Totò Cuffaro, da consumato leader (nazionale) di partito, ha utilizzato la Festa dell’Amicizia di Ribera per allargare i propri orizzonti e mettere a punto, disquisendo di pace, alcuni dei rapporti internazionali che gli torneranno utili in futuro (per andare oltre il Burundi): da qui la convocazione di Sergej Patronov, console generale della federazione russa a Palermo; ma soprattutto della giornalista e attivista Suha Taweel e di Zahwa Arafat, rispettivamente moglie e figlia di Yasser Arafat. E non perché voglia allacciare un rapporto diretto coi palestinesi. Quanto per dimostrare che lui “può” (a differenza di altri che, invece, “vorrebbero”).
Totò Cuffaro è tornato. E tutti, a questa festa democristiana riesumata dopo trent’anni, hanno scelto di partecipare. Rendendo omaggio al coraggio, alla dignità con cui ha trascorso cinque anni in carcere e forse alla sua lungimiranza politica. Dagli amici di sempre, come Saverio Romano, ai nemici giurati, come l’ex ministro Gianfranco Rotondi (che qualche mese fa lo accusò di aver usurpato il nome della Democrazia Cristiana, mentre ieri ne ha elogiato la “volontà di dialogo”), passando per i colleghi di governo. Grazie all’indole inclusiva e alla pazienza, doti che certamente gli appartengono, Cuffaro sta dimostrando a tutti che il partito aperto, inclusivo e plurale è il suo. Non Forza Italia, che all’evento del Politeama per accogliere Cancelleri, evitò di invitare anche uno solo degli alleati (eccetto Lagalla, il padrone di casa); bensì la DC nuova, che ha da poco celebrato il congresso regionale e, in attesa di questa kermesse, si era già portata avanti con decine di adesioni sul territorio.
La Dc è attrattiva, Cuffaro ha i suoi adepti, e Schifani invece no. Il presidente della Regione sosteneva che sarebbe stata Forza Italia il baricentro di un’alleanza moderata in vista delle prossime Europee. Ma se questo è il clima, andrà a finire che sarà lo stesso governatore, “l’amico di sempre” (come l’ha definito Totò in una intervista a ‘La Sicilia’), a chiedere spazio nelle liste della DC (se solo lo sbarramento lo permettesse). Lo scheletro della Democrazia Cristiana ha sviluppato i muscoli, dal Comune di Palermo alla Regione, e queste giornate sono servite agli altri partiti – non solo agli alleati – per prenderne atto. Per riconoscerlo pubblicamente.
Alla Festa dell’Amicizia, per esempio, si sono iscritti quelli di Italia Viva. Con la partecipazione della senatrice Maria Elena Boschi, da sempre braccio destro di Renzi, e di Davide Faraone, cui l’ex premier ha chiesto di candidarsi per Strasburgo. Una doppia presenza che è sintomo della stima fra Cuffaro e Renzi, anche se l’ipotesi di una collaborazione è stata troncata mesi fa dallo stesso Faraone (per il fatto che la DC a livello regionale è schierata troppo a destra). Potrebbe tornare in voga, come ovvio, se i rapporti con FI – vuoi per un verso o vuoi per l’altro – dovessero allentarsi. Ma tra le parti c’è piena e autentica sintonia: sul garantismo e sui diritti dei detenuti, ad esempio. Inoltre, come Renzi, che ha strappato a Cateno De Luca la senatrice Dafne Musolino, anche Cuffaro è impegnato a incamerare amministratori locali su larga scala: sono arrivati un paio di consiglieri a Palermo e un altro paio ad Agrigento. Senza dimenticare le punte di diamante: dal modicano Ignazio Abbate all’agrigentino Carmelo Pullara, i veri centravanti di sfondamento in termini di consenso elettorale.
Forza Italia, per rigirare il coltello nella piaga, si è accontentato di qualche decina di voti da parte di Cancelleri alle ultime Amministrative di Catania e della presenza invisibile di Caterina Chinnici, un cult dell’antimafia. Cuffaro, invece, è riuscito anche nella gestione dei mal di pancia da parte dei più scettici. Prendete, ad esempio, la prima istantanea proveniente da Ribera: il taglio del nastro inaugurale è toccato al presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, uomo forte di Fratelli d’Italia. Lo stesso partito che qualche settimana fa aveva contestato il “movimentismo” eccessivo della DC ai danni della coalizione, ma che non poteva defilarsi da questo momento di comunità, in cui – parola di Cuffaro – si parla di “diverse tematiche nazionali cruciali, in particolare quelle relative alla sanità, all’agricoltura, ai giovani”, tutto ciò “nell’interesse della Sicilia e del Paese nel suo complesso”.
E siccome si parla di Paese, quasi a voler legittimare la figura da leader di Cuffaro (che non a caso è segretario nazionale della DC), ecco spuntare dal cilindro il vero pezzo da novanta: il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Meglio noto come “il cognato d’Italia” (è marito di Arianna Meloni, sorella di Giorgia). Ma Lollo è anche, per chi se ne fosse dimenticato, il principale referente della corrente turistica di Fratelli d’Italia, quella che in Sicilia ne ha combinate di ogni – da Cannes a SeeSicily passando per le Celebrazioni Belliniane – e annovera tra i suoi soldati migliori Manlio Messina, l’ex assessore di Musumeci (oggi vicecapogruppo alla Camera). Quella che ogni occasione è buona per investire fior di quattrini sulla “comunicazione”, soprassedendo sulle modalità (quali appalti?) e sull’etica. Da sei anni abbondanti, ormai, FdI ha messo le mani sull’assessorato al Turismo, e al netto degli interpreti, continua a gestirlo con la solita irruenza e spacconeria. La visita di Lollobrigida, magari, servirà a stemperare un po’ delle tensioni accumulate in questi mesi (non tanto con Cuffaro, semmai con Schifani) e a sentirsi parte integrante della stessa famiglia. Dove si discute, ci si confronta (spesso in maniera aspra), ma alla fine ci si vuole bene. E si lascia correre.
In questo scenario è innegabile la bravura di Cuffaro, all’un tempo baritono e baricentro del centrodestra. L’utilizzo sapiente della strategia, in uno reciproco scambio di benefici – c’è pure il leghista Sammartino nonostante gli screzi con la segretaria regionale del Carroccio, Annalisa Tardino – segna l’apertura di una stagione nuova, molto simile alla vecchia. Una stagione democristiana. Fatta di alchimie, di congressi, di enunciazioni, di province, di sentimenti, di valori. Certo, un pizzico di governo in più non guasterebbe.