Dopo essersi aumentati l’indennità di 890 euro al mese per far fronte all’inflazione, come previsto da una legge del 2014, ed essersi stracciati le vesti per non avervi posto rimedio in tempo utile, i deputati siciliani hanno detto basta. Basta con questi guadagni da paperoni; basta con queste figuracce sulle tivù nazionali; basta con questa melassa che “rubano tutti”. E così, nel giorno che avrebbe potuto segnare la crisi del governo Schifani – sull’emendamento Taormina proposto da De Luca – l’aula ha deciso di tornare indietro, bloccando per i prossimi quattro anni e mezzo (cioè fino al termine della legislatura) qualsiasi altro scatto d’indennità. L’hanno fatto in silenzio, dicono. Poi hanno servito la notizia ai giornali, per evitare che qualcuno si distraesse troppo.
I nostri eroi sono stati due volte populisti. Prima dando ragione alla “pancia” dei siciliani e del Paese, che reclamano cure dimagranti per tutti; poi cedendo alla lusinga di far sapere che loro sono meglio degli altri, e cioè di chi è venuto prima e non ha mai posto un freno agli adeguamenti Istat. Come se gli stipendi non restassero abnormi. Ma non è questo il punto. Il punto è la politica. Cioè il contributo degli onorevoli deputati al destino della Regione, che – se valido – va ricompensato come merita. Questo in ogni campo, e così nelle istituzioni. La domanda che sovviene ai siciliani è un’altra: questi deputati, molti dei quali anche assessori, cosa stanno facendo per giustificare la fiducia riposta in loro e per guadagnare quei soldi?
La risposta la trovate nella cronaca spoglia di tutti i giorni. Nell’immobilismo dell’Ars, dove soltanto nell’ultima seduta – con la tagliola della crisi sulla testa – si è accelerato per l’approvazione della manovrina correttiva, utile a sancire una pace di cartapesta; ma anche al governo, che in queste settimane, e nei mesi precedenti, non ha portato all’attenzione di Sala d’Ercole una sola riforma degna di nota (solo ieri è stata approvata in giunta quella sui Consorzi di Bonifica, che ora si prepara a un lungo iter). Ha preferito trascorrere il tempo interrogandosi sul rimpasto e su quale assessore fosse da cacciare e quale no. Il borsino ne dava a rischio almeno quattro: da Falcone alla Volo. Alla fine ha deciso Schifani: nessuno meritava di andare a casa. Eppure, se sono tutti così bravi, non si spiega perché i primi otto mesi di legislatura siano trascorsi ingessati e con zero proposte politiche; e perché Galvagno sia passato al contrattacco denunciando che “non c’è carne al fuoco”. I guadagni dei politici sono, forse, l’ultima questione impellente per una terra assetata di lavoro e di risposte.
E’ inutile impedire che il prossimo anno gli stipendi aumentino di qualche centinaio di euro, se in Finanziaria si esibisce il meglio del marchettismo, fra chiese, campi da calcio e presepi da finanziare; o se il Cas, una partecipata della Regione, decida di assegnare un incarico da tre mesi per “popolare” i social con una prebenda da 53 mila euro a un clan di pagnottisti (per fortuna è intervenuto Ismaele La Vardera, di Sud chiama Nord, con una necessaria interrogazione parlamentare). E’ inutile risparmiare sugli stipendi dei deputati se la sanità fa acqua da tutte le parti e, fino a pochi giorni fa, non sapeva come spendere i fondi messi a disposizione dallo Stato per abbattere le liste d’attesa (ora almeno c’è un piano: metà al pubblico e metà al privato). Rifugiarsi in questo populismo da basso impero non è utile in assenza di una riforma seria della burocrazia, che consenta la riclassificazione di chi merita, ma soprattutto che dia la possibilità di accedere alla pubblica amministrazione ai nativi digitali, che sappiano usare il pc, smaltire i pagamenti alle imprese, rilasciare le autorizzazioni in tempi congrui. I burosauri fanno più danno dei politici, eppure l’unico rimedio è cazziarli in pubblico senza ottenere niente: anche loro guadagnano una barca di soldi e sono un bersaglio facile.
Dov’è la riqualificazione della spesa implorata da Roma con l’ultimo accordo Stato-Regione? Non basta ridurre i vizi dei parlamentari per rimettere in carreggiata la macchina, e non serve nemmeno l’austerity a tutto spiano. Occorre chiudere i carrozzoni (con un colpo di reni Falcone ha decretato la fine di Biosphera e Resais, in liquidazione da anni), non cedere alla lusinga delle consulenze dorate (come quella nei confronti di Gaetano Armao e Simona Vicari: 120 mila euro l’anno in due), limitare gli ingressi nel cerchio dei “pagnottisti” e soprattutto individuare i responsabili degli scandali per evitare che questi si ripetano. Purtroppo alla Regione hanno la memoria corta: se si fossero accorti del colpo gobbo realizzato da alcuni avventurieri con il censimento fantasma da 100 milioni, anni fa, quando i soldi finirono in Lussemburgo, forse avrebbero adottato maggiore raziocinio nell’affidare uno shooting, senza bando, a una società del Lussemburgo per 3,7 milioni. Il tackle di Schifani, per ritirare il provvedimento in autotutela, non è servito a individuare i responsabili e mettere una pietra tombale sull’azzardo di certe esperienze di governo. Macché: è ricapitato, anche se in tono minore, con un affidamento diretto da mezzo milione al gruppo Rcs Sport di Urbano Cairo per una festicciola sportiva a Palermo. Altro provvedimento ritirato in autotutela perché contrario al Codice degli Appalti. E, sarebbe bene sottolinearlo, all’etica pubblica. Dannata questione morale.
A pagare lo scotto di una Sicilia che non funziona, di volta in volta, sono i poveri cittadini rassegnati: al termine della pandemia numerosi imprenditori sono rimasti in braghe di tela; ma anche dopo, ad esempio gli albergatori, hanno subito l’amara beffa di aderire a un programma della Regione e, in questi giorni, di vedersi revocare i contratti per la concessione di voucher e pernottamenti gratuiti ai visitatori. Possibilità per le quali avevano già riscosso denaro o erano sul punto di farlo. Se si vuole dare un contributo alla Sicilia, al turismo e persino alla democrazia, bisognerebbe parlare di ciò che è accaduto. Evidenziare i bug di sistema. Stabilire dove iniziano e finiscono le responsabilità. C’è un gruppo politico, quello del Movimento 5 Stelle, che lo reclama: “Da quasi tre mesi – ha detto il capogruppo, Antonio De Luca – chiediamo una seduta d’aula ad hoc sul caso ‘See Sicily’. Comprendiamo che le mancate risposte sono il pezzo forte del governo Schifani e della sua maggioranza, ma noi non siamo più disposti ad aspettare e con noi non lo saranno sicuramente i siciliani che pretendono chiarezza sui comportamenti e sulle irregolarità dall’assessorato al Turismo su questo progetto, rivelatosi un clamoroso flop come il precedente, noto come caso Cannes. Pertanto, o la seduta verrà calendarizzata quanto prima, o saremo costretti a presentare una mozione di censura nei confronti dell’assessore al Turismo”.
Anche la mozione di censura, peraltro già annunciata nei confronti del precedente assessore (Scarpinato), rischia però di rivelarsi una mossa populista, oltre che inutile (non otterrà mai le firme necessarie e anche se andasse in porto l’assessore Amata rimarrebbe al suo posto). Serve una discussione senza maschere, in cui torni centrale il bene della Sicilia. In cui l’unico argomento comune, che unisca maggioranza e opposizione, sia dare un senso a questa esperienza di governo e a questa legislatura. Le ciprie, come lo stop agli aumenti delle indennità dei deputati, non ingannano più nessuno. Già da tempo la ‘casta’ ha tradito la politica. Perché insistere?