Il Laboratorio Italia ha sempre regalato primizie politiche. Nel secolo scorso, per esempio, il Fascismo venne esportato in Germania coi risultati che ben conosciamo. Il Berlusconismo anticipò di oltre vent’anni l’avvento di Donald Trump negli Stati Uniti. E adesso il sovranismo italico tenta un esperimento che, se funzionasse, rivoluzionerebbe i paradigmi del mondo contemporaneo fondato sulla globalizzazione, sulla libera iniziativa e sulle leggi di mercato: la politica del ceffone. Consiste nel minacciare quelli che si arricchiscono, quelli che nell’ottica governativa ne approfittano provocando rincari e dando l’immagine di un’economia allo sbando. L’obiettivo è fargliela pagare agli occhi della gente, punirli con multe salate, imporre loro tasse tra capo e collo della serie “vi faccio vedere io”: uno Stato giustizialista, un po’ Robin Hood e un po’ Zorro.
La vendetta del governo Meloni si è già abbattuta tre volte. Ha colpito le banche, le compagnie aeree, le pompe di benzina. Nel primo caso ha fatto leva sugli “extraprofitti” degli istituti di credito. Nel secondo caso ha dichiarato guerra agli algoritmi fissando un tetto massimo alle tariffe dei voli. Nel terzo ha imposto ai benzinai di esporre i prezzi medi del carburante, pena ammende e fustigazioni. Alla base dei vari provvedimenti c’è sempre il concetto di “troppo”: quando si esagera con l’avidità, se si eccede con i guadagni, se si indispettisce il popolo Giorgia interviene e rimette le cose a posto. Ma in un’economia fondata sulla concorrenza, il cosiddetto “troppo” (gliel’ha fatto presente una che certo avversaria non è, Marina Berlusconi) non spetta alla politica deciderlo e nemmeno agli elettori. Semmai lo determinano la domanda e l’offerta, l’incontro-scontro degli interessi. Ogni forzatura di questa regola ha un prezzo. Salato.
Al tempo del Covid, Mario Draghi arginò i rincari del carburante con una politica di sussidi. Funzionava? Certo che sì. Sennonché, continuando, ci avrebbe mandato in rovina. Il governo di destra, con sommo dispiacere, è stato costretto ad abbandonarla. In compenso se l’è presa coi benzinai, come se fossero loro gli affamatori del popolo, subito messi alla gogna dalla grancassa mediatica che è andata a scovare i rifornitori più cari come quello celeberrimo di Trani, il quale si faceva pagare la verde ben 2 euro e 20 centesimi al litro. Allora, tre mesi fa, sembrava un’enormità; oggi è diventato normale. Ciò significa, banalmente, che mettere gli speculatori alla gogna non ha funzionato. Tanto è vero che Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, sta studiando l’ennesimo “bonus” sotto forma di tessera benzina per i meno abbienti, e tutti gli altri si arrangino.
Il rischio in agguato è l’”effetto boomerang”, che ci vada di mezzo proprio chi andrebbe difeso. Gli istituti di credito s’erano comportati malissimo nei confronti dei correntisti, tardando ad aumentare gli interessi sui depositi laddove, tradizionalmente, quelli passivi vengono adeguati in fretta; ma invece di costringere le banche a remunerare meglio i clienti, il governo s’è appropriato degli extraprofitti con l’intento di fare cassa; cosicché i maggiori costi delle banche finiranno per scaricarsi almeno in parte sui risparmiatori. Idem le tariffe aeree: l’adozione dei prezzi medi di riferimento, che su disposizione di Urso non si potranno aumentare oltre un tot, spingerà le compagnie a tagliare le tratte economiche in modo da tenere nei limiti quelle più redditizie, col risultato ultimo che faremo le spese noi viaggiatori.
Il governo queste cose le sa, difatti ingrana la marcia indietro. Con Ryanair è escluso lo scontro frontale, tanto più che la vicenda Ita pende davanti alla Commissione Ue. Quanto alle banche, abilmente condotte dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli, la premier riscriverà il decreto magari in cambio di un gruzzolo per la manovra. Tra parentesi, gli istituti di credito restano i massimi acquirenti dei nostri titoli di Stato. Previsione: tempo qualche settimana finirà tutto a tarallucci e vino. Ma allora, se l’olio di ricino non funziona ed è acclarato, se addirittura rischia di essere controproducente, a cosa mira l’esperimento sociale di destra? Dove sta l’aspetto pionieristico?
È un peccato non poter copiare la brillante analisi di Stefano Lepri pubblicata giorni fa sulla Stampa. Dà del fenomeno una diagnosi definitiva. Ciò cui davvero punta il populismo illiberale è un capolavoro di equilibrismo politico: salvare capra e cavoli ovvero, per usare un’altra immagine, prendere due piccioni con la stessa fava. Da un lato eccita gli animi contro le banche usuraie, gli speculatori del petrolio, le compagnie straniere e avanti il prossimo; adotta misure esemplari tipiche dei regimi d’antan (il “dirigismo” e il “protezionismo” evocati, guarda combinazione, da Mattarella nel discorso di venerdì agli industriali). La mano pesante verrà apprezzata da quanti adorano le ricette semplici, le soluzioni dirette, le risposte immediate ancorché poco o nulla efficaci; la premier “non ricattabile” riscuoterà l’applauso incondizionato dei social. Dall’altro lato il populismo di destra, dopo aver mostrato i muscoli, accarezzerà i potenti per non ritrovarseli contro nel momento del bisogno. E quelli si presteranno volentieri al gioco. Cosicché alla fine saranno tutti contenti. Leggi l’Huffington Post