, così almeno seimila medici, circa mille in Sicilia, andranno in pensione prima e si svuoteranno i reparti, con ripercussioni sui pazienti. Si cercano medici per recuperare su liste d’attesa e operazioni, ma poi si fa sì che i medici vadano in pensione?”. Domanda più che lecita, mentre Faraone affronta il tema da un’altra angolatura: “Non so se il Governo confermerà o meno i tagli, fino al 25% delle pensioni dei medici, previsto in legge di bilancio, so soltanto che tantissimi medici non si fidano più e stanno già decidendo di andare via. Si prevede un esodo nelle prossime settimane. Un dramma per la nostra sanità. Tanti reparti, di tanti ospedali, sono aperti grazie ad uno/due medici, in pianta organica sono spesso presenti un terzo di quelli previsti”.
Venerdì l’ultimo grido disperato sarà lanciato nel corso dello sciopero generale che, ad occhio e croce, porterà molti dirigenti medici ad incrociare le braccia. Secondo Riccardo Spampinato, segretario organizzativo nazionale e presidente regionale Cimo, sembra che la manovra del governo nazionale sia “l’ennesima spinta per portare medici, e pazienti, nel settore privato della sanità. Si sta distruggendo un sistema sanitario pubblico già in sofferenza e paga una vergognosa mancata programmazione che in dieci anni ha visto chiudere ospedali, tagliare posti letto e unità operative. In Sicilia le aree di emergenza degli ospedali hanno una pianta organica coperta per il 53%, ed è un dato depositato e noto all’assessorato regionale della sanità, ecco perché poi si fa ricorso ai “gettonisti” e alle cooperative, creando, consapevolmente, una bolla di falso futuro. Perché? Lo stesso gettonista che accetta, anche se guadagna 100 euro all’ora, quindi 1.200 euro per un turno di 12 ore, mentre un dirigente medico per un turno di notte ne guadagna 80 di euro all’ora, si preclude la possibilità di stabilizzazione e di fare carriera e, secondo me, ha abdicato alla stessa professione”.
La Regione siciliana non ha prospettato alcun tipo di soluzione. Alle paventate chiusure degli ospedali di Sciacca e Petralia, che rischiano di contribuire in maniera ulteriore allo spopolamento dell’Isola, il presidente Schifani ha risposto con una spolverata d’illusionismo: “Gli ospedali non chiuderanno – ha detto, replicando alla manifestazione che s’è tenuta qualche giorno fa sulle Madonie -. Stiamo lavorando per individuare e attivare tutte le procedure indispensabili per la risoluzione delle carenze di organico. Il problema, purtroppo, è strutturale: serve incrementare, nel lungo periodo, il numero dei medici impiegati nel Servizio sanitario regionale pubblico. Nel frattempo, utilizzeremo tutti gli strumenti in nostro possesso per scongiurare la chiusura dei due ospedali: lo dobbiamo a tutti i cittadini residenti in quei territori e nelle zone più periferiche dell’Isola”. Un auspicio. Che è cosa diversa da un impegno. Anche perché di impegni la Regione non se ne può assumere. Può ordinare di ripulire le liste d’attesa, riuscendoci magari. E’ più difficile rendere sostenibile (finanziariamente) un ospedale o attrattivi i numerosi concorsi che le Aziende, anche in questi mesi, hanno indetto senza fortuna.
Molte procedure vanno deserte e tanti professionisti, fino ad oggi in trincea per difendere la sanità pubblica dall’assalto, si trasferiranno armi e bagagli nel privato. Dove sei in condizione di poter reggere i turni, non ti esponi al burnout e soprattutto guadagni più soldi. Poi ci sono le mille questioni di lana caprina, compresa la nomina dei nuovi manager, da cui dipenderebbe la riscrittura della rete ospedaliera; la riorganizzazione dei servizi (in funzione degli ospedali e delle case di comunità che nasceranno); un’equa compartecipazione tra pubblico e privato per garantire l’efficacia del servizio sanitario. Ma soprattutto occorrerebbe prendersi più cura dei malati e meno dei giochi di palazzo utili a spartirsi le poltrone. Sarebbe il primo passo per calendarizzare le priorità. Ma la Sicilia riuscirà a liberarsi di questo fastidiosissimo fardello?