Nello Musumeci, nel corso della sua informativa al Senato, ha detto ai “rivali” siciliani, e alla stampa d’opposizione (marchiata con la ceralacca, com’è nel suo stile), che preferirebbe essere giudicato da ministro, e non da ex governatore. Un secondo dopo, però, ha posizionato il carro davanti ai buoi, spiegando quanto di buono ha realizzato in termini di prevenzione quand’era alla guida della Regione. E ci ha messo dentro un po’ di tutto, persino la pulitura dei fiumi – che in un posto “normale” verrebbe considerata ordinaria amministrazione – e l’acquisto dei pickup antincendio. Ha omesso di citare alcuni dettagli: come la fornitura di droni-giocattolo e l’appalto per le 119 autobotti, durato più di tre anni. Ma non importa.
Il tentativo di Musumeci, che non avrebbe potuto scaricare su altri le proprie responsabilità (com’era abituato a fare con il buon Crocetta ai tempi di Palazzo d’Orleans), è stato quello di auto assolversi. Rifugiarsi nella vezzosità delle parole (“Ho frequentato molte paludi, ma non ho mai preso la malaria”) perché trascinare a Palazzo Madama un dibattito, sterile, sugli anni del suo impero, del suo “cerchio magico”, delle sue sfuriate su parlamentari e dirigenti, degli scandali irrisolti (come quello dell’Oasi di Troina), di certo avrebbe fatto ridere la nazione. E vergognare qualcuno dei suoi colleghi ministri.
Trasferire ai piani alti la pantomima amministrativa, che per cinque anni ha infarcito la Regione di lassismo e incompiute, sarebbe stato troppo anche per un ottimo oratore come lui. Bravissimo a colpire con le parole, scarso a governare con i fatti. Tant’è che, prima di un riequilibrio parziale delle deleghe, gli avevano affidato l’unico ministero balneare: quello del Mare. Poi gli è toccato gestire la Protezione civile e, visti i trascorsi recenti, si è rivelato un finale degno di Tafazzi.
Quaggiù in Sicilia c’è ancora qualcuno memore delle sue imprese. Come la senatrice Dafne Musolino, che attendeva questo momento da mesi. L’esponente di Sud chiama Nord, il partito di Cateno De Luca, ha ricordato che mentre in Sicilia lo scorso 5 luglio è stato testato il nuovo sistema d’allarme per le calamità naturali, a Masse a Messina, non più tardi una settimana fa, “si è dovuto dare l’allarme facendo suonare le campane della Chiesa”. Non era l’annuncio della santa messa. Ma solo l’ennesimo incendio che nemmeno Musumeci, in cinque anni, ha fatto granché per prevenire.