Da un lato c’è Musumeci che tra le parole ci pianta un “se non” che pesa un quintale buono. The perfect storm, come la chiama lui, è dovuta sì al cambiamento climatico ma anche all’«incuria dell’uomo se non alla criminalità», fenomeno sociale che quel “se non” relega alle concause, deprezza come fonte dell’evento, sminuisce come possibile realtà, ci mette insomma davanti due, tre, quattro forse. Poi dice che uno spacca il capello in quattro… Dall’altro lato c’è Schifani che chiama in causa dopo le altissime temperature la «pazzia dei piromani», senza nemmeno citarla la criminalità, derubricandola come patologia, ci vorrà probabilmente un consesso internazionale di neuropsichiatri che affiancherà i giudici nel caso in cui uno dei simpatici mattacchioni che giocano con gli zolfanelli venisse beccato sul fatto.
In questo clima di rabberciamento, di tiriamo a campare e a governare, di interviste ad uso istituzionale, di “chi mi dice cornuto è più cornuto di me” (c’è anche lo scaricabarile, figurarsi: Musumeci, fino a poco tempo fa alla Regione, adesso che è ministro dice che «le competenze sono delle Regioni», o Schifani che attende fiducioso il prossimo Consiglio dei Ministri con la stesso orgasmo con cui un pastorello di Fatima attendeva l’apparizione; c’è la lieve impuntatura, la blanda indignazione contro l’arcivescovo che addita la politica come ruina mundi e qui ovviamente Nello e Renato non possono che cantare insieme, come Paola e Chiara), in questo clima – si diceva – c’è anche spazio per un po’ di cabaret, siparietti che rallegrano sempre i cuori. Musumeci: i Canadair li può fare solo il Canada (altrimenti ci sarebbero i Germanair, i Russianair, gli Spanishair etc.), ci vogliono ben 8 anni perché ne arrivi uno e, visto che la lista d’attesa fa impallidire quelle per una cataratta negli ospedali, tranquilli perché i prossimi tre planeranno sul patrio suolo nel 2028. C’è sempre Musumeci a rassicurare che, dopo i fatti di Fontanarossa, bisognerà rivedere il sistema aeroportuale (probabilmente avrà letto della gran volata di Birgi e avrà avuto un mezzo coccolone) e dal momento che lui di società ippiche e volanti, semoventi, comunque viaggianti, è un appassionato, si può star certi dell’esito. Certo, è un po’ preoccupato, l’ex presidente ora ministro, per l’età tarda delle Guardie Forestali: chissà se c’è ancora (mi piacerebbe se facesse controllare) l’attampata salumiera che portava le bombole del gas nella mia casa di campagna quand’ero ragazzino, caricandosele in spalla in aggiunta ai suoi 120 chili, accendeva i fuochi nella mia cucina e, tra un domicilio e l’altro, li andava a spegnere, con contratto stagionale, nei boschi limitrofi.
Schifani non è da meno: parla di imprevisti dietro l’angolo come partecipasse a un quiz televisivo (chissà se stavolta gioca il jolly) e in un impeto di grandeur putinan-zelenskiana annuncia che in autunno aspettiamo le bombe d’acqua che ci salveranno al costo di diverse centinaia di milioni.
Dal cabaret al feuilleton il passo è breve: laddove anche il giornalismo d’inchiesta si rivela sempre più poco affidabile, a quello istituzionale, che ci ha già regalato quelle piccole perle di vis comica, si affianca quello emozionale. E così, con le nari tremebonde di compianto nonostante la fuliggine, la scrittrice best-seller si reca sul luogo dove si recò più volte per trarre ispirazione per le sudate carte (Stefania Auci, «I leoni di Sicilia» e «L’inverno dei leoni»). E mentre quel gran marpione di Mike Palazzotto la coglie da mater dolorosa a coprirsi il viso, lei ripercorre a parole il vecchio tragitto iniziatico: «Quando venivo a trovare i Florio rimanevo a pregare per recuperare serenità nei momenti di moto interiore».
Potrà più il cabaret politico o il tormento struggente della letteratura? Bisognerebbe chiedere, domani, all’Audipress, l’Auditel della carta, o ai like sul web, effimeri misuratori di consenso, uno sfogliar passeggero, un cliccare volatile. Cenere, anche questa.