Molti (buoni) propositi sono evaporati, altri hanno trovato ostacoli insormontabili. Di riforme neanche a parlarne: l’unica, che il governo ha trasmesso all’Ars in queste ore, riguarda i Consorzi di bonifica. Un tema su cui tutti gli esecutivi – per info chiedere a Musumeci – hanno fallito miseramente. Eppure secondo il vicepresidente Luca Sammartino, fresco di intervista a Live Sicilia, “i primi otto mesi sono sicuramente positivi”. Ma è difficile cogliere il senso dell’ottimismo, se alla prova dei fatti l’unica abilità di Schifani è l’annuncite. Fra le tante parole di borotalco pronunciate in questo avvio di legislatura, e poi cancellate senza troppe spiegazioni, la più utilizzata è “rimpasto”.

Ha fatto tutto lui, alla vigilia delle Amministrative, quando Fratelli d’Italia gli sottopose lo strano comportamento del leghista Mimmo Turano. Che a Trapani non riuscì ad assecondare le pretese di un centrodestra unito perché certi suoi amici sostennero l’uscente del Pd, Giacomo Tranchida. In quel preciso istante, il governatore cominciò a parlare di “tagliando”. Un concetto abusato nei giorni a venire, quando Scarpinato concesse un’apertura a De Luca su Taormina e Falcone faceva le bizze (fino a farsi revocare la delega sulla Programmazione). “Schifani non si fida dei suoi assessori” tuonò in aula il sempre attento Antonello Cracolici. E, infatti, il capo del governo avrebbe dovuto procedere a un restyling per correggere l’andatura dinoccolata di una giunta sempre più spompa. Era diventata un’esigenza, la famosa scossa di cui tutti avvertivano la necessità. E invece niente. Bastò un incontro coi capigruppo e coi segretari regionali dei partiti della coalizione per azzerare ogni discorso: “Il presidente Schifani ha confermato la piena fiducia a tutti i componenti della giunta”, recitava una nota di Palazzo d’Orleans il 27 giugno. Senza chiarire perché e per come. Fu solo gossip.

Ma questo atteggiamento ha caratterizzato anche altri aspetti. Schifani proviene da un’esperienza di presidente del Senato che non l’ha quasi mai sottoposto allo stress quotidiano del governo. Di fronte alla fatica, s’è ritrovato privo di anticorpi. E le speranze balenate in campagna elettorale, o nei primissimi mesi di mandato, sono mutate in aria fritta. Il classico esempio è quello dell’ultima Finanziaria, impugnata (con spregio) dal Consiglio dei Ministri per la mancanza di copertura. Così è iniziato un lungo tira e molla per avere indietro gli 800 milioni di euro a valere sul Fondo di Sviluppo e Coesione, rimpiazzati – solo in parte – con l’ultimo collegato. Le parole d’ordine, però, restano due: “vedremo” e “faremo”. Il 1° giugno, a Roma, il governatore incontra il Ministro per la Coesione e per il Sud, Raffaele Fitto: “Al più tardi entro il mese di settembre – promette Schifani – concluderemo un accordo con il governo nazionale per mettere a sistema tutte le risorse disponibili per il territorio siciliano. L’intesa con il ministro Fitto punta a mettere in sicurezza la chiusura del ciclo 14/20” e “assicurare il completamento di tutti gli investimenti meritevoli che concorrono allo sviluppo della Sicilia e già avviati sul territorio regionale”.

Una dichiarazione d’intenti che trasuda il solito ottimismo di gomma: “Il ministro ha anche assicurato la possibilità di impiego delle risorse Fsc 21-27 per il cofinanziamento regionale dei programmi comunitari. Ciò consentirà di liberare somme importanti sul bilancio triennale della Regione”. Intanto l’annunciamo. Poi si vedrà. Però passa il messaggio che fra Palazzo d’Orleans e il governo “amico”, nonostante gli 800 milioni impugnati, si va d’amore e d’accordo.

Se così, fosse, per, Schifani avrebbe già avuto la forza di ridiscutere col Ministro Giorgetti – uno che per natura fa poche concessioni alla fantasia – l’Accordo Stato-Regione del 14 gennaio 2021, che rappresenta per la Sicilia una sorta di cappio al collo. E’ quello che impedisce, in cambio di una retrocessione del disavanzo in dieci anni, di riaprire il capitolo delle assunzioni per dare nuova linfa alla burocrazia. Il 29 marzo, al termine dell’ennesimo confronto romano al Mef (c’era anche il ragioniere generale Tozzo), Schifani si lascia prendere la mano: “Abbiamo riscontrato la disponibilità del ministro Giorgetti a ridiscutere i termini dell’accordo tra Stato e Regione, alla luce del mutato quadro economico-sociale del Paese e della nostra Isola, evidenziando la necessità di rivedere alcuni vincoli per sostenere e rendere più funzionale lo sforzo di risanamento che la Sicilia sta compiendo”. Bollicine.

Peccato che da quel momento nessuno si sia più riseduto al tavolo e che nell’ultimo Documento di economia e finanza, approvato dal governo alla fine di giugno, si faccia riferimento al solito canovaccio: “Non perdiamo di vista il risanamento dei conti e la necessità di contenere e via via ridurre, come già sta avvenendo, l’indebitamento dell’ente, sottoposto inoltre a un virtuoso processo di riordino istituzionale. Stiamo tagliando i rami secchi e le società inattive – ha affermato Schifani – ma anche imprimendo una decisa accelerazione alla transizione digitale del processo amministrativo, a cui dovrà dare nuovo slancio il ringiovanimento del personale tramite le nuove assunzioni che intendiamo concordare con Roma”. Dice proprio così: intendiamo concordare. Quando? Lo schema è il solito: far credere che tutto proceda per il meglio.

Ma per venire alla sostanza, un altro clamoroso autogol è rappresentato dai termovalorizzatori. Schifani, che aveva deciso di seguire la scia di Musumeci, ne parla per tutta la campagna elettorale. E anche dopo. Finché l’assessore all’Energia, Roberto Di Mauro, svela l’arcano: “Quelli prodotti da Musumeci sono inutilizzabili. Non sono neanche dei bandi, sono manifestazioni di interesse che non obbligano in nessun modo né le aziende che le hanno presentate né la Regione che le ha chieste”. E ancora: “Le aziende che si erano fatte avanti ci hanno chiesto di garantire flussi negli impianti di 350 tonnellate al giorno di rifiuti. Ma come possiamo garantire un dato simile se non conosciamo con esattezza le nostre necessità di smaltimento?”. Bisogna riscrivere il piano dei rifiuti.

Anche se il modo più semplice per arrivare è al traguardo è ottenere la concessione di poteri speciali che Schifani ha chiesto al Ministero lo scorso 20 aprile: “Il governo regionale – scriveva Palazzo d’Orleans – ha manifestato la necessità di programmare la “chiusura del ciclo dei rifiuti” per i prossimi anni con la realizzazione di termovalorizzatori. Per farlo, in tempi rapidi, è necessario uno snellimento delle procedure autorizzative e il ministro ha espresso la propria disponibilità a concedere poteri speciali, così come già avvenuto a Roma con il cosiddetto “modello Gualtieri”. Il presidente e l’assessore hanno quindi consegnato al ministro la documentazione necessaria per poter procedere alla stesura di un apposito provvedimento normativo. Un dossier che, dopo il vaglio dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, passerà al Consiglio dei ministri per il via libera definitivo”. Tempi dell’operazione? A distanza di quasi tre mesi non è dato saperlo.

In questa rassegna di borotalco, ché tanto annunciare non costa nulla, è impossibile non citare la Pedemontana. Se Musumeci aveva scommesso sul Centro direzionale – la stessa maggioranza ha deciso che per il momento non si farà – Schifani ha fatto lo stesso con la tangenziale che dovrebbe collegare le autostrade A19 (Palermo-Catania) e A29 (Palermo-Mazara del Vallo). La Regione ha già affidato la progettazione all’Anas, stanziando 7,4 milioni di euro provenienti dal Piano di sviluppo e coesione. Lo scorso 5 aprile sono state presentate tutte le ipotesi allo studio per limitare gli impatti sociali dell’opera, che dovrebbe servire a ridurre l’inquinamento e migliorare la mobilità dei collegamenti con l’aeroporto di Punta Raisi, l’area industriale di Termini Imerese e il nodo intermodale di Brancaccio.

Ma il progetto rimane in alto mare: “Anas – ribadiva l’assessore Aricò – ci ha confermato il rispetto dei tempi che prevedono la consegna di una progettazione sufficientemente definita entro luglio, in modo tale da avviare subito dopo la fase di consultazione pubblica (obbligatoria per le opere stradali superiori ai 15 chilometri e di importo superiore ai 500 milioni di euro). Conclusa questa fase si potrà passare allo Studio di fattibilità tecnico-economica, alla luce del nuovo Codice degli appalti, prima della progettazione esecutiva”. Il classico sogno di una notte di mezza estate? Luglio è adesso.