Il problema di fondo è che in Sicilia, ormai da una settimana, non ci si riesce a spostare perché un incendio ha precluso l’operatività di Fontanarossa. Poi ce ne sono degli altri, che sarebbero del tutto collaterali se a innescarli non fosse il presidente della Regione. A una settimana di distanza dall’evento incriminato, non si conosce la data di riapertura del “Vincenzo Bellini”, i voli vengono smistati in altri aeroporti sofferenti e l’unica soluzione proposta da Schifani (il trasferimento a Sigonella) si è misteriosamente annacquata, come ha ammesso la Sac. Persino a Roma, da Musumeci a Urso, tutti s’interrogano sul futuro di questa estate maledetta, che sta comportando un danno quantificato da Assoesercenti in 40 milioni al giorno.
Una cifra che ha fatto andare su tutte le furie il Ministro delle Imprese e del Made in Italy: “Ormai è evidente che ci sia stata una mancata programmazione e che siano state carenti le verifiche sui programmi infrastrutturali, annunciati e mai realizzati. Il danno al sistema produttivo di Catania e della Sicilia orientale – ha detto Urso – è grave, sia per l’impatto immediato, e non solo sul campo turistico nel pieno della stagione, sia per quello reputazionale, che rischia di perdurare nel tempo. È passata una settimana e ancora non è chiaro quando ritorneremo alla cosiddetta normalità”. Urso ha messo nel mirino la Sac, la società di gestione cui sono imputabili i ritardi nel ripristino del Terminal A e, forse, gli effetti nefasti di un incendio che andava controllato meglio. Forse.
Ma Schifani, che da un po’ di settimane ha intrecciato con Sac un rapporto indissolubile, fino a credere che fosse roba sua, non ha preso bene le critiche. E le ha subito bollate come “sterili” e pretestuose: “Urso preferisce alimentare sterili polemiche adombrando dubbi su carenze infrastrutturali di un sistema aeroportuale che, ricordo al ministro, sino alla vigilia dell’incidente individuava in Fontanarossa un significativo hub internazionale, sia sotto il profilo dei movimenti aerei e passeggeri, che sulla qualità dei servizi di terra. Come già avvenuto in occasione della riforma sulle Camere di commercio – ha poi insistito il presidente della Regione -, ancora una volta il ministro, interviene in modo scomposto, più a tutela di vicende localiste che nell’interesse dell’intero popolo siciliano”. Sulle vicende localistiche ci sarebbe molto da raccontare e altrettanto da scoprire.
In effetti la Sac è un terreno di conquista molto ghiotto per la politica, e al momento è controllato da alcuni fedelissimi di Nicola D’Agostino, il rivale di Marco Falcone dentro Forza Italia. Al deputato acese Schifani s’è legato – sono le cronache politiche a dirlo – dopo la decisione di mollare Micciché e aderire alla sua frangia. Questa ala forzista “controlla” Sac per mezzo dell’amministratore delegato Nico Torrisi, vicinissimo a D’Agostino; ma anche la Camera di Commercio del Sud-Est, il cui commissario si chiama Antonio Belcuore. CamCom, sul cui riassetto Schifani e Urso sono già arrivati allo scontro, detiene il 61% delle quote di Sac. Il quadro, per essere completo, dovrebbe comprendere le mille ipotesi sulla privatizzazione di Fontanarossa. Insomma, la Sac al pari di una privativa, non va sfiorata dalle critiche, altrimenti queste si rivelano sterili e faziose. Per il quotidiano SudPress, da sempre molto attento alle vicende di Sac, “a parte toni e contenuti della propalazione presidenziale che prova a difendere l’indifendibile, e prima o poi dovrà spiegare a qualcuno il perché e di cosa si tratta, è proprio il collegamento che fa con l’altra incredibile vicenda delle Camere di Commercio che dimostra cosa abbia combinato il governo regionale, piegando norme e procedure ad appetiti che oggi stanno dimostrando tutta la loro rapace pericolosità”.
Ma sapete l’ultima? Ad attaccare la governance della società di gestione non è stato solo il ministro, ma in parte anche il Ministro Musumeci – che ha consigliato a Schifani di ridurre il numero delle società di gestione aeroportuali in Sicilia – e finanche il capogruppo di FdI all’Ars, Giorgio Assenza. Le cui istanze, però si ricollegano all’aeroporto di Comiso, che prima dell’emergenza provocata dall’incendio, era stato completamente svuotato. Da chi? Da Ryanair e dalla stessa Sac, che controlla pure il ‘Pio La Torre’, a causa di un contenzioso sui contratti che aveva portato la compagnia irlandese a uscire di scena senza alcun preavviso: “Occorre che Sac cambi direzione e operi i necessari investimenti nella struttura – ha scritto Assenza – a cominciare dall’allungamento della pista che, con tempi e costi sensibilmente inferiori a quelli occorrenti per Catania, permetterebbe l’atterraggio degli Airbus e dei Boeing. L’Aeroporto di Comiso è una risorsa importante del sud est siciliano: va difeso e valorizzato”. In attesa che Schifani risponda in malo modo pure all’avvocato comisano, va aggiunta una riflessione alle dinamiche in atto.
Al di là dell’affaire Sac, Schifani e Fratelli d’Italia continuano ad entrare in combutta. E da un po’ di tempo a questa parte non la pensano allo stesso modo su nulla. Schifani aveva apostrofato la governance della Gesap, gestore dell’aeroporto Falcone-Borsellino, per aver impedito ai voli dirottati da Catania di arrivare a Palermo lo scorso weekend. La furia del presidente aveva travolto tutti: il direttore generale Natale Chieppa, l’ad Vito Riggio (che per senso delle istituzioni ha desistito dall’ipotesi dimissioni) ma anche il presidente Salvatore Burrafato, uomo di Fratelli d’Italia. Come Urso “l’usurpatore”, che farebbe meglio a farsi i fatti propri; e Musumeci, l’ex presidente, la cui presenza si sta rivelando ingombrante.
Fratelli d’Italia, in pratica, si sta dimostrando una zavorra per Schifani. Da mesi. All’inizio il capo del governo non digerì l’indicazione romana di un paio di assessori (il solito Scarpinato ed Elena Pagana), che avevano mancato l’elezione all’Ars. Inoltre, ricordate cos’è successo con Cannes? Dopo aver scoperto – dai giornali – ch’era stata affidata a una società del Lussemburgo la seconda edizione dello shooting fotografico al Festival di Cannes, per tre milioni e mezzo di euro, il governatore pensò di cacciare Francesco Scarpinato dalla giunta, ritenendolo il responsabile di tale scempio. Dopo un tira e molla, che portò alla revoca del provvedimento in autotutela, Scarpinato fu costretto a uno scambio di deleghe con Elvira Amata ai Beni culturali.
Ma Schifani non è mai riuscito ad arginare la frangia turistica di Fratelli d’Italia. Manlio Messina, con una sfuriata pubblica senza precedenti, lo ritenne responsabile delle (cattive) scelte a favore del signor Nassogne: “In merito alla proposta della Regione alla società Absolute Blue, quella della Absolute Blue alla Regione, la contrattazione, i termini su quanto spendere e come spendere quei soldi, tutto viene fatto in un arco temporale che va dal 20 ottobre all’11 novembre, ovvero quando io non sono più assessore al Turismo e non lo è ancora Scarpinato. L’assessore al Turismo ad interim, in attesa delle nuove nomine, era proprio il governatore Schifani (…) A questo punto, o Schifani non ha guardato le carte, e questo sarebbe gravissimo, oppure non le ha sapute leggere”.
Il rapporto complicato coi patrioti emerge anche sulle proroghe del personale Covid, quando la delegazione siciliana nella Capitale, incolpa l’assessore alla Salute Giovanna Volo di aver fatto scelte senza senso. E, tornando a parlare di Turismo, a proposito del programma SeeSicily, quando gli uffici revocarono i contratti con gli albergatori e Schifani si disse all’oscuro per sfuggire agli improperi dei meloniani (che gli contestano anche la revoca del provvedimento da mezzo milione a Urbano Cairo). Anche sulle ex province, e sull’interpretazione di legge di Assenza (“Sicuri che non ci impugnano la riforma?”) la stizza di Schifani ha toccato livelli importanti. Che poi si traduce in totale assenza di fiducia: nelle scelte amministrative e di governo.
Ad esempio, sarebbe interessante sapere se la proposta di riaprire i termini della sanatoria dell’85, avanzata dal capogruppo di Fratelli d’Italia, vede d’accordo il governatore oppure no. O se i rapporti con il larussiano Galvagno, dopo le scintille sulla gestione dei lavori parlamentari e sull’apertura all’emendamento-Taormina proposto da De Luca, possano tornare nell’alveo del rispetto istituzionale. Non è passato neanche un anno dall’affermazione elettorale e ci sono precedenti che manco in una legislatura intera. FdI è il partito di maggioranza relativa, che però pretende il controllo assoluto delle operazioni. Schifani non si rassegna a cederlo. Se il buon giorno si vede dal mattino…