Eppur non si muove. La conferenza stampa di ieri a Catania, oltre che banale, è apparsa un tantino inutile. Bastava un nastrino per farla diventare ciò che nessuno avrebbe potuto tollerare: ossia l’inaugurazione della tensostruttura predisposta dall’Aeronautica militare per dare nuova vita al Terminal C, entrata in funzione proprio ieri. Schifani era lì – ufficialmente – a verificare l’andamento delle operazioni di bonifica all’altro Terminal, quello intaccato dall’incendio di domenica 16 luglio. Venti giorni fa. Ha sfilato assieme allo stato maggiore della Sac, rappresentato non solo dal potente Ad Nico Torrisi, ma anche dalla presidente Giovanna Candura; ma c’era anche il presidente dell’Enac e, per non lasciare nulla d’intentato e rafforzare il messaggio di unità, persino il catanese Marco Falcone, assessore all’Economia mezzo delegittimato (proprio sul tema della Camera di Commercio).
Ma dalla conferenza stampa è emersa una serie di ovvietà che: 1) non fanno chiarezza; 2) non rendono giustizia alla verità; 3) non risolvono i problemi. Schifani non si è soffermato sulla data del ritorno dell’aeroporto alla piena operatività, non ha sollevato una sola criticità riguardante la gestione dell’emergenza da parte della società di gestione e non ha pronunciato una parola per empatizzare con turisti e passeggeri che in questi giorni transitano nel girone infernale di Fontanarossa. Accalcati e stipati come sardine. Le lunghe attese hanno fatto sbottare persino Pupo, il cantante, rimasto bloccato in aereo dopo l’atterraggio: mancava la scaletta. Voleva canticchiare qualcosa, ma il livello di tensione accumulata dagli altri passeggeri lo ha fatto desistere (“Un francese mi ha fulminato. Rischiavo il linciaggio”).
A Catania è così da venti giorni. Gente che s’incrocia e si ritrova nel linguaggio comune dell’indignazione (motivata). Ma di questo Schifani o non sa o, più probabilmente, non dice. Significherebbe aprire uno squarcio nel rapporto con la Sac: il presidente della Regione, d’altronde, è rimasto l’unico a coprirla, assieme alla sua Forza Italia. Anzi, sollecitato in conferenza stampa, ha ribadito che le società di gestione, in generale, “sono deputate alla funzione che è quella di assicurare il trasporto aereo. Quando si verifica un’emergenza del genere – ha sottolineato Schifani – si va fuori schema e quindi bisogna lavorare seguendo nuovi parametri, ma rispettando regole interne. E’ normale che ci possano essere incomprensioni”. Insomma: per il presidente non esistono responsabili.
Un unicum nel panorama siciliano, dato che un po’ tutti hanno avuto da ridire: sia sulla gestione del momento topico (il sovraccarico che ha determinato l’incendio), sia sul “dopo”. Fratelli d’Italia e il Ministro Adolfo Urso, nelle scorse ore, hanno allargato l’orizzonte dei problemi. Provando a spiegare che i disagi di questi giorni non dipendono solo da una scintilla di troppo o dalle operazioni di bonifica in corso, ma dai tanti interventi promessi e mai attuati dalla società di gestione: a partire dalla riqualificazione del Terminal B (cosiddetto “Morandi”) che risulta abbandonato dal 2007. Inoltre, ha segnalato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, a fronte dei 36 milioni di investimenti previsti sul Terminal A per il 2022 ne sono stati spesi solo 8: “Sorge quindi il più che fondato dubbio che il Terminal A non possa dirsi adeguato a contenere il traffico previsto di 10,6 milioni di passeggeri nell’ormai imminente 2024”, scrive Urso chiedendo “di trarne doverose conseguenze, anche sul piano della verifica della sostenibilità dell’attuale struttura di terminal dei volumi di traffico in essere”.
Un ragionamento (tardivo) dettato (comunque) da una visione. A differenza di Urso, che almeno ha una coscienza attiva, Schifani pensa di poter chiudere il capitolo dell’emergenza e fingere che non sia mai accaduto. Ma questo incidente di percorso, per il quale non c’è ancora un rimedio definitivo – ora è partito lo scaricabarile su chi per primo deve rilasciare le autorizzazioni – è costato alla Sicilia un danno d’immagine e milioni di perdite, che nessuno potrà mai ripagare. La passerella di Fontanarossa è servita al governatore per rimarcare che “oggi la situazione è cambiata in meglio” e che “ci si avvia velocemente verso la normalità”. D’altronde sarebbe gravissimo il contrario.
Il dato politico resta la spaccatura con FdI, che aveva fortemente contestato la gestione della Sac, e col ministro Urso, sul quale Schifani – senza mai nominarlo – ha riversato i suoi rancori. Come? Ringraziando Salvini “per il supporto e l’attenzione forniti in questo momento di emergenza”; e Crosetto, “che ci ha dato sempre disponibilità, anche attraverso l’Aeronautica, pure per l’eventuale utilizzo della pista della base militare di Sigonella”. Un’idea lanciata come si fa con un salvagente in mare aperto, che è risultata inapplicabile: nella base militare mancavano il terminal e le attrezzature necessarie per predisporre voli di linea. E’ stata una boutade – un’illusione – fin dal primo momento.
Tornando a Urso, Schifani ha sviato le domande della stampa: ribadendo di “rispondere al ministro competente per materia” cioè Salvini, e rinnovando “piena fiducia nella Sac”. In pratica le considerazioni dei patrioti, suoi alleati di governo, non sono meritevoli di attenzioni e di giudizio. Nella repubblica di Schifani, sorretta dallo spirito guida di Marcello Caruso, non contano nulla. Conta solo il proprio egocentrismo, i propri risentimenti e i propri tornaconti. Ma i suoi alleati hanno già capito di che pasta è fatto, e non gli concederanno alcuna tregua – sull’aeroporto e sul resto – finché non avranno ottenuto la sua attenzione. Il braccio di ferro è appena cominciato.