Un atto dovuto da parte della magistratura ha riaperto – ma in realtà non s’è mai chiuso – un cassetto di questa estate e (ri)acceso una lampadina alla politica. Riguarda l’avviso di garanzia nei confronti di sette persone, tra cui i vertici della Sac, per l’incendio divampato a Fontanarossa nella notte fra il 16 e il 17 luglio: un episodio che ha gettato nello sconforto non solo la città di Catania (il sindaco Trantino ha chiesto di recente le dimissioni del Cda) bensì la Sicilia intera, paralizzando il traffico passeggeri, con pesantissime ricadute anche sugli operatori commerciali. In primis i proprietari delle strutture ricettive. A Catania, in pieno luglio, è successo il finimondo: eppure i protagonisti di quella vicenda, e di quella gestione, sono tutti al loro posto. Fieri più che mai.
Una recente Assemblea dei soci, dove la Regione siciliana fa la parte del leone (è rappresentata da Camera di Commercio del Sud-Est, Irsap e Libero Consorzio di Siracusa: tutti enti commissariati) ha blindato la posizione del Cda di Sac e, in modo particolare dell’Amministratore delegato Nico Torrisi (oggi indagato assieme all’accountable manager e al responsabile della sicurezza antincendio). Non era a lui a dover spegnere il rogo, come ovvio. Ma su cosa non abbia funzionato quella sera, e nelle giornate a venire, aleggia un mistero che fatica a diradarsi. “A prescindere dalle eventuali responsabilità sulle cause dell’incendio e sulla tempestività degli interventi di spegnimento – ha scritto Trantino nel suo atto d’accusa, lungo sette pagine – come Comune di Catania e Città Metropolitana abbiamo il dovere di interrogarci se siano state predisposte concrete strategie per affrontare compiutamente la criticità, e messe in atto tutte le iniziative necessarie per garantire la migliore assistenza all’utenza”.
Il Comune ci sta provando (“Non potremo mai misurare le conseguenze negative, ma sarebbe irresponsabile volerle derubricare a lieve incidente di percorso, come se nulla fosse accaduto”), ma la posizione del sindaco rimane isolata. O quanto meno minoritaria. Sebbene sia l’unico di quell’Assemblea ad essere legittimato dal voto popolare, il che rafforza l’azione e la pretesa di chiarimenti. Sac però non ne ha mai forniti e, alla Regione, nessuno li ha reclamati. Schifani – per citare la più importante delle nostre istituzioni – non ha avvertito neppure la necessità di presentarsi in parlamento a riferire ai deputati com’è andata. E’ stato un paio di volte a Fontanarossa: la prima nove giorni dopo l’incidente; la seconda per annunciare la riapertura del Terminal. Ha infarcito le visite di complimenti e ha persino coinvolto Tajani, capitato in Sicilia per altre faccende, in un lancio d’agenzia utile a blindare i vertici di Sac. Quasi fossero eroi.
Il governatore ha concluso l’istruttoria prima dei pm e ha scelto di archiviare. Ma a questo punto l’indagine giudiziaria va avanti e, come spesso accade, per la politica potrebbe trattarsi di un’occasione persa. In termini di obiettività, di trasparenza, di responsabilità. Ma convocare i vertici della società aeroportuale in commissione all’Ars per scambiare due chiacchiere? “Un territorio che vive di turismo – ha spiegato correttamente il sindaco Trantino – ha bisogno di sapere che tutti gli attori istituzionali che contribuiscono a determinare la narrazione, da cui dipende l’attrattività delle proposte di viaggio, abbiano posto in essere ogni adempimento in loro potere per evitare nocivi danni di immagine” (com’era già capitato, per ammissione dello stesso Schifani, dopo lo scandalo di Cannes). Accertarsi di questa cosa pareva brutto? E a chi?
In Sicilia la lentezza è abituale. La rassegnazione pure. Ma non fino a questo punto. Non di fronte a un episodio così lampante e dannoso. Non di fronte agli abusi, diventati pane quotidiano. E cosa c’entra la Regione? C’entra eccome, perché la Sac è il classico fortino della politica, dove s’intrecciano affari e giochi di potere. Perché la Sac è un surrogato di ciò che rappresenta il sottogoverno siciliano, spesso appannaggio dei partiti; perché la Sac, come ha più volte evidenziato il quotidiano online Sudpress, è il crocevia di incarichi e consulenze agli amici e agli amici degli amici. E invece si ritrova a gestire un aeroporto, che è patrimonio di tutti (finché non verrà privatizzato). La politica c’entra per questo. Ma anche perché a Catania, negli ultimi due mesi, si è giocata una partita parallela rispetto alla miccia che ha scatenato l’incendio (la Procura ha aperto un’inchiesta per consentire un incidente probatorio su “atti irripetibili”) e che potrebbe incidere sulle future dinamiche di governo.
Una sfida che vede in campo Fratelli d’Italia, il primo partito d’Italia, e Forza Italia, il partito del presidente della Regione. Che si contendono lo scettro di Fontanarossa, fin qui rappresentato da forzisti. Ecco più facilmente spiegato l’ingresso in campo del Ministro Adolfo Urso, che ha manifestato “il più che fondato dubbio che il Terminal A non possa dirsi adeguatamente a contenere il traffico previsto di 10,6 milioni di passeggeri nell’ormai imminente 2024”, chiedendo “di trarne doverose conseguenze, anche sul piano della verifica della sostenibilità dell’attuale struttura di terminal dei volumi di traffico in essere”. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, meloniano di rango, ha evidenziato come i lavori per la predisposizione del Terminal Morandi, abbandonato dopo la creazione del nuovo Terminal A (quello incidentato), fossero fermi da 11 anni, e la necessità di avviare “quelle opere infrastrutturali strategiche che possono essere tangibili segno di innovazione, anche per recuperare il danno reputazionale conseguente all’evento”.
La politica, al di là dello scontro, della tentata salvaguardia (da parte di alcuni) e del presunto assalto (da parte di altri), avrebbe dovuto cercare di capire. Invece si è soffermata come un passante incuriosito. Come un umarell che osserva i cantieri. Ha proposto soluzioni irrealizzabili – “ma sì, che ne dite di aprire Sigonella al traffico aereo? Crosetto ci sta” – e si è sottratta ostinatamente alla ricerca dei responsabili. La politica, ancor prima di tutelare i soci della Sac, avrebbe dovuto tutelare il territorio, che secondo il sindaco Trantino dalla Sac è stato solo penalizzato: “Quel che è apparso subito evidente – ha scritto il primo cittadino di Catania nel suo j’accuse – è come il management di Sac si sia preoccupato di stabilire il ripristino delle attività al Terminal A e intensificare l’operatività, senza curarsi di fronteggiare la grave situazione di disagio vissuta dagli utenti, costretti ad ammassarsi nel Terminal C in una condizione indecorosa, che ha generato migliaia di commenti negativi, se non inferociti, con inevitabili riflessi sulla reputazione del nostro territorio. Ascoltare e leggere giudizi di cittadini stranieri e nostri connazionali, improntati all’insegna del “mai più in Sicilia” non può lasciare inerte chi rappresenta la città di Catania”. E chi rappresenta la Sicilia, invece? Osserva in disparte, in attesa che i magistrati si pronuncino. La chiamavano questione morale…