Le opinioni sono nella battaglia oppure non contano. Oppure hanno influenza e realizzano la malignità o la banalità del male. Se dici che la colpa è del governo israeliano dici che la questione palestinese è all’origine del raid assassino di Kfar Aza, cancelli la verità unica dell’orrore, ti esprimi con una patente bugia. Hamas non è “i palestinesi”, li ha sottoposti volontariamente ai bombardamenti di queste ore, all’assedio, che non è una vendetta ma autodifesa, e lo ha fatto massacrando bambini del nemico. Questo conta, e conta contraddire questa verità se paghi un prezzo, se devi cercarti un luogo alternativo per dirlo. Perché mai devo offrirti una tribuna pubblica, che si ispira o dovrebbe a verità plurale e cultura, per sparare questa tua opinione come un proiettile e moltiplicare le vittime in un mondo anche troppo propenso all’equivoco e all’ignoranza dei fatti?
Nostra sorella Annalena Benini non vuole togliere la parola a nessuno al Salone del libro di Torino. La capisco. Sarebbe una scelta difficile. Forse manderebbe in vacca un progetto. Solleverebbe scandalo sicuramente. Alienerebbe simpatie, genererebbe contestazioni vivaci. Ma perché non sia una decisione d’ambiente, questa troppo facile, bensì una secca disposizione ultralibertaria, bisogna che il Salone dia la parola anche a Fiore, il fascista pro Hamas, magari ai negazionisti eredi di Faurisson; ai negazionisti e complottisti dell’11 settembre; alla difesa della pedofilia-pedofobia; alla tribuna devono salire i cantori dell’eroina e dello spaccio, i nemici della sanità pubblica e privata e dei vaccini, i sostenitori della pena di morte legale, i denigratori della Resistenza, chi è ostile alla Costituzione, i sostenitori dell’aggressione russa all’Ucraina, oltre naturalmente ai fanatici dell’antislamismo e a chiunque creda che bruciare il Corano, un libro, è legittimo. Si deve avere il coraggio, se questa è la decisione, di difendere l’indifendibile.
Ma è quel che non succederà, per ovvie ragioni, non si può trasformare una potente occasione editoriale e culturale in un Grand Guignol dell’orrore e del falso in atto pubblico. Invece Patrick Zaki sì. In fondo la pensa come tanti studenti di Bologna e di Harvard. La bandiera palestinese sembra perfino più vicina all’arcobaleno della pace della stella di David; qui sono il male e il suo risvolto banale, che sembra un’opinione ininfluente e invece è una provocazione per chi abbia la testa sulle spalle (lasciamo il cuore dov’è); mezzo secolo di occupazione della Cisgiordania, dopo una guerra esistenziale, e la questione di Gerusalemme. E la grande letteratura israeliana degli Oz e dei Grossman e degli Yehoshua, e la tecnologia (in certi casi rivelatasi inutile, ma tant’è) di un paese prospero e armatissimo, che si difende con le unghie e con i denti, tutto questo fa la storia, di amore e di tenebra, della nascita dell’indipendenza ebraica dopo la Shoah ma non la coscienza umanitaria di noi affluenti sopravvissuti. Specie se la coscienza si appoggia alle opinioni che non contano, ma in battaglia sì. Hamas è un nemico assoluto, va sradicato.
C’è chi come Tom Friedman è preoccupato che Israele difendendosi cada in una trappola, in particolare entrando a Gaza e aprendo forse un fronte del nord, la trappola di fare quello che il nemico auspica, troncando la simpatia che nel mondo lo circonda quando è vittima, e solo in quanto vittima, recidendo i legami dei famosi patti di Abramo che hanno messo ai lati la decisiva questione di una soluzione accettabile della questione palestinese, che non c’entra con Hamas e il massacro ma esiste. Questa è un’opinione, un atto sensato di ragione e di pensiero, che non tiene conto del dovere di considerare Israele come una benedizione anche quando non è una vittima ma fa vittime per difendersi, il suo punto debole, ma è un’opinione legittima. Penso che il salone dovrebbe ospitare opinioni come questa, e altre che all’esterno del perimetro stretto di autodifesa nazionale israeliana mettano in discussione il modo in cui si è arrivati al massacro, e che cosa quel massacro significhi, e tutta la politica israeliana, visto che abbiamo la libertà di farlo. Ma Hamas no, Zaki no.